Articolo di ElleBi e James Cook

Musica improvvisata da Londra per sax e batteria. E’questo il modo semplice e diretto, con cui si presenta il duo Binker & Moses. Sono appena trentenni, hanno un album di debutto alle spalle, nonché una serie invidiabile di premi e riconoscimenti collezionati negli ultimi due anni.
Si è venuta  a creare così, nei loro confronti, un’attenzione crescente sia in patria che in Europa, che li ha portati ad essere definiti “la band rivelazione del jazz europeo”. Quella che propongono è una musica “in libertà” e ballabile, in cui spiccano infuriati poliritmi sonori. Pochi giorni fa è uscito il loro secondo disco, Journey to the Mountain of Foreverun doppio lavoro che vede la partecipazione di ospiti definiti come “una selezione parziale dei più interessanti improvvisatori in circolazione al momento”, vale a dire: il sassofonista Evan Parker, il trombettista Byron Wallen, l’arpista Tori Handsley, il percussionista di tabla Sarathy Korwar e il batterista Yussef Dayes del duo Yussef Kamal.

Si tratta di un concept album strumentale, registrato quasi ininterrottamente nel giro di 48 ore. Attraverso la formula dei due dischi contrappone il processo compositivo/improvvisativo a quello totalmente non scritto, frutto di pura vibrazione. Il tutto è stato eseguito su supporto analogico mediante l’utilizzo di uno Studer C37, evitando qualsiasi sovraincisione o mix che ne potesse alterare la spontaneità del suono.
Al centro di questo racconto musicale si pone una storia che potremmo considerare una sorta di collegamento fra “Il Signore degli anelli“ e “La montagna sacra” di Jodorowsky, come emerge anche dalla grafica di copertina, di evidente ispirazione fantasy.
Il percorso sonoro proposto spazia fra realtà e irrealtà, raccontando, senza parole, di incontri con sciamani, divinità, tribù indigene, riti, piante velenose… Un viaggio emozionale lasciato in gran parte alla libera interpretazione dell’ascoltare, che lo può riempire dei significati a lui più congeniali.

Il disco, è stato presentato in prima mondiale nella serata di venerdì 9 giugno sul suggestivo palco del Broletto, nell’ambito della quattordicesima edizione del Novara Jazz Festival, manifestazione dal chiaro approccio internazionale.
Con la direzione artistica di Corrado Beldì e la produzione di Riccardo Cigolotti, la stessa si contraddistingue per la qualità e l’originalità della musica in programma, attenta com’è sempre, sia alle nuove proposte, che a tutto ciò che si esprime all’insegna della sperimentazione e contaminazione fra i diversi generi.
Noi, essendo presenti all’evento, abbiamo avuto modo di “sentire dal vivo” quanto il duo inglese, senza per questo tradire nulla della propria personalità, sia connotato dalla spiccata esigenza di allargare la base di fruizione del pubblico jazz. Pubblico che, in una formula ideale, è formato dall’incrocio di generazioni, nelle quali la musica possa arrivare, dal nonno, al padre, al nipote, certamente in modo diverso per ognuno, ma col comune denominatore di esprimersi oltre ogni differenza.

La premessa del concerto si è rivelata subito accattivante: prima di salire sul palco i musicisti si sono confusi tra gli spettatori come fossero solo due tra i numerosi ragazzi che stavano collaborando con l’organizzazione del festival, ma un attimo dopo erano lì, uno di fronte all’altro, pronti a partire per eclettici viaggi interstellari a bordo di un sax tenore ed una batteria.
Il loro ipnotico show è proseguito per un tempo indefinito con versioni dilatate e interventi improvvisati nei brani, mentre nel contempo spiccava quanto quasi non perdessero il contatto visivo, in uno scambio vicendevole di sguardi d’intesa.
I suoni sono arrivati travolgenti, entusiasmanti, creando un potentissimo e continuo fluire di note che hanno lasciato il pubblico con il fiato sospeso, a tratti quasi in trance, nel seguire le montagne russe richiamate dal sax di Binker Golding e dalla batteria di Moses Boyd.
Al loro rientro sul palco, a seguito dell’inevitabile acclamazione finale, i musicisti hanno evocato quello che è la loro guida spirituale – John Coltrane – con un pezzo che, affascinante, è fluttuato ancora una volta nella notte novarese, citando più volte A Love Supreme.
I due giovani talenti si sono congedati timidamente, quasi non volessero disturbare, quasi il palco fosse troppo grande per loro, ed invece, in quell’emozionante serata, hanno dimostrato di essere una delle realtà più interessanti del jazz contemporaneo.

Foto [2] e [3] di Emanuele Meschini.