Articolo di Luca Franceschini.

Bisogna solo ringraziare di avere tra le mani un altro disco dei Cheap Wine. Coi tempi che corrono, col mercato discografico sempre più affossato, il pubblico sempre più disinteressato, soprattutto nei confronti di certe sonorità, il mainstream radiofonico e i mega eventi come unica realtà che possa ritagliarsi dello spazio sui mezzi di comunicazione, che un gruppo come il loro sia sempre qui, ogni due anni o giù di lì, ad offrirci qualcosa da ascoltare, è una notizia al limite del commovente.
Quindi diciamo subito che, per quanto mi riguarda, il fatto che “Dreams” sia uscito è al momento molto più importante di qualunque tipo di ragionamento si possa fare in merito alla sua qualità. Che comunque rimane sempre alta, è bene precisarlo.

A questo giro la band pesarese ha operato una scelta importante e a lungo ponderata: si è affidata al crowdfunding. Erano sempre stati contrari ma adesso si sono ricreduti. Non è una scelta che sta a noi giudicare: sono tempi difficili e probabilmente solo i diretti interessati conoscono i pro e i contro di una decisione del genere.
Sta di fatto che il disco è uscito e che per l’occasione è stato realizzato pure un libro che raccoglie tutti i testi con le relative traduzioni, con tanto di introduzione firmata da Marco Diamantini e contributi vari da parte di fan e persone vicine alla band. Un oggetto prezioso, utile soprattutto perché contiene anche i pezzi di quei dischi che da tempo non sono più disponibili in formato fisico; un’opera che accresce la sensazione di trovarsi di fronte ad un momento significativo per un gruppo che è arrivato all’undicesimo disco e che c’è sempre stato, anno dopo anno, incurante del passare del tempo e del cambiamento dei gusti, a suonare sempre e solo quello che voleva suonare.

“Dreams” è un disco di speranza. Ed è bello poterlo dire, considerato che viene da un lavoro, “Beggar Town”, che era ammantato di cupezza e presentava poche, pochissime aperture, proiettandosi per la maggior parte su un mondo che sembrava avere visto la sconfitta definitiva di tutte le autentiche battaglie per l’esistenza.
Stavolta invece è diverso: la copertina grigia ha lasciato il posto ad un’esplosione di colori come mai, a memoria, si era vista su un disco dei Cheap Wine e il messaggio parla chiaro: le cose non sono migliorate. C’è sempre chi vive per sfruttarci, il lavoro non si trova, le guerre imperversano, le ingiustizie fioccano. Ma noi, dal canto nostro, non abbiamo perso la voglia di lottare. Ci si può sempre svegliare una mattina e dire che, in fin dei conti, “era un bellissimo giorno di sole”, come canta Marco in quello che è uno dei brani più riusciti del lotto. Perché il sole, grazie a Dio, non smette di sorgere e di rendere bello il mondo, nemmeno quando tutto sembra cadere a pezzi.

E poi ci sono i sogni. Che non sono semplicemente castelli in aria privi di senso ma hanno una loro dignità, una loro fisicità, devono essere perseguiti con tenacia, accettandone anche il fallimento, certo, ma non per questo senza smettere di lottare. Perché i sogni, quando non sono totalmente slegati dal reale, sono un carburante potente per mandare avanti la vita. “E più di ogni altra cosa, segui sempre i tuoi sogni”: il disco si conclude così, con la sua monumentale title track, ballata sontuosa col solito dialogo tra chitarre e tastiera a disegnare fughe immaginate, eppure così reali. È dedicata a Federico, il figlio di Marco, nato da poco e in qualche modo ispiratore di tutto questo lavoro. È proprio ascoltando questa traccia, col suo Fade Out strumentale che immaginiamo assumerà contorni magici dal vivo, che si capisce come questo disco parli d’amore. Un amore concreto, associato a volti precisi, che ha permesso a Marco di lasciarsi alle spalle un periodo buio e ai Cheap Wine di continuare a camminare, aggiungendo un tassello, questa volta un po’ più solare, ad una storia asciutta e drammatica come un grande romanzo americano, e proprio per questo meravigliosa.

Musicalmente parlando, “Dreams” è un altro grande disco, l’ennesimo centro di una carriera che non ha mai conosciuto flessioni di sorta. Anche perché, sembra una critica ma non lo è, questa non è mai stata una band che ha poi variato molto i propri metodi di scrittura. È una band che suona benissimo, composta da musicisti eccezionali ma che ha nell’amalgama tra tutti gli elementi il vero punto di forza. Chi ha visto anche uno solo dei loro concerti sa che, prima ancora delle canzoni che vengono suonate, a rimanere impresse sono le lunghe Jam dal sapore psichedelico, i riff grintosi, le cavalcate epiche, i suoni abrasivi. Ad un concerto dei Cheap Wine si rimane incantati anche senza conoscere uno solo dei loro brani proprio perché incarnano quello che è l’autentico spirito del Rock, trasmettono quella scintilla di verità per cui, se si è veri con se stessi, non ci si può non fermare ad ascoltare.

Anche su disco è così, seppure in un altro modo. Il gruppo ha sempre avuto un suono pazzesco e le loro produzioni sono magnifiche, sontuose, eleganti, potentissime. Anche “Dreams” non fa eccezione: il solito Studio Castriota di Marzocca, dove incidono da sempre, ha offerto ancora una volta una qualità di produzione altissima (Alessandro Castriota è davvero un produttore bravissimo in questo senso). Le canzoni sono sempre quelle, non sono cambiate. Si parte e si ha subito quel senso di Deja Vu tipico di ogni loro nuovo lavoro. Le linee vocali di Marco sono inconfondibili, spesso un po’ troppo simili tra loro (questo è effettivamente l’unico appunto che si potrebbe fare) ma non perdono mai di efficacia. La chitarra di suo fratello Michele graffia sempre a dovere e provoca brividi a più non posso, specie quando si lancia negli assoli. E poi il tocco magico del tastierista Alessio Raffaelli, che ha letteralmente mutato gli equilibri da quando è entrato nel gruppo e che svolge un ruolo essenziale nel caratterizzare l’atmosfera di ogni singola canzone.
La sezione ritmica si comporta ancora una volta in modo egregio, col solito Alan Giannini e il nuovo bassista Andrea Giaro ormai perfettamente integrato nei meccanismi del gruppo.

Quindi alla fine, è questo che conta. Ma ci sono comunque anche le canzoni e queste non deludono. All’interno di una formula più snella dei due precedenti, stanno dieci brani che si muovono su coordinate che richiamano a più riprese il periodo di “Moving” e “Spirits”, se proprio dovessimo tirare in ballo i paragoni con altre fasi della loro carriera. Rispetto al precedente c’è un po’ più di Rock (l’opener “Full Of Glow” ha un bell’incedere robusto e vivacemente ritmato) e non mancano le atmosfere epiche in “Bad Crumbs and Pats On Your Black” e in “For The Brave”. Ci sono i colori, ci sono i sogni ma pezzi come “Naked” (che esprime in maniera simbolica la fiera ribellione di chi non si conformerà mai a certi standard imposti dalla società) e “Wise Man’s Finger” presentano quelle atmosfere fumose, psichedeliche e vagamente Paisley Underground che ammantavano quasi in toto “Beggar Town”. Ma nella seconda parte arrivano anche splendide ballate, in bilico tra Folk e Country, come l’acustica “Cradling My Mind”, sulla bellezza di trovare un momento per se stessi guidando e contemplando il paesaggio, o la commovente “I Wish I Were The Rainbow”, dichiarazione d’amore su come un rapporto affettivo possa cambiare completamente la propria visione del mondo. In mezzo, anche un paio di soluzioni mai provate prima dal gruppo, come il suono di tastiera avvolgente di “Pieces of Disquiet” o l’arpeggio a la Roger Waters che apre “Reflection”.

Un disco forte e drammaticamente sincero, come del resto tutti quelli che hanno fatto nel loro passato. Chi li ha sempre amati non smetterà di amarli e chi ancora non li conosce potrebbe proprio iniziare da qui, magari poi vedendoli dal vivo a Milano il 14 ottobre, quando le nuove canzoni verranno suonate per la prima volta in pubblico. Del resto vanno visti sul palco, per capire veramente di cosa stiamo parlando.

Tracklist:
01. Full of glow
02. Naked
03. The wise man’s finger
04. Pieces of disquiet
05. Bad crumbs and pats on the back
06. Cradling my mind
07. For the brave
08. I wish I were the rainbow
09. Reflection
10. Dreams