Articolo di ElleBi

Ci sono libri che, dal primo sguardo in copertina, catturano inesorabilmente la mia attenzione. Così è successo con “Stati d’animo” di Beniamino Sidoti, sia per la sua inusuale forma quadrata che per il titolo, chiaro rimando al mondo delle emozioni, a me particolarmente caro.
Decisamente incuriosita, mi sono messa alla ricerca di informazioni circa il suo autore…
Ho scoperto così che Sidoti scrittore, giornalista, ludologo, è anche un talentuoso affabulatore. Dal 1996 tiene animazioni e formazioni in tutta Italia, collaborando con festival, amministrazioni, editori e privati. È autore di diversi libri per ragazzi, di narrativa e divulgazione, di giochi e di manuali e ricerche sul gioco stesso, oltre a numerosi articoli, rubriche e saggi. Già nella prima metà degli anni ’90 ha iniziato a lavorare come volontario leggendo libri ad alta voce per non vedenti. Col trascorrere del tempo si è focalizzato ancor di più sull’uso della voce e sulla messa a punto di giochi per promuovere la lettura e la scrittura, che vede strettamente legate. Da sempre cerca di comunicare un’idea di lettura ad alta voce che non parta dalla tecnica e dalla dizione ma dalla capacità di creare interesse e partecipazione, mettendo al centro il libro come ambiente di scoperta. In generale, nei suoi incontri, comincia con una presentazione e qualche domanda, poi legge, quindi, se rimane tempo a disposizione, cerca di coinvolgere i ragazzi o i bambini, in un gioco di creazione di storie o di poesie.
Secondo lo scrittore fiorentino la lettura, se non la si pensa come “ricchezza” per un paese, almeno dovrebbe essere considerata “una infrastruttura” in cui investire oggi per il prossimo futuro…
Un impegno che non deve essere assolto solo dalle istituzioni pubbliche, ma che, al contrario, richiede che anche ognuno di noi, singolarmente, faccia la sua parte coltivando per se stesso, e per gli altri, lo sviluppo di abilità di lettura permanenti (legate non solo alla “classica” comprensione del testo, ma a qualità spesso trascurate come la capacità di dare voce ai personaggi, immaginare gli ambienti, “farsi  davvero prendere” da un libro).


E’ coerentemente con queste convinzioni, utilizzando quel linguaggio preferenziale che lo pone sempre al confine fra gioco e narrazione che Sidoti ha creato il suo ultimo libro. Affascinato da una specie di contraddizione etimologica in italiano, in quanto la parola emozioni nasconde un moto, mentre quando ne parliamo come stati d’animo rimanda a qualcosa di fisso, ha trasformato emozioni e sentimenti in luoghi e territori, insomma “vere nazioni”…
Strutturato come una raccolta di cartoline (25 per l’esattezza), ognuna accompagnata dai variopintie suggestivi  collage del graphic designer Paolo Rinaldi, il libro immerge in un affascinante e fantasioso viaggio a tappe che scruta fino in fondo immaginarie “geografie interiori“.
L’esperienza, raccontata in prima persona dall’autore, si presenta da subito intrigante in quanto lo scritto può essere letto in tanti modi diversi, da soli o in compagnia. Si può iniziare da dove si vuole, si può andare avanti o indietro, si può girare pagina e cercare l’elenco dei confini degli stati d’animo, per decidere dove andare alla fine di ogni brano, creando un itinerario preciso oppure no.
E’ un’accurata, elegante, poetica, sapientemente giocosa, mappa emozionale quella che si è offerta ai miei occhi e al mio cuore immergendomi in questi “stati” …
Ho avuto modo di conoscere gli animali e le persone bizzarre che abitano le terre di fantasia, dove vige una particolare forma di artigianato, la composizione della realtà…
Mi sono confrontata con una calda landa, quella di rabbia, punteggiata da geyser che esplodono regolarmente, e da vulcani con un’intensa attività sotterranea…
Ho avvicinato anche il paese di desiderio, dove si coltiva l’erba voglio e se si sta fermi si soffre della febbre del desiderio…
Ho visitato il paese di speranza, quello che i geografi sentimentali definiscono come un luogo che non esiste, un mito come atlantide, o almeno un altro luogo identificabile con la nostra ostinazione, o con parte delle colline del Tirare avanti. Con un sorriso rasserenato ho verificato che il paese di speranza invece esiste, le sue piccole case sono costruite intorno a un oggetto, ma non sono altari, sono teatri dentro cui rappresentiamo il nostro futuro.


Che sollievo ho provato scoprendo che il paese di fine non è un vicolo cieco, una strada senza uscita, ma il posto dove si dice finalmente e c’è una scuola di fine. Vengono da tutti i paesi per imparare a finire: finire un lavoro, lasciare un vizio, farla finita, capire come andrà a finire… una scuola con corsi strani: come il corso di dire no; così come c’è anche la palestra del tirare le fila…
Toccata e fuga anche nel paese di malinconia sospeso fra le nuvole, da cui scendono fiumi di tristezza e di ispirazione, di umor nero e di sabbia, e al quale si arriva volando, o secondo alcuni cadendo.
Per sbaglio, naturalmente, sono capitata anche nel paese di errore i cui abitanti i refusilli, non si pentono, nemmeno il loro sovrano, il re Fuso. Qui sono tutti contenti, celebrano ogni errore come possibilità creativa, perché sbagliando si impara, nessuno è perfetto ed è tutto molto liberatorio, si cammina leggeri.
Mi sono soffermata, vigile, ai confini dello Stato di Necessità; ho imparato che vi si finisce per colpa di un’urgenza, nessuno ha possibilità di scelta. Si tratta di uno stato affollato ad insaputa degli abitanti, poiché pensano tutti, ognuno singolarmente, di essere gli unici ad avere bisogno. C’è un artista, probabilmente donna, che ha fatto dei murales sulle strade di necessità, sui marciapiedi di forza maggiore, la capitale e sui ciottoli dei quartieri del paesino di proprio così. Sono dipinti grandi e piccoli che scivolano dalla strada sulle pareti e sugli alberi fino a costringerti ad alzare lo sguardo, a guardare oltre, a scoprire quanto è affollata questa regione, a capire che il bisogno che ti ha portato lì è comune a tanti; proprio grazie a questa presa di coscienza puoi trovare dentro di te la capacità di abbandonare un luogo così.
Gradevolissimo attraversare lo stato di nutrimento, dove per nutrirsi davvero bisogna mangiare fuori da sé, andare avanti seguendo l’istinto che è un profumo che riconosci, ti riconosce e che è l’istante.
Così come altrettanto piacevole è stato riscoprire il paese di gioco in cui si inventa in continuazione, ti metti alla prova, indossi emozioni che non conoscevi. Un luogo in cui si impara a fare qualcosa per se stessi ma stando bene con gli altri, in cui si cresce e si rimane bambini, un’autentica oasi di gioia da cui si parte e si ritorna, da soli o in compagnia, e nel quale bisogna anche saper perdere: perdere tempo, le  buone abitudini, perdere la faccia…
Illuminante è stata la ricerca dello Stato di Libertà, uno stato d’animo che non si trova sulle mappe delle regioni interiori. E’ un luogo che ti accoglie, in cui devi ancora scoprire tutto, un luogo in cui puoi dire tutto, e non devi dire niente; si trova dappertutto, dove vuoi, dove sei disposto ad arrivare. Sta a te…
Dopodiché non potevo che approdare nel luminoso stato di felicità per riassaporare la ridente consapevolezza che felicità è una sorpresa inaspettata, coraggio di fare qualcosa. Giace profondamente in me, eppure la cerco allegramente in chi mi sta accanto.
Quelle appena descritte sono solo alcune mete dell’emozionante esplorazione interiore che mi sono trovata a vivere leggendo e il cui senso penso sia riassunto al meglio nelle parole dello stesso Beniamino Sidoti: “Partire da un libro, portarselo dietro, coltivarselo. Non consumarlo: abitarlo, attraversarlo. Che bellezza. Buon Viaggio!”