R E C E N S I O N E
Articolo di Letizia Grassi
Amore, fallimenti, droga, sesso, età e rimpianti: Noah Gundersen torna a far parlare di sé, con un album traboccante di sentimenti e di stati emotivi più disparati. Lover è il quarto album firmato dall’artista, cui ha collaborato anche il produttore Andy J. Park. Due anni di registrazioni, di sperimentazioni e di profonde riflessioni che hanno generato qualcosa di davvero intimo e creativo. I temi affrontati da Gundersen rappresentano la verità di un uomo che, completamente nudo, parla con sé stesso, con la propria coscienza, con i propri fallimenti, con le proprie speranze. In altre parole, con la propria vita. Ogni singola traccia corrisponde ad un dialogo, una conversazione con i momenti più significativi che hanno segnato l’esistenza del cantante. E, perché no, quella dei suoi ascoltatori.
“But when I think of Robin Williams at the end of his rope, it makes no difference what you’re making, the reaper makes the final joke”. Lover si apre con il singolo Robin Williams: un pensiero rivolto al celebre attore morto suicida. Ed è con la riflessione sull’ineluttabilità della morte che Gundersen comincia il suo dialogo. Il brano Robin Williams racconta l’amore, l’ansia, lo spettacolo, la volontà di fare arte in maniera onesta, evocando il ricordo di uno dei comici più amati al mondo. E come può un personaggio che ha dedicato la sua intera vita a cercare di far ridere gli altri essere, in realtà, così profondamente ferito, triste, rotto? Come non riusciamo ad accorgerci che, per davvero, lo siamo tutti, un po’? In questa canzone, probabilmente la più riuscita dell’album, Noah cerca di farci entrare nel suo mondo personale. Forse per mostrarci il luogo da dove trae maggiore ispirazione? Nonostante l’oscurità del testo, il cui significato è estremamente cupo, Robin Williams è una canzone costruita su una melodia molto tranquilla, accompagnata dalla voce pulita di Gundersen, che si conclude con un’ironica affermazione, poiché “no one buys records anymore”.
Crystal Creek prosegue il dialogo di Noah con la fatidica domanda sulla ricerca del proprio posto nel mondo, ma distanziandosi completamente dal singolo precedente. Infatti, è con questa traccia che l’artista mette in mostra tutta sua la creatività musicale. In particolare, la potenza vocalica è risaltata da un prepotente autotune in alcuni momenti, mentre in altri da falsetti, a loro volta sovrastati da vari effetti elettronici.
Il titolo dell’album è ripreso nella terza traccia, Lover, la più carica di rabbia, compassione e serena rassegnazione. Accompagnata da un ronzìo elettronico di sottofondo, la voce di Noah Gundersen dà vita a tutte quelle ferite spesso mascherate con il romanticismo, oppure con sostanze stupefacenti. Una voce che, quasi improvvisa, esplode nel ritornello, trasformandolo in un grido di disperato bisogno di aiuto, perché “I don’t need no lover, but I sure like keeping you around”.
La calma torna con Watermelon, brano introdotto dal suono deciso di un pianoforte e dal tocco definito delle corde di una chitarra, coperto in un secondo momento dalla voce di Gundersen. Attraverso un crescendo continuo, Noah parla con la propria coscienza di ciò che ha fatto in passato e di tutti i problemi che ha vissuto. La voce semi-sussurrata lo diventa completamente quando si rende conto di non sapere cosa fare. Ma niente è perduto, è tempo di cambiare, perché “this hole in my chest won’t let me rest, so I’m trying my best to fill it with you”. Watermelon si trasforma, così, in una bellissima dichiarazione d’amore per la vita, una sorta di presa di consapevolezza della necessità di migliorare sia per sé stessi, che per gli altri. Allo stesso modo di Watermelon, Lose You è guidata principalmente dal pianoforte e dal suono di una chitarra. Caratterizzata da un ritornello particolarmente orecchiabile, Lose You rappresenta una progressione di ritmi, nei quali si districa amabilmente la voce squillante, calma e pulita di Noah.
Nonostante apparentemente si possa pensare ad un assestamento di stile, di ritmo e di tema, ecco Out Of Time per smentire tutto ciò. L’introduzione con il basso trasporta la melodia verso note alquanto psichedeliche, cui fa da sfondo una voce lunatica che alterna suoni profondi a falsetti, avvicinando Gundersen alle tipiche musicalità dei Radiohead. Sussurrii e falsetti si trovano anche in Audrey Hepburn, un brano criptico ed immerso nella vulnerabilità emotiva del cantante. La doppia voce maschile e femminile, allo stesso modo dei suoni delle voci e della vita quotidiana di sottofondo, creano un’atmosfera strumentale perfettamente strutturata ed un ritmo estremamente misurato.
Ricordando l’autotune dei recenti Bon Iver, prende vita la malinconica Older, un ottimo racconto del processo di invecchiamento. Si tratta del brano più orchestrale dell’album, tutto l’opposto di Wild Horses che, invece, dà voce alla vena folk di Gundersen. Con uno strumming acustico in apertura, Noah canta della sua volontà di sgomberarsi del passato, di fermarsi e tornare in sé stesso, libero: “all the wild horses, just want to run free”.
Con So What e Little Cup l’album si avvia verso la fine, sottolineando tutta la linea intimista e profondamente nostalgica che lo caratterizza. Ma il sound e l’atmosfera sono pronti a cambiare ancora una volta con All My Friends, un brano dotato di un’energia pop che aumenta il ritmo in modo divertente. È un dialogo con il Noah Gundersen ventenne e con tutti i piccoli ventenni che si nascondono dentro di noi, per i quali ansie e preoccupazioni possono essere cancellate con una semplice festa tra amici. Perché sì, a volte l’alcool e gli amici sono in grado di spazzare via la solitudine. È vero, si tratta di un momento, di una felicità effimera, potrebbe non durare per sempre, ma è adesso che “me and all my friends gonna live forever”. Gundersen altro non parla che di quella sottile e delicata linea di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, faticosa ma necessaria per la vita.
L’album si chiude con Kamikaze, brano con il quale ritorna l’aria malinconica, dettata da un tranquillo pianoforte che esegue una semplice melodia. Altri suoni si inseriscono all’interno di questa canzone sincera e sognante, in cui Noah si rivolge ad un “suicidal savior” che, intrappolato in un ricordo infelice, sta chiedendo aiuto.
Ed è sull’onda della solitudine che Noah Gundersen conclude questo dialogo intimo, caratterizzato dalla volontà di mostrare le verità più vere della vita. Una dopo l’altra, le canzoni si susseguono tra toni cupi e melodie accattivanti, a tratti esuberanti, incoronate da testi particolarmente diretti ed intriganti.
Lover segna proprio la volontà di Gundersen di conciliare una visione esistenziale fondamentalmente tragica con suoni vivaci e al tempo stesso profondi, una mutevole e traballante rappresentazione della vita stessa. I brani sono il risultato di un intenso lavoro estetico, emotivo e musicale. Attraverso la loro interpretazione, Noah Gundersen riesce nell’intento di raccontare storie emozionali, costruite sul perfetto senso di equilibrio tra speranze e timori.
Inserito in un contesto di suoni altalenanti e condotto dall’intensità della voce del cantante, Lover conferma il talento di un artista in continua evoluzione, che solo nell’intimità dei suoi testi riesce a trovare quella pace interiore tanto agognata.
Tracklist:
Robin Williams
Crystal Creek
Lover
Watermelon
Lose You
Out Of Time
Audrey Hepburn
Older
Wild Horses
So What
Little Cup
All My Friends
Kamikaze
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