R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Avevo ascoltato Erlend Apneseth, con il suo trio nello scorso ottobre a Novara, nell’ambito di NovaraJazz Winter 2019/2020 ed avevo ben compreso di non avere dinnanzi il solito musicista. Frangmentarium è un progetto commissionato in origine per il Kongsberg Jazz Festival, ed ora è un magnifico lavoro discografico, al trio originario con Erlend Apneseth ai violini, Stephan Meidel alla chitarra ed elettronica e Øyivind Hegg-Lunde alle percussioni, si sono uniti Hardanger Stein Urheim alla chitarra ed elettronica, Anja Lauvdal, piano e synt, Hans Hulbaekmo alla batteria, percussioni, arpa ebraica e flauto, Fredrik Luhr Dietrichson al contrabbasso, Ida Lovli Hilde alla fisarmonica.
Quando la musica pesca nel profondo è difficile restare delusi. E qui siamo in presenza di qualcosa che va persino oltre la musica, forse siamo vicini ai suoni delle origini di una terra, come quella norvegese e nordica in generale, che già molto si presta all’introspezione sonora e non solo.
Il titolo dell’album allude chiaramente al lavoro che Erlend Apneseth ha svolto anche negli archivi, alla ricerca di registrazioni folk del passato, spunti che ha magnificamente coniugato, come solo un vero grande artista sa fare, con la sperimentazione che forse per comodità chiamiamo “jazz”, ma che comprende in sé ritmi, armonie e melodie che sembrano scardinare ogni possibile catalogazione. Forse anche l’etichetta di “folk” non è completamente pertinente, giustificata però, oltre che da campioni di “parlato”, tratte dalle registrazioni d’archivio presso il “Folkmusikksenteret”, anche da un magistrale uso di strumenti della tradizione.
Apre l’album “Gangar” che potremmo definire una “ballad”, ma che incomincia con tintinnii, piccole allusioni sonore, “puntillismo musicale” che prende la forma di un flusso e che mette insieme una melodia nascente da un primordiale silenzio, che potrebbe essere a pieno titolo quello di un fiordo o della “Strada dei Troll”. Si prosegue con “Du fallande jord” tutta giocata sulle corde del violino, molto “string” e molto nordica anch’essa. Con “Fragmentarium” si entra nel cuore della ricerca di Erlend Apneseth, dove un intreccio di voci, introduce una trama musicale costruita (e decostruita), dall’arpa ebraica di Hans Hulbaekmo, dai violini, dalle percussioni, in un mirabile “pastiche” sonoro che turba e conforta, stupisce ed inquieta; e poi ancora “Gruvene”, magnifico e strutturato caos di suggestioni nordiche, un laboratorio di suoni che sanno di muschi, ma anche pieni di riferimenti a culture musicali “altre”. “No, etterpå” è un magnifico brano dove il violino di Erlend trasmette tutte le possibili vibrazioni emotive possibili, mentre il successivo “Det mørknar” mostra tutta la capacità di orchestrazione di Erlend Apneseth e del suo gruppo. Se avete un’idea della musica nordica come una musica malinconica, algida e un po’ monocorde, qui troverete confermati tutti i vostri pregiudizi (che sono anche i miei), ma troverete anche che Erlend Apneseth è un musicista incredibilmente raffinato e capace di far sentire il folk (o il folk-jazz), come necessario, qualche volta addirittura indispensabile.
“Idealmente vorrei che la musica contenesse, al tempo stesso, passato e futuro…” Sono le parole di Erlend, che meglio di qualsiasi commento, possono ben rappresentare l’idea originaria di tutta la sua musica. Il disco è uscito lo scorso 31 gennaio e sarebbe imperdonabile perderlo.
Tracklist:
01. Gangar
02. Du fallande jord
03. Fragmentarium
04. Gruvene
05. No, etterpå
06. Det mørknar
07. Omkved
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