I N T E R V I S T A


Articolo di Iolanda Raffaele 

Ganoona è un cantante, rapper e songwriter italo messicano che vive a Milano. La sua musica è una miscela di sonorità black, latin e hip-hop accompagnata da liriche che si distinguono per intensità e originalità. Da poco è uscito il suo ultimo singolo “Bad Vibes” che racconta un mondo di malinconie nascoste, lavori alienanti e divertimenti forzati. Incuriositi dal suo stile, lo abbiamo incontrato per approfondire la sua conoscenza…

Cantante, rapper e songwriter, quando hai iniziato a coltivare la tua passione per la musica e hai scelto il tuo genere?

Ho sempre amato la musica e sono stato da sempre un ascoltatore vorace.

La prima canzone che ho registrato era dedicata a un mio amico che cambiava città, in quarta elementare. La registrai su una cassettina con quei registratori giocattolo che andavano negli anni ’90. Il mio primo amore è stato il Rap. Ma anche quando mi convincevo di voler fare il rapper sapevo che dentro di me c’erano anche altre influenze. Le sonorità latine che ho ascoltato da sempre grazie a mio padre, il cantautorato italiano, il soul, l’RnB. Il genere che faccio oggi direi che è un ibrido, un ponte tra tutte queste influenze. Studiare musica e canto a livello accademico è stato imprescindibile per fare quello che faccio oggi.

Quali sono i musicisti, solisti o gruppi dello scenario nazionale e internazionale, a cui ti sei ispirato e ti ispiri?

Come dicevo ho molte influenze. Se dovessi farti solo tre nomi direi: Lucio Dalla, Otis Redding e Residente Calle 13.

La tua vita è contrassegnata soprattutto da Italia e Messico, quali sono i fattori positivi di impulso e le difficoltà, se ci sono state, che hai riscontrato in questi due paesi nel tuo percorso di artista e nel comporre?

Nascere da una coppia mista non è facile. Come non è facile la vita delle seconde generazioni di immigrazione. Dentro nascono dei contrasti difficili da gestire. Spesso i figli di coppie miste a una certa età decidono da che parte stare, e rinnegano l’altra. E’ molto complesso accettare due culture molto diverse dentro di sé. Io non potrei mai scegliere tra sentirmi solo italiano o solo messicano. Fare musica per me è l’occasione di essere semplicemente me stesso, con le mie contraddizioni, incongruenze e unicità. Faccio una musica che mi assomiglia, una musica meticcia. La musica è la mia occasione di sentirmi tutt’uno.

Nel 2018 il brano dal titolo “Polaretti”, in collaborazione con Kayla viene selezionato come “Artists to watch – il suono del 2019” da Youtube Music. Che esperienza è stata?

Ho conosciuto Kayla sul web. Mi scrisse perché l’aveva colpita un mio pezzo “Come un pazzo”. Lei si era da poco trasferita a Milano, quindi iniziammo a beccarci e a parlare di musica. Lei mi fece sentire il provino di “Polaretti” e mi piacque subito molto. Scrissi una strofa di getto e decidemmo di trasformare il pezzo in un featuring. Lavorare in studio con Polezsky, il produttore del brano e uno dei più forti in Italia a mio parere, è stato incredibile e ho imparato tanto. Quando abbiamo chiuso il pezzo ci siamo detti: ‘sta roba è avanti. Ed essere stati selezionati da Youtube è stata una piccola grande soddisfazione e una conferma che la strada era quella giusta.

A novembre 2019 esce “Cent’anni”, sonorità black, latin e hip hop e richiami alla letteratura e al romanzo “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Parlaci di questo suggestivo inedito.

Nasce da un’esperienza personale. Per la prima volta nella mia vita mi sono sentito davvero tradito da una persona, non in senso romantico, ma altrettanto dolorosamente. Un’amicizia tossica può essere dannosa quanto un amore tossico. Avevo bisogno di buttare fuori queste sensazioni.

La metafora della serpe in seno attraversa tutto il brano e ha influenzato anche il paesaggio sonoro. Abbiamo creato un arrangiamento minimale, arido, quasi desertico, con queste percussioni molto asciutte che danno davvero la sensazione di essere in un deserto del nord del Messico. Il riferimento al romanzo di Marquez è un omaggio alla cultura latino-americana e a un autore che amo molto. Lo stile di Marquez viene definito “realismo magico” e, con le dovute proporzioni, mi rispecchio in questa corrente artistica. Anche nei miei brani la quotidianità più banale si mischia a un tessuto emotivo che prende quasi vita, e diventa magia, irrazionalità.

Arriviamo al 21 aprile, data di uscita di “Bad Vibes”, un brano che arriva in un momento particolare per tutti, segnato dall’isolamento e dalle incertezze del Covid-19, e che vuole allontanare le energie negative che ci hanno quasi travolto. Qual è l’origine di questo singolo e che messaggio hai voluto lanciare?

Ho scritto il testo in un momento complicato, in cui mi sentivo solo e insoddisfatto.

L’ho scritta al pianoforte, voce e accordi, nuda e cruda. In generale Bad Vibes parla del senso di inadeguatezza e del bisogno di contatti umani sinceri. E’ un grido liberatorio, purificatore dalle energie negative. Spesso la prima cosa che facciamo appena svegli è guardare lo schermo dello smartphone, come se fosse un oracolo, senza accorgerci di essere finiti inconsapevolmente in un episodio di Black Mirror. Come sempre la maggior fonte di ispirazione è la mia vita e quello che mi succede. In particolare ero a una festa piuttosto noiosa, piena di persone che non si sopportavano a vicenda, ma si sforzavano di divertirsi, quando ho iniziato a pensare al pezzo.

La tua musica senza dubbio è molto suggestiva e coinvolgente. In quest’ultimo lavoro si intrecciano sonorità urban pop, ma anche RnB e Soul e percussioni, che legame sei riuscito a creare tra musica e parole?

Non c’è mai una scelta presa a tavolino dietro un mio brano. Lascio che l’argomento e l’atmosfera emotiva del brano mi suggeriscano che tipo di sonorità utilizzare. In generale i miei poli di influenza sono black music, sonorità latine e Rap, quindi, a seconda del brano in primo piano uno di questi aspetti e gli altri saranno più da sfondo. In generale do molta importanza alle percussioni che, insieme alla voce, secondo me ormai fanno la canzone.

E tu come cerchi di respingere dalla tua vita personale e professionale le bad vibes?

Cerco di essere fedele a me stesso, guardarmi allo specchio e non scappare sempre dalla mia interiorità. Alla fine spesso le bad vibes siamo noi stessi ad attirarle quando abbiamo qualcosa di irrisolto dentro di noi. Se ci prendiamo un momento per ascoltarci magari poi smetterà di sembrarci che il mondo ce l’abbia con noi. Il vittimismo non ha mai aiutato nessuno.

Il video realizzato da Lorenzo Chiesa è un’autentica dimostrazione di ricerca di libertà, di sfogo dopo la lunga chiusura. Che cos’è per te la libertà?

La libertà più grande credo sia poter essere se stessi senza dover chiedere permesso o scusa. Dato il periodo direi che la libertà è un concetto importante. La libertà di una donna di camminare per strada senza subire commenti o molestie, la libertà di un uomo non bianco di girare per strada senza avere paura della polizia, la libertà di avere un lavoro. La libertà per me coincide spesso con la dignità. Anche se veniamo messi in gabbia la creatività è sempre una via di fuga.

Quanto ti manca il pubblico e cosa farai la prima volta che risalirai su un palco?

Mi manca moltissimo. La prima cosa che farò sarà guardare negli occhi le persone. Sentire la loro energia. L’energia della gente è come l’onda che cavalcano i performer. Senza è come far finta di fare surf con la tavola ferma sul cemento. Non vedo l’ora di tornare a suonare dal vivo come si deve.

Ci sono progetti in cantiere che puoi svelarci anche in parte?

Sto lavorando al disco. È possibile che esca in autunno, sicuramente entro la fine dell’anno. Intanto con certezza posso dire che a giugno uscirà il prossimo singolo. E’ un brano che per me significa moltissimo e non vedo l’ora di condividerlo.

Grazie di essere stato in nostra compagnia (virtualmente)

A presto