R E C E N S I O N E
Articolo di Claudia Losini
Come si combatte quella nostalgia dell’epoca d’oro dell’indie, quegli anni che dal 2001 al 2006 hanno accompagnato la post adolescenza di tante persone? I Clap Your Hands Say Yeah non fanno altro che alimentare questo sentimento: con il loro omonimo primo disco, uscito nel 2005, autoprodotto, dal sapore lo-fi e quella voce così particolare, quella di Alec Ounsworth, così sfacciata nel suo essere stonata senza troppe pretese, un po’ come era quella di Daniel Johnston.
Dopo 15 anni la band di New York torna con un disco, forse il più politico e il più completo da quell’esordio che ha aperto la strada a tantissime band indie. Il titolo, New fragility, è ispirato da un racconto di Wallace, “Per sempre lassù”, un racconto di fragilità, coraggio e candida bellezza di un ragazzino che sale una scaletta per tuffarsi in piscina, il giorno del suo compleanno, metafora del suo affacciarsi alla pubertà e quindi all’età adulta.
Forse è proprio la necessità di immortalare il candore e la fragilità di un momento prima di crescere, che hanno spinto Alec a scrivere questo disco: Innocent Weight forse è uno dei brani più belli, un inno ai tempi passati, quando si ballava senza una ragione apparente, e ora che è tutto cambiato ci si domanda cosa è andato storto. O Mirror Song, dove il passato di condensa in tristi ricordi e domande (qui anche la sua storia personale e un divorzio alimentano l’atmosfera malinconica).
E poi c’è quel pezzo, CYHSY, 2005, che pare messo apposta a ricordarci chi eravamo, come eravamo giovani, quante vite avevamo davanti e non ci importava quale avremmo scelto, “who am I to question fate?” d’altronde, dice Alec.
Penso sia ancora più complicato – di fronte al sentirsi adulti e all’essere impotenti spettatori di una situazione politica e sociale sempre più disastrosa (le canzoni Hesitating Nation o Thousand Oaks parlano proprio di questo) – riuscire a combattere quel filo di nostalgia che permea i nostri ascolti, la nostra musica preferita, perché di fronte all’età adulta spesso vogliamo ritrovare quel luogo dove per miracolo possiamo eliminare tutti questi pensieri accumulatisi negli anni, come in Where they perform miracles, una ballata struggente e splendida nella sua semplicità, accompagnata da una armonica.
Perché in fondo gira tutto intorno a chi eravamo, a chi avremmo voluto essere, a cosa siamo diventati e al cercare di uscire dalla vita sempre un po’ migliorati. Forse non ci dobbiamo staccare da quella nostalgia, forse ne abbiamo bisogno, perché ogni tanto fa stare bene stare seduti su un divano, a casa, a riascoltare quella band che tanti anni fa ti aveva visto affacciarti alla vita e che ti conforta dicendo che sì, la vita è dura, ma la musica è un’ottima terapia.
Tracklist:
01. Hesitating Nation
02. Thousand Oaks
03. Dee, Forgiven
04. New Fragility
05. Innocent Weight
06. Mirror Song
07. CYHSY, 2005
08. Where They Perform Miracles
09. Went Looking For Trouble
10. If I Were More Like Jesus
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