R E C E N S I O N E


Recensione di Francesca Marchesini

I remember every scar that’s on your skin
Secret paths to where you start and I begin to want you again

(Ya Tseen ft. Portugal. The Man, Knives, 2021)

Indian Yard è l’album d’esordio della band Ya Tseen, composta da Zak D. Wass, Otis Calvin III e Nicholas Galanin; quest’ultimo, oltre ad essere fondatore del gruppo risulta il membro più attivo non solo musicalmente, ma anche artisticamente. Oltre alla produzione di dischi sotto diversi pseudonimi e la collaborazione con svariati musicisti, Galanin ha messo a frutto la sua creatività spaziando fra generi molto differenti (dai video alla scultura, dalla gioielleria alla fotografia), arrivando nel 2020 ad esporre i suoi lavori alla Biennale d’arte contemporanea di Sidney.
L’elemento che unisce l’arte di Galanin con la musica degli Ya Tseen è il tema della giustizia sociale; attraverso l’inedito Indian Yard, la formazione vuole trasmettere messaggi centrati sull’urgenza climatica e la necessità di istituire nuovi sistemi sociali che riconoscano il potere delle minoranze etniche (lo stesso Galanin è parte della comunità indigena dell’Alaska, USA). Per fare questo gli Ya Tseen sviluppano liriche pregne di desiderio e frustrazione, abbinandole poi a un suono elettronico al confine con il futuristico.

Questo debutto full lenght rivela al suo interno un range di stili davvero impressionanti; nonostante ciò, il disco non rischia di sembrare un miscuglio di singoli, anzi il tutto appare molto ben amalgamato. Ci si destreggia fra tracce più pop e fruibili, come Knives e Light the Torch, e brani evidentemente più funky (Get Yourself Together); alcune canzoni più sperimentali, è il caso di a Feeling Undefined, rivelano una vicinanza al mondo hip hop e rap dettata anche dalle svariate collaborazioni presenti nella produzione. Fra i diversi featuring, quello che si fa notare maggiormente, per le sonorità oscure e disturbate, è la canzone Back in that time realizzata con Qacung.
Ascoltare Indian Yard nella sua interezza, non è sicuramente facile per chi non è abituato all’autotune. L’uso di questo effetto sonoro, tanto odiato dai “cultori” musicali, è in realtà proprio ciò che fa spiccare il sound degli Ya Tsee; il funk e l’elettronica si fondono armoniosamente con una voce che, proprio per l’impiego di falsetto e autotune, svela una natura quasi estraniante. C’è un detto che recita: non bisogna fare di tutta l’erba un fascio; additare Indian Yard come album trap solo per il semplice uso di questo software sarebbe un errore davvero grossolano, soprattutto in quanto l’ascolto attento mostra come gli Ya Tseen siano semplicemente un’entità al di là dei generi… in pieno stile Arca.


Tracklist:
01. Knives (ft. Portugal. The Man)
02. Light the Torch

03. Born into Rain (ft. rum.gold & tunia)
04. At Tugáni
05. Get Yourself Together
06. Close the Distance
07. We Just Sit and Smile Here in Silence
08. A Feeling Undefined (ft. Nick Hakim & Iska Dhaaf)
09. Synthetic Gods (ft. Shabazz Palaces & Stas THEE Boss)
10. Gently to the Sun (ft. Tay Sean)
11. Back in that time (ft. Qacung)