I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
Da quando, nel gennaio 2020, è uscito il singolo Senza di me, il nome di svegliaginevra ha iniziato a circolare con grande insistenza tra pubblico e addetti ai lavori. Scoperta e lanciata da La Clinica Dischi, l’etichetta spezzina che è una delle realtà più interessanti nel panorama italiano indipendente, Ginevra, campana di origine ma all’epoca operante a Roma, ha raggranellato sempre più consensi, dapprima col secondo singolo Simone, poi grazie a Come fanno le onde, che è entrata in tutte le principali Playlist dedicate ed ha raggiunto in pochi mesi un milione di stream. Fa strano ragionare in questi termini ma d’altronde il mondo è cambiato, oggi il supporto fisico non esiste più e i numeri del successo sono relativi a realtà sconosciute fino a poco tempo fa. Lei però è una della vecchia scuola, si è formata nella tradizione anglosassone e il concetto di “album” lo considera assolutamente irrinunciabile. Ecco dunque che, arricchita dalla partecipazione a Sanremo Giovani, dove col brano Punto è arrivata tra i sessanta finalisti, è pronta a debuttare con Le tasche bucate di felicità, dodici canzoni per mezz’ora di musica, dove ci sono tutti gli ingredienti possibili per innamorarsi della sua proposta: una scrittura leggera e fulminante, con melodie e ritornelli agrodolci di una bellezza assoluta, un mood da cameretta che cita l’It Pop, il cantautorato ma che a più riprese sembra la versione italiana della malinconia agrodolce che un gruppo come i Belle and Sebastian ha trasformato nel proprio marchio di fabbrica.
Ne abbiamo parlato con la diretta interessata all’orario dell’aperitivo, comodamente seduti in un bar sui Navigli. Milano è la città dove da un anno circa si è trasferita e proprio qui, il 18 giugno, prenderà il via il primo tour della sua carriera.

Nel tuo album d’esordio, oltre ai pezzi inediti, hai deciso di includere anche tutti quelli che hai pubblicato come singoli dall’inizio del tuo progetto: una scelta piuttosto inusuale, se consideriamo che alcuni di essi sono usciti anche più di un anno fa.
Alla fine sono sempre io, anche se il materiale nuovo si discosta un po’ dai suoni che ci si era abituati a sentire sui singoli…
In che senso?
I pezzi nuovi hanno un maggior carattere introspettivo, sono l’anti singolo per eccellenza, probabilmente rispecchiano di più quelle che sono le mie influenze più forti, dal Folk all’Alternative Rock, queste cose qui. Le ho volute mettere tutte perché rispecchiano il percorso che ho fatto in Clinica: ogni pezzo ha un significato preciso, racconto diverse sfaccettature di diverse storie, ci sono tutti i sentimenti che ho provato nelle canzoni che ho scritto ed era quindi giusto che ci fossero tutte.
In generale ho notato che sono tutti brani uniti da un unico filo conduttore: il rapporto affettivo con un’altra persona, a cui spesso ti rivolgi, in una sorta di dialogo continuo che tende a ripercorrere gli avvenimenti passati ma anche a definire in qualche modo le prospettive per il futuro, capire se ci sono le occasioni per ripartire…
È il mio modo di comunicare, quello di scrivere dei dialoghi in modo tale da porre l’ascoltatore nel luogo in cui vorrei che fosse. Il modo in cui scrivo mi permette di spiegare bene quello che provo e di farlo in maniera empatica. Scrivo in questa maniera molto raccontata, molto dialogata ma non è una cosa voluta, è che cerco di spiegare nel modo più semplice quello che ho provato. Per cui sì, tutte le canzoni sono fatte in questo modo perché sono io che scrivo così, non solo perché c’è un filo conduttore tra i vari pezzi. Per dire, probabilmente anche le canzoni che usciranno in seguito seguiranno lo stesso procedimento..
Il disco s’intitola “Le tasche bucate di felicità”, che è un verso tratto da “La moda di fare cazzate”. L’hai scelto alla fine, perché ti sei accorta che sintetizzava al meglio le tematiche affrontate?
Esatto. Avevo bisogno di una frase che non fosse il titolo di una canzone, perché è una cosa che odio. Non ci fosse stata tra i versi delle canzoni probabilmente l’avrei inventata. Però per fortuna c’era quella lì, che oltretutto proviene da una delle canzoni a cui sono più legata, che descrive sostanzialmente quel fenomeno per cui hai la felicità davanti agli occhi ma non riesci ad averne il controllo, non riesci quasi ad accettarla. Solo dopo, in genere, ci rendiamo conto di aver avuto la possibilità di essere felici e di non averla colta. Perché poi essere felici è molto difficile, molto più che essere tristi. Siamo abituati ad una serie di dinamiche che ci portano a vivere sempre le stesse cose, ad incontrare le stesse tipologie di persone, si fa fatica ad accettare fenomeni a cui non siamo abituati, come la felicità. Il senso delle tasche bucate sta proprio qui: tantissima felicità che però si perde per strada.
Come se fossero più dei momenti staccati tra loro, piuttosto che una condizione duratura…
Assolutamente sì.
“La moda di fare cazzate”, comunque, è un titolo molto suggestivo…
Il brano parla semplicemente dell’incontro con la persona di cui parlo nel disco ed è la difficoltà di chiudere una storia, la difficoltà di dire che va tutto bene anche se poi non ci si vede più, perché poi sono storie che non si chiudono per forza di cose perché l’amore è finito. Magari l’amore c’è ma manca tutto il resto, quindi quel tipo di desiderio rimarrà, resterà tutte le volte che incontrerai quella persona. Razionalizziamo, ci facciamo domande, cerchiamo di capire come e cosa ma poi alla fine agiamo d’istinto, l’istinto rimane una componente ineliminabile di noi.
È un disco poco focalizzato sui luoghi, però tra questi c’è San Lorenzo, che dà il titolo all’omonima canzone, che credo racconti il tuo periodo romano…
Sì, racconta proprio l’ultima serata che ho vissuto a Roma. Era agosto, infatti nel testo cito settembre. Mi piaceva l’idea di lasciare questa città con una canzone e quindi ho scelto San Lorenzo, che è il posto in cui tutti noi brindiamo, festeggiamo, facciamo serata.
E poi c’è il mare, che è presente in più di un brano…
Il mare compare tante volte ma non è proprio il mare in sé e per sé. “Mare” la amo molto proprio come parola: normalmente tendo ad utilizzare vocaboli che mi piacciono sia per il suono che per il significato. E non è detto infatti che “mare” sia soltanto il mare. Può indicare anche la vastità in generale, la profondità che si ritrova in una persona, in un oggetto, in un luogo…
È anche un disco che ha poco a che fare con l’It Pop nella sua declinazione comune…
I singoli un po’ sì, dai…
Quelli sono più immediati, è vero, però in generale è un lavoro che sembra guardare piuttosto ad un certo Indie Pop di marca anglosassone o scandinava, per certi aspetti mi ha ricordato i Pastels o gli Alpaca Sports. Non so se ne eri cosciente mentre lo scrivevi…
Assolutamente sì. Io poi ho delle influenze che sono molto distanti tra loro: parto dal cantautorato di Battisti, Dalla, quello che credo o mi auguro che tutti noi abbiamo ascoltato, e poi mi allontano e attraverso tutto il mondo dell’Indie Folk, in particolare quello anglosassone per quanto riguarda i suoni, l’Alternative tipo Bon Iver e Sufjan Stevens, un po’ anche gli Arctic Monkeys; credo che in generale suoni così anche perché Leo (Leonardo Lombardi, conosciuto col monicker di ELLE NDA), il produttore del disco, ha davvero dei gusti affini ai miei, quindi su certe cose ci incastriamo alla perfezione ed e come se risaltasse questo enorme bacino d’influenza… comunque sì, è tutto voluto, sia a livello di strutture, sia sul mio modo mio di utilizzare la voce, il fare sì che diventi proprio uno strumento, piuttosto che una semplice voce che racconta.
E poi hai veramente una grande facilità di scrittura, soprattutto i ritornelli sono tutti perfettamente indovinati…
Scrivo veramente tanto e in pochissimo tempo, le cose mi escono fuori di getto. Il lavoro vero lo faccio dopo, quando passo in rassegna parole e frasi e sostituisco qualcosa, però la melodia arriva subito, normalmente.
Sui pezzi pesa molto anche il lavoro di produzione, veramente bello e con una gran cura dei dettagli…
Lui ha una grandissima dote, che è proprio questa enorme attenzione alle piccole cose. Ci sono alcuni elementi, nella scrittura o nei testi, che lui ha voluto sottolineare con certe soluzioni di arrangiamento, ci sono cose che c’erano anche nelle mie pre produzioni, perché io quando scrivo pre produco con Logic, chiaramente non con una resa eccelsa…
Quindi non gliele porti chitarra e voce? Ci sono anche idee tue in sede di produzione?
Ci sono anche idee mie che poi lui completa oppure stravolge totalmente l’arrangiamento, come ad esempio “Una serie”…
Mi piace molto, quella…
È uno degli arrangiamenti che amo di più in assoluto ed è anche uno dei miei pezzi preferiti, nonostante in realtà non sia bello dirlo, li amo tutti. Non parla di una serie Tv in particolare, piuttosto di una serie di circostanze nella quale puntualmente ci ritroviamo, come ti dicevo prima, e che facciamo fatica ad allontanare. Ad esempio il non cominciare una cosa, o il cominciarla e non godersela appieno… e l’arrangiamento che Leo ha tirato fuori porta il brano a non avere una vera e propria conclusione, cosa che si collega al concetto espresso nel testo…

In effetti è molto più eterea, non direi proprio Dream Pop ma…
Sì, ha comunque questo suono sognante ed elettronico…
È anche più “sospesa” e non per forza focalizzata sul ritornello, rispetto alle altre…
Sì, in generale si sa dove c’è l’hook del pezzo, in questa invece è come un racconto che proceda tutto d’un fiato…
Colpisce anche “Elastico”, che chiude il disco nel modo più semplice, chitarra e voce, quasi un ritorno all’essenzialità con cui nascono i tuoi pezzi…
“Elastico” non sarebbe neppure dovuta entrare nel disco. Dopo le registrazioni pensavo di avere finito, avevo archiviato il tutto e stavo quasi già pensando alle nuove canzoni. Nel frattempo però ho voluto ripulirmi da tutto il lavoro che avevo fatto ed è stato allora che ho sentito il desiderio di tornare alla me originale, a quella Ginevra chitarra e voce, più cantautorale e allo stesso tempo con una sfaccettatura maggiormente Folk. E a quel punto mi sono resa conto che nel disco mancava una traccia veramente intima che fosse adatta per chiuderlo. Una cosa del tipo: “Adesso siamo qui solo noi e posso aprirmi veramente.” Perché io normalmente sono molto confidenziale, sono super riservata ma poi nelle canzoni mi apro e racconto molto. “Elastico” infatti è un pezzo molto intimo, lì dentro ho detto delle cose che normalmente faccio fatica anche a dire a me stessa.
E infatti c’è quel ritornello che dice: “Ma che cosa abbiamo fatto?” che credo si possa ricollegare al titolo del disco, no?
Esatto, si ricollega al titolo ed è per questo che mi sono accorta di averne bisogno, perché mancava un brano che chiudesse l’intero lavoro e ne riassumesse il senso.
Chi ha suonato in studio?
Ha fatto tutto Leo. Io ovviamente canto e suono la chitarra, mentre le batterie sono tutti sample, campionamenti. Poi chiaramente nel tour saremo in quattro e suoneremo tutto…
Ecco appunto, parliamo un po’ della band che ti accompagnerà in giro…
La prima cosa che ho provato quando abbiamo iniziato a fare le prove è stata: “Questi pezzi stanno prendendo vita!”. Anche solo il volume che ti arriva quando suoni, per non parlare del fatto che sono uscita fuori a gennaio 2020 e il mio progetto non ha praticamente mai visto il palco… quindi a livello emozionale era una cosa che facevo fatica a gestire. Poi i ragazzi sono fantastici: con me c’è Leo, che suona tutto quello che c’è da suonare, a parte batteria e sequenze, di cui si occuperà un altro ragazzo, mentre al basso ci sarà Sabia che è un altro artista di Clinica…

Sì certo, lo conosco, ho anche recensito il suo disco…
Che è bellissimo, tra l’altro!
Suonerai la chitarra anche dal vivo?
Sì certo, in tutti i pezzi. E poi la suonerà anche Leo, che però sarà un po’ il Jolly, visto che si occuperà anche di piano e Synth.
E le versioni che proporrete saranno le stesse del disco?
Sarà tutto uguale al disco, ho proprio preteso che fosse così.
Altre date oltre a quella di Milano del 18 giugno?
Ufficializzeremo a breve il calendario del tour, che sarà organizzato da BPM.
Sei originaria di Benevento, hai vissuto diversi anni a Roma e poi ti sei trasferita a Milano, dove vivi tuttora. Mi piacerebbe sapere che differenze hai riscontrato tra queste due città, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto musicale…
Ecco, su questo non so risponderti perché mi sono trasferita ad agosto dello scorso anno, appena passata la prima ondata, e praticamente non ho avuto una vita sociale. Sono riuscita però a vedere qualche concerto e mi sono resa conto di essere venuta qui perché questo è il fulcro della musica, perché è dove si organizzano gli eventi più importanti, dove ci sono le migliori Public relation, dove incontri chiunque ecc. Mi sembrava anche bello trasferirmi in una città dove non ero mai stata perché, come ben sai, mi piace tantissimo viaggiare e vedere posti nuovi. Sono stra contenta di essere qui e sono anche più vicina a Clinica, tra l’altro!
Non è un dato da poco, in effetti. Che poi è proprio un ambiente fuori dal comune, quello: è proprio come se si trattasse di una famiglia, no?
Siamo veramente tutti fratelli ma non è quella cosa che si dice tanto per dire, è proprio così, ci ascoltiamo l’uno con l’altro, ci sottoponiamo in anteprima i rispettivi progetti… è proprio bello ma sono anche bravi loro a creare questo tipo di ambiente dove non c’è competizione, se uno di noi fa bene fa bene per tutti, è questo il concetto.
Probabilmente il frutto più evidente di questo clima che c’è tra di voi è “Barche”, il brano che hai scritto con Apice e di cui avevamo già parlato l’anno scorso. Alla fine anche questa è finita sul disco e non me l’aspettavo: la vedevo più come una canzone a quattro mani, piuttosto che come un brano tuo…
Non ci sono state riflessioni in merito, quando l’abbiamo scritta non ci abbiamo proprio pensato, l’abbiamo fatta e basta! Io volevo assolutamente che fosse sul disco perché è veramente un onore per me che lui faccia parte di questo lavoro, è una delle cose più belle, questo suo feat; il modo in cui lui comunica, che è diversissimo dal mio ma anche molto affine, entrambi abbiamo la necessità di mettere nero su bianco tutto quello che ci balza in testa…
È una canzone particolare perché è composta da due parti molto diverse che si incastrano alla perfezione…
In maniera del tutto inaspettata tra l’altro, neanche noi ci aspettavamo una cosa così, volevamo semplicemente scrivere insieme.
Avete in effetti due voci e due impostazioni molto diverse…
Io sono molto più dreaming, lui è molto più “te lo urlo, se devo”!
Prima hai detto che terminato il disco stavi quasi iniziando a pensare al secondo. Significa che ci sono canzoni nuove in giro?
Io scrivo sempre, per il disco erano circa 40 tracce e ne abbiamo scelte 12. Infatti tutti mi hanno chiesto: “Ma perché hai fatto uscire un disco che adesso non si usa più?” ma io sono proprio vecchia scuola, per me il disco è fondamentale. E poi avevo i pezzi, non li avessi avuti ma invece ce li abbiamo, quindi perché no?
Quindi vuol dire che il 18 a Milano ascolteremo anche qualche pezzo nuovo?
Potrebbe succedere…
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