R E C E N S I O N E


Recensione di Arianna Mancini

“Racconti dal Terramar/ Svegliato con i corvi che si nutrono dal palmo della mano nella mia veranda/ Indosso il mio abito nero e navigo lungo la punta delle dita di Dio”. È l’incipit della title track che apre il nuovo album di Christian Gibbs, aka C.Gibbs, per questa sua nuova pubblicazione. Sin dalle prime righe di testo si ha già il sentore di aver a che fare con del materiale istrionico dotato di un certo spessore e con un personaggio che non può passare inosservato.
Il nostro “cantastorie” del Terramar nasce a San Diego, al momento di intraprendere una formazione accademica segue un percorso inverso a quello di innumerevoli musicisti europei, che si trasferiscono negli Stati Uniti, e studia musica all’Imperial College di Londra. Versatile polistrumentista e compositore, il suo curriculum musicale lo vede impegnato su più fronti con varie formazioni appartenenti a generi diversi, dagli albori new wave londinesi al suo trasferimento a New York dove fonda ad inizio anni ‘90 il trio post-punk Morning Glories. I primi anni duemila lo vedono come autore e alla guida dei Lucinda Black Bear, band folk rock con venature psichedeliche dal songwriting accurato e dagli arrangiamenti raffinati, che nella formazione include anche un duetto d’archi. Motherwell Johnston, dalle tinte graffianti rock-blues, He Arrived by Helicopter,con spazi sonori più strumentali tesi alla sperimentazione con ampio impiego di synth, e gli album pubblicati a suo nome, sono altre espressioni del suo spirito vulcanico. Si esibisce anche come musicista di sessione collaborando, fra i tanti, con la realtà dell’industrial rock d’avanguardia di Foetus e in tour con  Dave Vanian and the Phantom Chords. Inoltre, dopo il suo battesimo nel mondo delle major con Atlantic Records, fonda la sua casa discografica, la Eastern Spurs Recordings, che tutt’ora dirige.

Ai crediti musicali unisce la passione per il teatro, a cui si dedica in veste di attore o meglio, come preferisce definirlo lui stesso: “recitatore di parole e movimenti fisici pre-composti”. Per citarne alcuni, si è esibito nel musical rock di Broadway Passing Strange e nell’omonimo film diretto da Spike Lee, all’Oregon Shakespeare Festival in The Family Album (scritto da Stew e Heidi Rodewald) e recitato monologhi, fatto danza improvvisata e contribuito alle musiche nello spettacolo svizzero Love and Happiness, creazione di Phil Hayes e Christophe Jacquet.
La sua passione per la creazione lo porta ad esplorare anche il mondo dell’arte terapia, collaborando con la squadra Rock to Recovery di San Diego, nel progetto che ha come fine di aiutare attraverso la musica i pazienti dei centri di recupero e delle strutture per le malattie mentali. Gibbs mette a disposizione il suo talento ed i suoi strumenti aiutando questo meraviglioso gruppo, che si impegna nell’insegnare l’arte del songwriting e della composizione a non musicisti, in ogni sua evoluzione. Si scrive una canzone, la si suona e registra mettendola poi online.

Tales from the Terramar, è la sua recente espressione creativa, pubblicata lo scorso 17 settembre. Un album che custodisce frammenti di passato e germogli di un nuovo stile di vita. Alcuni brani sono stati composti a New York, altri nei quattro mesi trascorsi a Zurigo, in cui si è esibito in una pièce di teatro musicale, ed infine abbiamo brani composti a San Diego. Chris torna nella sua terra natia, la California. Inizialmente si tratta di una fuga dalla metropoli e dalle ristrettezze imposte dalla pandemia, ma quello che inizialmente sembra un soggiorno temporaneo forzato, prende sempre più forma come una svolta, un nuovo trasferimento. L’eclettico cantautore ritrova le sue radici riscoprendo nuovi ritmi di vita, l’amore per la natura, per l’oceano e per il surf.
Si tratta di un album denso e miscellaneo, sia a livello di contenuti che dal punto di vista sonoro. Vengono toccate tematiche che evocano dipendenza, rinnovamento, suicidio, tentazione, contrasto fra il mondo industriale e quello naturale e il ritorno a casa. Le melodie si articolano in un arcobaleno di suoni, tinte soul-blues, sprazzi folk, virate hardcore e punk, accenni pop e tribal-gospel.
Nel dare forma concreta alla sua creatura Gibbs, timoniere alla voce e chitarra, prende il largo con Matt Brandau al basso, Tim Kuhl alla batteria e Philip Sterk alla pedal steel.    

Il fonogramma che apre l’album è “un mantra dell’oceano”, come definisce l’autore stesso, ispirato e concepito sulla costiera del Terramar, poco distante dalla sua abitazione, luogo di ritiro per i momenti di solitudine e in cui l’oceano appare in tutto il suo splendore con uno straordinario punto di reef break. Questo brano vede la partecipazione di Christopher Hoffee al basso e Matt Lynott alla batteria, della sezione ritmica di San Diego The White Buffalo. Il ritmo entra subito pieno e senza spigolosità, cadenzato dalla voce calda di Gibbs. L’atmosfera è in perfetta sintonia con il video diretto da Austin Lynn Austin, che sovrappone una serie di immagini tratte da viaggi e di vita familiare di Gibbs con le immagini dell’oceano e della rottura delle onde che tornano costanti, simbolo delle sue radici, di un ritorno a casa. “Alcuni posti devono essere lasciati per sapere cosa ti manca”.
Segue She’s the Gun of Me che nasce su una melodia in tinte gospel per fondersi poi con le sfumature di un blues che pullula di vibrante energia con intensi assolo di chitarra. Il brano affronta tematiche di dipendenza: “Lady I know/ The darkness is mine/ But you’re the gun of me/ With a trigger so fine.”
Hotel Indochine, con la sua cadenza ritmata e fluida, ci porta in modalità on the road, magari in sella ad una roboante Harley ed evoca spazi aperti e la strada che scorre veloce.
Gemini e A Knife Named Clara, scritte durante il suo soggiorno teatrale a Zurigo, sono due canzoni dai timbri sonori antitetici. Granitica con incursioni noise – stoner la prima, avvolta di oscurità pop la seconda in cui si parla di tentazioni.
La strumentale Angel Moss nasce con un ritmo lento e vocalizzi che ricordano le forme sonore tribali dei nativi americani, un breve momento acustico minimale che regala la sua magia. Keep on Building Boys ci porta nella quotidianità su velati ritmi di nostalgia pop.
È il momento di Geraldine, suadente e vellutata ballata blues, avvolta da malinconico erotismo: “Time is too short/ To make me dance here alone”.   
Seguono minuti di cupezza con Lady Bird, che si apre con distorsioni sintonizzandosi su tonalità slowcore. Tutto ruota attorno all’accettazione della morte di una persona cara e nel trovare modi per reinventarla. “Il lampo sotto le tue ali/ È arrivato da te prima del tuo tempo”. Momento toccante per il nostro cantautore, sua madre soffriva di una malattia mentale e si tolse la vita quando lui era giovane.
Sonorità più pacatamente folk ci avvolgono con The Upstream in cui si contempla l’amore per la natura, ma con Man o War, che chiude l’album, abbiamo virate di ritmo continuo fra spunti slowcore e sterzate punk come se due tracce diverse fossero state incorporate in una. Un sorprendente giro sulle montagne russe. La punta di diamante di questo ultimo lavoro di Gibbs risiede nell’essere una creazione “multifonica”, un imprevedibile scorrere di ritmi mutevoli che fanno da pilastro ad un songwriting autentico e che brilla d’anima in tutte le sue sfumature.   

Tracklist:
01. Tales from the Terramar
02. She’s the Gun of Me
03. Hotel Indochine
04. Gemini
05. A Knife Named Clara
06. Angel Moss
07. Keep on Building Boys
08. Geraldine
09. Lady Bird
10. The Upstream
11. Man o War