R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Apparentemente, ma solo apparentemente, accingendosi ad ascoltare un concerto o un nuovo lavoro discografico di contrabbasso solo, ci si potrebbe spaventare. Naturalmente poi l’ascolto, se di ascolto vero si tratta, non solo risulterà gradevolissimo, ma potrebbe addirittura risultare indispensabile. Lo è perché l’ascolto del suono di uno strumento “in purezza” è, almeno per chi scrive, un’operazione mentale assolutamente necessaria per restituire equilibrio; una specie di pausa di riflessione, una volontaria clausura in un “hortus conclusus” che permette riflessione, introspezione, ma che soprattutto rieduca all’ascolto, quello vero. L’eccentricità e l’esclusività dello strumento riconduce l’attenzione sulla costituzione del suono nella sua origine e sulla intenzionalità della scrittura musicale. Tutto questo potrebbe risultare impossibile ascoltando una band, un ensemble, ma persino un’orchestra. Con queste predisposizioni d’animo e di mente mi sono accostato alle 7 composizioni improvvisate per contrabbasso solo di Mirco Ballabene, CD uscito nell’appena trascorso mese di febbraio per la brillante etichetta “Niafunken”.

Nel disco quattro composizioni su sette sono idealmente dedicate a quattro grandi del contrabbasso e alle caratteristiche compositive introdotte dai compositori, cominciando dal doppio pizzicato di Mark Dresser ossia la Composizione improvvisata n.1, brano che Ballabene riempie di pieni e di vuoti, dialettici e di pizzicati (doppi appunto). Nella Composizione improvvisata n. 2, che va ad omaggiare l’alternanza tra note ordinarie ed armonici, innovazione di Stefano Scodanibbio, viviamo tutt’altra atmosfera, fatta dell’inquieta attesa di una rivelazione sempre posposta e, stimolate dall’archetto, vibrano con gravità le corde del contrabbasso. Qui siamo in quell’amabile campo che sta tra l’improvvisazione jazz e gli echi quantomai evidenti della cosiddetta musica colta. Stesso clima se prendiamo in esame la Composizione improvvisata n. 7 per Joelle Léandre e qui due parole vanno spese per una contrabbassista che ha suonato con il celebrato Ensemble Intercontemporaine diretto e formato da Pierre Boulez, oltre che con mostri sacri del jazz come Barre Phillips, Antony Braxton, Evan Parker, Steve Lacy: qui il connubio colta-contemporanea e jazz sembra funzionare a meraviglia e, certamente, ancora di più, per uno strumento come il contrabbasso. É tutto un torcersi dello strumento insieme alle note da esso stesso prodotte, una lotta alla pari tra il perseguitato (il contrabbasso) e il persecutore (l’archetto) che termina in un diminuendo ed in una rarefazione dei suoni fino al silenzio. La Composizione improvvisata n. 4, omaggio alla cavata di Peter Kowald, è questa volta una prova di forza dello strumento, ma anche del compositore, una dimostrazione di quante sonorità possano essere “cavate” da uno strumento apparentemente non protagonista ed è questo forse, a mio avviso, almeno “formalmente” il brano più vicino al jazz. È Salvatore Sciarrino il destinatario della Composizone improvvisata n.5, e per la precisione si tratta una riflessione musicale sugli studi di Sciarrino per flauto solo e sulla emulazione del respiro umano (forse il primo suono umano insieme al battito cardiaco). E qui, anche il contrabbasso di Mirco Ballabene sembra respirare, anzi sembra inspirare (nei lunghi momenti di silenzio) ed espirare (nelle solenni sciabolate dell’archetto). Senza dediche, ma molto intensa la Composizione improvvisata n. 3 dai suoni rarefatti e circolari, simili a bolle sonore che compaiono e scompaiono come i cerchi pittorici di Sonia Delaunay, se mi è concessa una divagazione pittorica, ma anche come le quattro sfere che illustrano la copertina del disco (forse non a caso composte da tre colori primari e da uno secondario). Tuttavia, senza scomodare Johannes Itten, mi sembra che la tavolozza sonora di Mirco Ballabene, sia davvero degna di nota. Discorso a sé meritano i quattro movimenti della Composizione improvvisato n.6 dove il suono dello strumento è preso nella sua completa autonomia del significante, come direbbe un semiologo: non ci sono riferimenti, qualora poi fossero così necessari, il suono suona per sé stesso, è essenza esteriorizzata e il mezzo attraverso il quale dà vita a sé stesso è il contrabbasso, nella sua stringente dialettica con l’archetto che lo fa vibrare. Brano da ascoltare tutto d’un fiato (che è un bel paradosso per uno strumento ad arco), senza preclusioni, senza spiegazioni. Non servono.
Disco bello e coraggioso e, cosa non da poco, primo disco in solo per Mirco Ballabene.
Tracklist:
01. Composizione improvvisata n. 1 (per Mark Dresser) (05:48)
02. Composizione improvvisata n. 2 (per Stefano Scodanibbio) (05:44)
03. Composizione improvvisata n. 3 (per Mark Dresser) (09:57)
04. Composizione improvvisata n. 4 (per Peter Kovald) (06:01)
05. Composizione improvvisata n. 5 (per Salvatore Sciarrino) (14:32)
06. Composizione improvvisata n. 6 – I (02:56)
07. Composizione improvvisata n. 6 – II (02:08)
08. Composizione improvvisata n. 6 – III (02:52)
09. Composizione improvvisata n. 6 – IV (05:09)
10. Composizione improvvisata n. 7 (per Joëlle Léandre) (08:10)
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