L I V E – R E P O R T
Articolo di Claudia Losini, immagini sonore © Elisabetta Ghignone
Io, dei Lumineers, ricordo benissimo la loro prima hit assoluta, Ho Hey, con quel dolce ritornello che faceva “I belong with you, you belong with me/ You’re my sweetheart”. È stato quel periodo in cui il folk stava riscuotendo ampio successo: c’era Bon Iver, c’erano i Lumineers, i Mumford and Sons e gli Of Monsters and Men a riempire le nostre giornate con quell’indie folk, un po’ intimo, un po’ romantico, un po’ senza tempo.
Da quel periodo sono passati 10 anni e alcune di quelle band rimangono per me un bel ricordo di un passato recente ma ormai finito.
Quindi per me è stata una bella sorpresa scoprire che il co fondatore dei Lumineers Jeremiah Fraites ora vive a Torino, e che ha pubblicato un album solista, completamente differente da quel che mi sarei aspettata.

Piano Piano è stato pubblicato nel 2021. È un disco commovente, intimo, dove il pianoforte accompagna momenti di riflessione e di contemplazione, molto diversi ma al contempo molto simili alle atmosfere che costruiva con la band Lumineers. Le percussioni, prima di tutto, che crescono e creano climax emotivi a cui è difficile restare indifferenti.
Prima dell’11 marzo nessuno aveva mai sentito questo disco suonato dal vivo. Il Covid aveva impedito il tour. E Jeremiah Fraites ha scelto la suggestiva cornice della sala Duomo delle OGR a Torino, per presentarlo, all’interno del format OGR Club. Un annuncio che ha portato un sold out immediato, e l’aggiunta di una seconda live performance, anch’essa sold out in poche ore.

La sala Duomo delle OGR è stato lo scenario ideale per creare una connessione tra il pubblico, seduto a terra su cuscinoni, alcuni in piedi, e l’orchestra, composta, oltre che dal musicista americano, da Fortunato D’Ascola al contrabbasso, Giulia Pecora al violino, Filippo Cornaglia alla batteria e sintetizzatore, e Clarissa Marino al violoncello.
Il live è scorso tra i volti estasiati, in un silenzio surreale, rotto dalle parole di Jeremiah che ci ha accompagnato in questo percorso molto personale, fatto di racconti di vita vissuta, come per esempio la storia del titolo del brano Maggie, inizialmente con un altro nome ma poi dedicato alla cagnolina di sua moglie, mancata durante la realizzazione del brano. Non sono mancati omaggi alla sua band e anche una cover, che ha a dir poco stupito tutto il pubblico. La cover di un gruppo che, a sua detta, lo ha cambiato sia come musicista che come uomo: Heart shaped box del Nirvana. Sarò di parte, perché è una delle mie canzoni preferite della band di Kurt Cobain, ma la reinterpretzione in chiave classica orchestrale è stata magnifica.

Quello che ha fatto Jeremiah alle OGR è stato qualcosa di magico. Più di un concerto, un’esperienza intima e di condivisione. Forse quello che lui voleva quando ha pubblicato il disco, quel ritrovarsi e rimanere uniti dalla musica, quel perdersi tra le note, per un’ora, lasciando che le preoccupazioni e i problemi diventino un ricordo, per far rimanere solo l’amore e la gioia di suonare e di sentire.






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