Mauro Savino
Johnny Cash. Ring of Fire
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
13 Gennaio 1968. È un giorno particolare per John Ray Cash. John è nervoso. Da un po’ ha chiuso, dice, con le anfetamine. Il successo, il successo uccide. Si, John, lo sappiamo. Quella roba ti stava portando dritto al camposanto passando per la galera.
Freddie Mercury. These are the days of our lives
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
Le ultime immagini ufficiali ce lo mostrano alla fine dei suoi giorni. Non ha più i baffi. La posa omosessuale non divertirà la morte. Che sta arrivando. E Freddie lo sa. Forse c’è anche un altro motivo. Freddie vuole apparire puro, liscio, nudo, in un certo senso. Vuole lasciare il mondo così come vi è entrato. Sa che lo show deve continuare e lui vuol chiudere così il suo.
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Keith Moon. Spirit of Lily
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
La lunga, spregiudicata e pura schiera dei folli del rock ha avuto una delle più chiare epifanie con Keith Moon, batterista miliare e uomo-vulcano ebbro di vita, che bevve e si drogò fino a uccidersi nel tentativo di diventare l’uomo normale che la sorte non gli diede mai la possibilità di essere.
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Michael Jackson. La fine di un volto
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
Michael Jackson è stato l’ultimo volto del Novecento. L’assegnazione di connotati immediati alla sua fisionomia è seguita a una folgorante caratterizzazione iconografica. La cui base è stata l’appercezione del suo corpo e del suo volto. L’estetica trascendentale kantiana si è così ripercossa sull’immaginario collettivo di due generazioni, in primis quella che ha vissuto l’ultima stagione del parossismo capitalistico.
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Bruce Springsteen. Born to run
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
L’America ha sempre avuto qualcosa da farsi perdonare. Da Hiroshima alla Corea al Vietnam all’Iraq. Altre cose le ha metabolizzate come eredità di costume e portato storico. Il tipico e spesso ipocrita puritanesimo dell’America benpensante d’ogni epoca nasce da questo connubio.
Per queste e per molte altre ragioni, non ultimo l’Osanna che le trombe del neoliberismo lanciarono nel cielo della globalizzazione dopo l’89, è stata l’America la patria eletta di tutti i controcanti culturali, dai beat all’underground alle rielaborazioni post-storiche seguite all’11 settembre.
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Jerry Lee Lewis. That Lucky Old Sun
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
Quando la guerra finì la gente ebbe di nuovo voglia di ballare e di strillare. Quando ti tolgono la possibilità di vivere la tua piccola grande vita per colpe che non hai, quando il polverone e l’orrore diventano fotogramma e poi memoria collettiva, quando l’umano si fa tragedia non c’è posto per quelle tre o quattro cose per cui vale la pena di non spararsi. Poi un giorno restano macerie e residui di inferno da collezionare, processi da fare. Poi da qualche parte nasce un tizio che prende a calci e incendia il pianoforte e si accanisce sui tasti come un invasato. E la vita ricomincia. Così vanno le cose.
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Nick Drake. “E venne il giorno che le voci tacquero”
Articolo e illustrazione di Mauro Savino.
Non fu soltanto perché ai tempi bastavano ancora voce e chitarra che Nick Drake chiese e non ottenne di fare un album con solo la sua. Fu perché era un poeta. Aveva ragione Gregory Corso, quando diceva che uno scrittore può e deve trovarsi un lavoro, uno qualsiasi e scrivere nel tempo libero, mentre un poeta questo non lo può fare, destinandosi così a giorni poco felici e a claustri con poca luce e mani intrecciate. Così Drake voleva il suo album acustico.
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