R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Con una curiosa e maliziosa combinazione di nomi tra Young e Shakespeare – a cui è dedicato il teatro di Stratford nel Connecticut – Neil “Cavallo Pazzo” pubblica quest’anno un concerto dal vivo qui registrato nel lontano 1971 ambiziosamente intitolato, appunto, Young Shakespeare. Non sono certo che ci sia davvero un limite a separare l’autoironia dal naturale narcisismo dell’autore. Di sicuro c’è la scelta storica dei brani inseriti in questo album, selezione in grado di provocare ai più un brivido nostalgico e qualche lacrima di commozione. Neil Young è sul palco da solo, con la chitarra e con il piano, e sgrana il suo rosario di brani indimenticabili, quelli che abbiamo tutti ascoltato e riascoltato in quegli anni lontani. Il pubblico è partecipe, applaude ma resta silenzioso tra un pezzo e l’altro, in un rispetto quasi religioso davanti ad una fonte d’ispirazione musicale come poche volte si è potuto ascoltare nella storia della musica rock. Qualche parola di introduzione tra le diverse tracce e poi è solo la musica che parla alla platea. A quel tempo Young ha appena ventisei anni e dopo l’esperienza con i Buffalo Springfield e la fortunata combinazione con Crosby, Stills & Nash, è giunto al suo terzo disco da solista, quell’After the gold rush che gli regalerà una memoria imperitura. È a un passo dal far uscire Harvest – pubblicato l’anno dopo – e di questo prossimo album anticiperà, nel concerto di Statford, ben quattro anteprime e cioè The needle and the damage done, Old man, A man needs a maid e Heart of gold. Young appare in splendida forma, canta in sicurezza con quella sua tipica voce un po’ miagolante però così espressiva e inconfondibile.
