R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Perché “preparare” il suono, cioè modificare anche radicalmente nella timbrica, l’espressione naturale di un pianoforte o di un altro strumento? La domanda è retorica. Ogni musicista che meriti questo appellativo è da sempre alla ricerca di un proprio, personale suono. E’ stato così nella musica classica – le improvvisazioni estreme sulle corde e sulle risonanze lignee del violino di Paganini, ad esempio, o le prime preparazioni fatte da Erik Satie sul piano in Le piege de meduse (1913), probabilmente influenzate dagli esperimenti contemporanei con gli “intonarumori” del compositore futurista Luigi Russolo. Si è arrivati però alle vere e proprie manipolazioni meccaniche degli strumenti dopo un lungo periodo di ricerca attraverso un allargamento dell’espressività del linguaggio musicale. Dilatare le possibilità comunicative del pianoforte, ad esempio, cercando tonalità inusuali, come in Debussy, Srawinsky, Prokofiev, Scriabin. Oppure modificare le leggi dell’armonia come nella dodecafonia di Schoenberg. Quando poi si diffonde nel mondo la musica nero-americana, gli autori classico-contemporanei comprendono la necessità di un rinnovamento profondo che non si limiti solo alla struttura musicale in sé ma che riguardi l’uso di nuovi strumenti reso possibile dalle innovazioni tecnologico-elettroniche – oscillatori, synt, manipolazione sui nastri magnetici, ecc. Il pianoforte preparato di John Cage, quindi, col suo Bacchanale del 1940 è solo una parte del percorso di ricerca iniziato lungo tutto il ’900. Alla luce di queste considerazioni s’inserisce l’ultimo lavoro di Simone Graziano, questo Embracing the future che se non sbaglio è il suo settimo disco da titolare.
