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La cruna e l’Orso

Alchimia, sui sentieri del Rock per una “musica del profondo”.

R E C E N S I O N E


Articolo di Simone Santi

Ci sono storie che proseguono in modo sotterraneo all’insaputa – forse – degli stessi protagonisti. Così è la storia degli Alchimia, band parmense nata a metà degli anni Ottanta, al culmine della wave italiana, e che oggi dopo circa trent’anni decide di riunirsi nella sua formazione originaria: per portare avanti un percorso originalissimo, musicale e intellettuale, che pone in parallelo musica rock e alchimia…

‹‹“Alchimia” è un nome piuttosto significativo per un gruppo rock che propone musica “esoterica”, vale a dire una musica finalizzata all’espressione di stati d’animo. Ma non è soltanto il nome del gruppo a colpire quando si viene in possesso della loro registrazione. Appare allora evidente come questi giovani musicisti siano riusciti a creare all’interno del loro gruppo una condizione psicologica alquanto simile a quella che una volta aleggiava intorno a certi laboratori alchimistici.››

A. Fratini, “L’ÂME-SON” DU ROCK n’ ROLL [1]

È sorprendente e affascinante la prospettiva dalla quale l’autore dell’articolo citato in epigrafe, ci propone di osservare la costituzione psicologica ed emotiva che presiede alla formazione e all’attività di una band musicale; un’aggregazione di individualità da leggersi sia come dinamica di gruppo, sia come luogo all’interno del quale ciascuno soggettivamente può percepire e sperimentare occasioni particolarmente feconde all’emersione del , lungo il proprio cammino d’individuazione.

La fattispecie che rende questo discorso tanto più interessante, è che le osservazioni che Antoine Fratini affida allo sguardo accorto dello psicanalista si rivolgono al progetto musicale che lo vede direttamente coinvolto, come musicista e paroliere degli Alchimia. Ed è proprio lui, nel corso di una chiacchierata telefonica che gli ho chiesto per la realizzazione di questa recensione, a raccontarmi la storia di questo progetto; un racconto che, come tutte le narrazioni esemplari, raccoglie e amalgama elementi soggettivi e collettivi.

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Anna Rollando – Le invisibili signore della musica (Graphofeel, 2021)

L E T T U R E


Articolo di Simone Santi

‹‹Ci sono così tante artiste di cui vorrei parlare ancora!››
Anna Rollando

Avere tra le mani il nuovo libro di Anna Rollando mi ha procurato quella confortevole sensazione che si prova normalmente quando si è ospiti a casa di amici che di tanto in tanto si ha il desiderio di andare a visitare, per un pomeriggio di conversazioni piacevoli e garbate riguardo a quegli argomenti e comuni passioni che vivificano e rinsaldano le amicizie, rendendo al contempo più bella la vita al di là delle sue inevitabili amarezze.
Questo è il convenevole senso di ospitalità col quale mi ha accolto il terzo volume scritto dall’autrice per la Graphofeel Edizioni e pubblicato sul finire del 2021, che rinnova l’appuntamento e i discorsi avviati a partire dai due precedenti per lo stesso editore – Applaudire con i piedi. Segreti e curiosità della musica colta (2018); Applaudire con i piedi 2. Il difficile e meraviglioso mestiere della musica (2019). Sebbene nel titolo, Le invisibili signore della musica. Storie vere di artiste di talento, sembra discostarsi dai primi due, questo libro prosegue il racconto del mondo della musica attraverso aneddoti e storie che attraversano e incontrano epoche, generi e protagonisti.

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Stefano Valente – Breve storia dell’alchimia (Graphofeel, 2019)

L E T T U R E


Articolo di Simone Santi

Nelle prime pagine del suo affascinante saggio dedicato alla figura di Parmenide e alle origini della sapienza greca, Peter Kingsley scrive che ‹‹la cultura occidentale è la cultura della rimozione››[1].

Ora, che si tratti o meno di un meccanismo di rimozione, è possibile osservare come la nostra sia una cultura che pratica attivamente la dimenticanza. Al di là di un atteggiamento talora retrospettivo ed espositivo nei riguardi della dimensione artistica umana – e  quando si tratta della cultura degli altri, di un atteggiamento curioso più del folklore e dell’espressionismo dell’arte che non della comprensione dei diversi livelli di percorso e di significato – la nostra società si rivolge mal volentieri al proprio passato e tiene in poco conto la Storia nel cui alveo si è prodotta; col suo “procedere in avanti” (pro-gradior) ripiegato sul mero sviluppo tecnologico che non si interroga sulle proprie ripercussioni, e rivolto al risultato economico più immediato e irresponsabile – essa proietta un’immagine tautologica di se stessa verso il futuro, sembrando non avere più gli strumenti, men che meno la volontà, di elaborare e proporre una visione complessa insieme ad un’escatologia positiva riguardo all’uomo e al suo destino. 

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Ermanno Mariani – Il mistero del doppio ritratto di Klimt (Pontegobbo, 2020)

L E T T U R E


Articolo di Simone Santi

‹‹Avere una perla come il RITRATTO DI SIGNORA di Klimt avrebbe certamente aiutato il turismo piacentino… Una tela unica come quella del pittore austriaco, che ha la caratteristica di nascondere un altro dipinto ritenuto scomparso… Un richiamo assoluto. Abbiamo preferito non rimpiazzarlo con una copia e anche le guide, quando arrivano nella sala degli stranieri, giustificano la sua assenza spiegandone l’insostituibilità. Aspettiamo che ci venga restituito l’originale per poterlo mettere al suo posto, speriamo presto.››

Le amare considerazioni dell’allora direttore Stefano Fugazza, riportate nel libro di Ermanno Mariani Il mistero del doppio ritratto di Klimt (2018, edizioni PONTEGOBBO) insieme al racconto degli incredibili accadimenti di quegli anni a partire dal furto del quadro dipinto dal maestro della Secessione viennese, trafugato dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel febbraio 1997, esprimono in buona sintesi il vissuto e le implicazioni anche psicologiche, oltre che economiche e sociali, che hanno visto coinvolte una città e la sua comunità: una vicenda che aveva avuto ampia risonanza e destato all’epoca grande scalpore per le modalità con le quali si era verificata, e che, tra luci e ombre, ha continuato negli anni a generare leggende e sobillare misteri; misteri che del resto non paiono del tutto dipanati neanche oggi, ancorché gli auspici dell’ex direttore Fugazza si siano realizzati e il “doppio ritratto” di Gustav Klimt, rinvenuto nel 2019 e restituito alla galleria, è tornato nella disponibilità di Piacenza e dei suoi visitatori.  

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Paolo D’Anna – Tra la rosa e la spina (Youcanprint, 2020)

L E T T U R E


Articolo di Simone Santi

‹‹Parlare d’amore è sempre complicato. In poesia, credo sia la cosa più difficile, perché la poesia chiama alla nudità, alla verità, alla libertà.››

Le parole posate ed efficaci della prefazione scritta da Andrea Cardellini colgono nell’essenza il compito che il poeta Paolo D’Anna si è assegnato con la stesura e pubblicazione della silloge di cui vengo a trattare nel presente articolo, Tra la rosa e la spina, realizzata nel 2020.
Le parole sono importanti, e alcune lo sono in modo speciale. Ciò vale più particolarmente per chi con la parola, nelle sue molteplici espressioni, lavora da una vita, com’è in effetti il caso dell’autore di quest’opera. Autore e regista teatrale, scrittore e poeta, attore quasi per naturale approdo, Paolo D’Anna si è impegnato sin da giovanissimo in ambito sociale e culturale. Nato in Sicilia, da sempre vive a Calolziocorte, paese situato nelle valli protese tra le città di Lecco e di Bergamo. Dopo aver fondato con alcuni amici la rivista Proposta, ha iniziato la propria attività frequentando a Milano i laboratori teatrali di Giorgio Strehler, per poi avvicinarsi al teatro di Dario Fo e di Franca Rame. Ampia nel corso degli anni è stata la sua produzione di testi e di opere teatrali, non di meno la traduzione e l’adattamento per il teatro di opere letterarie. Ha curato la direzione artistica di importanti eventi, di rassegne musicali e letterarie; in campo sociale ha partecipato e collaborato a progetti per varie associazioni, tra cui Telethon e Medici Senza Frontiere. Una carriera costellata di progetti, di incontri e di collaborazioni – tra cui spiccano per notorietà i nomi di Katia Ricciarelli e di Alda Merini, e quell’incontro fatalmente mancato dal destino con Pier Paolo Pasolini, morto proprio appena prima dell’appuntamento che li avrebbe fatti conoscere di persona di lì a pochi giorni.  

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Egidio Romualdo Duni e l’Europa della cultura e delle arti – parte 2

L E T T U R E

Articolo di Simone Santi

INTRODUZIONE

Nella prima parte di questo articolo “a puntate” abbiamo iniziato col dare un primo sguardo al concetto di Europa, formatosi come concetto culturale dalla sensibilità e dall’opera di alcune generazioni di artisti che tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Settecento hanno dato forma ad un linguaggio fatto di valori estetici condivisi. Da queste premesse abbiamo visto come grazie a un italiano, il cardinale Mazzarino, e ad un balletto di corte concepito secondo i canoni dell’incipiente Barocco che si stava preparando nella nostra penisola, in Francia nasce l’immaginario che dominerà la corte di Luigi XIV e plasmerà l’assolutismo monarchico del giovane Re Sole – che sarà modello di ogni corte europea, informata sul Barocco trasversale italiano.     

Se la nascita del melodramma viene generalmente fatta risalire alle opere di Claudio Monteverdi, il suo concepimento lo dobbiamo anticipare di qualche anno, nell’anno 1600, nella Firenze medicea. Qui un gruppo di umanisti, poeti e compositori stavano creando i canoni di una musica nuova: una musica in grado di dare risalto ai valori espressivi ed emotivi del testo poetico, un nuovo stile che, attingendo alla freschezza delle forme del canto popolare, sancisse l’abbandono della polifonia cinquecentesca in favore del canto a una sola voce, accompagnata da pochi strumenti. E’ proprio qui, a Firenze, in occasione del matrimonio di Maria de’ Medici col re di Francia Enrico IV, davanti allo sguardo della più alta aristocrazia europea, che per la prima volta va in scena il recitar cantando.

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Egidio Romualdo Duni e l’Europa della cultura e delle arti – parte 1

L E T T U R E

Articolo di Simone Santi

INTRODUZIONE

La lettura di una biografia dedicata a Egidio Romualdo Duni, compositore materano e francese di adozione vissuto nel Settecento, e la sua meditazione motivata dall’intenzione di farne una recensione, sono stati la scaturigine per alcune riflessioni sulla nostra attualità a partire dal concetto di Europa. Di Europa infatti spesso oggi parliamo e sentiamo parlare, ed evocarla generalmente muove reazioni e sentimenti discordi. Eppure (o forse proprio a causa di ciò), non è così pacifico intendersi su ciò che comunemente chiamiamo Europa, né su ciò che la definisce e comprende come realtà; e questo spiega le difficoltà nel ritrovare di già in noi stessi ragioni fondate e autentiche che ci consentano di sentire di farne parte.        

L’Europa fin dai tempi più antichi non è stata quasi mai riunita dalle armi e dalla politica, perché essa è un concetto sovraterritoriale, ovvero non pacificamente tracciabile secondo i contorni dei confini geografici. Il concetto di Europa è assai precoce, già i Greci lo avevano rappresentato attraverso il mito di Zeus che in forma di toro rapisce la figlia di Agenore; tuttavia, se riconosciamo dal racconto mitico quelli che erano i suoi limiti, la visione era quella di un’Europa pressoché mediterranei. A seconda di chi ha tracciato i confini del proprio concetto di Europa, tali confini geografici sono apparsi più o meno estendibili. Ancora oggi c’è chi ritiene che non sia concepibile l’Europa escludendo dal discorso alcuni Paesi dell’Africa Settentrionale.

L’Europa forse non è stata davvero unita neanche spiritualmente, con le sue sopravvivenze pagane sotto l’esteriorità ufficiale dell’adesione al Cristianesimo. E potremmo essere tutti d’accordo, a prescindere dalle convinzioni proprie di ciascuno, che ad unire davvero l’Europa non saranno nemmeno i parametri, la moneta e il mercato comune, che sembrano suscitare più diffidenza e difesa delle particolarità che non senso di appartenenza. E allora ci deve ben essere qualcosa d’altro, di qualitativamente diverso per natura e consistenza se, quando ne parliamo, ci riferiamo all’Europa come a un qualcosa che esiste.

Questo qualcosa, un familiare sentire fondato su un immaginario comune, è ciò che ho provato a rintracciare attraverso il filo di una narrazione, che in quanto tale sceglie e privilegia necessariamente alcuni soggetti e momenti nell’alveo degli inesauribili  percorsi possibili dentro la Storia: un racconto che, prendendo le mosse dall’occasionalità costituita dal materano Duni divenuto “monsieur Duny”, risale fino alle origini del melodramma in Italia e alla nascita del linguaggio e dell’estetica barocca, individuando in ciò uno dei momenti decisivi per l’affermazione di quella koinè artistica e intellettuale che rimarrà il fondamento inalienabile di ogni riflessione sull’identità e sulla natura di un concetto moderno di Europa.     

Questo mio racconto è diventato uno scritto che presento qui per la prima volta, in un articolo “a puntate” di cui questa è la prima, per i lettori di Off Topic – Voci fuori dal coro.

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Essere primavera – Autori vari (Associazione Licenza Poetica, ebook 2020)

L E T T U R E


Articolo di Simone Santi

‹‹La poesia, che viene dal sentimento più profondo e concreto della libertà, chiede di essere letta in libertà. Nessuna poetica e nessuna ideologia – né del poeta né del critico – hanno il potere di impedire il reale rapporto vivificante che si crea, come dono ricambiato tra scrittura e lettura, dentro il significato.››
V. Cozzoli, LA DIASPORA DELLE ICONE

Le parole riprese dalla postfazione scritta da Cozzoli a conclusione della sua silloge, con le quali il poeta intende richiamare in favore del lettore il viaggio che individualmente ciascuno nella lettura è chiamato a compiere, in piena libertà e responsabilità, in direzione del significato, possono valere a mio giudizio non solo di fronte alla comprensione di un’opera specifica, ma anche nei riguardi del valore e del fine ultimi della Poesia intesa come umana esperienza
Sicuramente esse parole sono una chiave utile per accedere alla natura che anima l’antologia che voglio presentare in questa rubrica; rubrica che d’elezione si occupa dei percorsi che si sviluppano a partire dalla letteratura e dalle esperienze artistiche tout court. Il libro in oggetto si intitola Essere Primavera, e per la precisione si tratta di un e-book realizzato dall’Associazione Licenza Poetica e pubblicato ad aprile di quest’anno.

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Elisabetta Ferri – Il labirinto e altri racconti (Libreria Editoriale Sibilla, 2019)

L E T T U R E


Recensione al libro di Elisabetta Ferri e alcune considerazioni sul genere fantastico

Articolo di Simone Santi

‹‹[…] Dunque, l’arte che vuole? Questo solo:
che si veda quello che si sente e si senta
quello che non si vede, ma nell’aria,
anche da lontano, già profuma.››[1]

V. Cozzoli
 

Ricordo alcuni anni fa che la scrittrice Silvana De Mari era solita iniziare le proprie conferenze, presentandosi come autrice di romanzi fantasy, con una salace citazione di Aldo, Giovanni e Giacomo in uno dei loro celebri sketch, quello in cui i tre, mascherati con tanto di costumi e corna, parodiavano proprio questo genere letterario giocando con l’immaginario di alcuni suoi clichè e stereotipi linguistici:‹‹Io sono il grande Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Istar, della terra desolata del Kfnir…››. Scopo di tale richiamo da parte della scrittrice era di dare un divertente esempio riguardo alla considerazione che generalmente viene tributata al fantasy presso la critica letteraria più colta e per certi versi anche nell’immaginario comune, che lo vogliono tra i generi cosiddetti minori; a dispetto per la verità di un certa fama della quale esso ha sinceramente goduto in anni recenti sull’onda lunga del successo editoriale di alcuni titoli e dell’affluenza di pubblico nelle sale per assisterne alle riduzioni cinematografiche.

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