L E T T U R E
Articolo di Simone Santi
‹‹Ci sono così tante artiste di cui vorrei parlare ancora!››
Anna Rollando
Avere tra le mani il nuovo libro di Anna Rollando mi ha procurato quella confortevole sensazione che si prova normalmente quando si è ospiti a casa di amici che di tanto in tanto si ha il desiderio di andare a visitare, per un pomeriggio di conversazioni piacevoli e garbate riguardo a quegli argomenti e comuni passioni che vivificano e rinsaldano le amicizie, rendendo al contempo più bella la vita al di là delle sue inevitabili amarezze.
Questo è il convenevole senso di ospitalità col quale mi ha accolto il terzo volume scritto dall’autrice per la Graphofeel Edizioni e pubblicato sul finire del 2021, che rinnova l’appuntamento e i discorsi avviati a partire dai due precedenti per lo stesso editore – Applaudire con i piedi. Segreti e curiosità della musica colta (2018); Applaudire con i piedi 2. Il difficile e meraviglioso mestiere della musica (2019). Sebbene nel titolo, Le invisibili signore della musica. Storie vere di artiste di talento, sembra discostarsi dai primi due, questo libro prosegue il racconto del mondo della musica attraverso aneddoti e storie che attraversano e incontrano epoche, generi e protagonisti.

Il basso continuo che accompagna l’attività letteraria di Anna Rollando del resto è facilmente udibile nella grazia appassionata del suo raccontare storie, che è non di meno la dote primaria di cui deve essere provvisto ogni buon narratore. L’intento unitario e molteplice del suo lavoro di divulgazione è definito dalle diverse occasioni nelle quali si sviluppano le sue attività, ben rappresentate dalla viola che la mano offre in primo piano nell’immagine di copertina. Forse è ormai superfluo volerlo ricordare, ma la viola è il suo strumento, o meglio sarebbe dire che la viola è per metonimia la stessa autrice sub specie musicalis. Anna Rollando è un’apprezzata concertista e vanta un prezioso curriculum che spazia dal repertorio classico a quello pop, a conferma di una concezione della musica che non si lascia confinare negli angusti recinti delle distinzioni di genere – con le sottese distinzioni di dignità tra i generi che spesso si pretende di marcare. Al contempo svolge un encomiabile lavoro didattico, che si delinea ben oltre le lezioni di strumento – attività di cui per altro, a proposito del narrar storie, ci offre all’occasione divertenti e divertiti aneddoti che pubblica e condivide sui suoi profili social; Anna partecipa alla creazione e alla realizzazione di eventi musicali, con l’impegno di promuovere la musica avvicinandola al pubblico e consentendo a tutti, soprattutto coloro che si credono più sordi al suo richiamo, di riconoscerla prima di tutto come umana esperienza che accompagna, in modo ora più e ora meno diretto, molti dei momenti che segnano la nostra vita così da farsi ricordare.
Il bagaglio dell’insegnante si riconosce nella cura e precisione della ricerca e della ricostruzione documentata delle vicende e dei personaggi esemplari, presentati nel libro con quella chiarezza e piacevolezza del discorso che sembra quasi animarli davanti ai nostri occhi. Anche al termine di questo libro non può mancare il breve glossario con cui sono spiegati con leggerezza, quasi col tono benevolo del prestigiatore che in confidenza riveli qualche suo piccolo trucco, alcuni termini tecnici del linguaggio musicale. Tuttavia la dote che più si fa apprezzare tra le tante, e che tutte le raccoglie, è la finezza della sua qualità di divulgatrice; qualità che si estrinseca nella capacità di prenderci per mano e accompagnarci dentro al mondo della musica e alle sue storie, insegnandoci l’atteggiamento della curiosità e della bellezza lungo il cammino dell’ascoltare e del guardare. In questo modo il lettore, quasi senza accorgersi, diviene non solo testimone, ma depositario di quel patrimonio di mistica creatività e di intimo travaglio con cui lo spirito umano ha plasmato – e vorrebbe continuare a plasmare – la realtà.

Il tema di questa terza pubblicazione, come il titolo subitamente rivela, affronta la condizione delle donne nel settore specifico dello studio e della pratica musicale nel corso della storia occidentale. Come l’autrice pone in evidenza, le possibilità per le donne di accedere ad una formazione musicale, così come di vedersi riconosciuta la possibilità di svolgere la professione di compositrice o concertista – con una considerazione a latere per quanto concerne la professione di cantante dopo la nascita e l’affermazione del melodramma – fino a tempi relativamente recenti prescindevano dall’emergere del loro talento, bensì erano qualcosa che veniva loro concesso e condizionato a partire dalla loro condizione famigliare, dall’affidamento a istituzioni o a figure paternalistiche di protettori o mecenati che le sostenessero anche a dispetto delle convenzioni sociali del loro tempo. Infatti, pur se alle origini della nostra cultura le Muse, divinità greche patrone delle arti, sono presentate con sembianze femminili, nella realtà le donne, in campo artistico così come del resto è avvenuto in ogni ambito e attività della vita sociale, hanno dovuto fare i conti e lottare con il ruolo e l’immagine che della donna ha potuto concepire una cultura prettamente maschile; e il libro ci illustra con grande interesse quali siano state le occasioni e le opportunità concesse alle donne, con le caratteristiche diversità che si sono prodotte attraverso i secoli e le latitudini.
Una prima scoperta che il libro offre al lettore, ad esempio, è che all’interno del repertorio appartenente alla lirica provenzale dei trovatori, tra i poeti dell’amor cortese troviamo anche nomi di donne, le Trobairitz. Gran parte delle composizioni poetiche e musicali di queste Trobairitz, abili nell’arte dell’intrattenimento e della conversazione, sono andate perdute; tuttavia nel capitolo a loro dedicato possiamo assaporarne un esempio nei versi originali del canto della contessa Beatrice di Dia dedicato all’amato, Rimbaud d’Orange.
Leggiamo dell’importanza che il canto aveva avuto sin dalle principali manifestazioni del monachesimo, e del valore assegnato all’esercizio della musica per le giovani che entravano in convento. I monasteri del resto erano luoghi di produzione e di conservazione della musica dove, insieme ai libri, le monache amanuensi ricopiavano anche le partiture musicali. Tra le “sirene celesti”, come venivano chiamate, che scrivevano e cantavano lodi a Dio, oltre che della figura eminente di Hildegarde von Bingen e della sua musica inaudita ispiratale durante le frequenti visioni mistiche cui era soggetta, si racconta di Vittoria Aleotti, che aveva musicato alcuni madrigali di Battista Guarini e che fu la prima a pubblicare composizioni di musica sacra, scritte presso il convento ferrarese di San Vito che in quegli anni, tra XVI e XVII secolo, addirittura concorreva col Concerto delle dame della corte estense.
Al di fuori della vita monastica, le possibilità per una donna di ricevere un’educazione musicale e di potersi affermare presso le corti o nei teatri erano circoscritte all’appartenenza ad una famiglia nobile o della borghesia colta, oppure all’essere figlie d’arte. Un esempio ne è la vita di Barbara Strozzi, figlia del poeta Giulio Strozzi, fondatore e membro influente a Venezia di diverse accademie in un periodo di grande fermento intellettuale e libertà della creatività e dei costumi. Animatrice degli incontri dell’Accademia degli Unisoni con il virtuosismo del suo canto e con la raffinatezza della sua cultura, Barbara Strozzi è riconosciuta come una delle più importanti compositrici del Seicento. Altra vicenda di quegli anni che il libro riporta è quello di Antonia Bembo; di famiglia agiata e sensibile all’arte, aveva studiato canto con Francesco Cavalli, il compositore di scuola Veneziana che nel 1662 rappresenta alla corte di Luigi XIV l’Ercole amante; e proprio come il suo insegnante, anche Antonia Bembo andrà a Parigi e si esibirà davanti al Re Sole, ricevendone grande apprezzamento e sostegno.

Una curiosità interessante è offerta dalla funzione svolta in origine dai conservatori, prima di diventare vere e proprie istituzioni di educazione musicale. Sorti anticamente come ostelli per i viandanti, i conservatori si erano trasformati in orfanotrofi e in istituti di ospitalità per bambini senza genitori o abbandonati. Qui le bambine oltre all’educazione religiosa e ad un’istruzione di base, apprendevano anche l’arte della musica, del canto e della pratica strumentale. A Venezia, dove i conservatori a partire dal 1700 erano quattro, il livello artistico e la fama dei concerti delle putte – così erano chiamate le giovani cantanti e musiciste delle scuole di questi ospedali – era tale da richiamare estimatori e curiosi dall’estero del calibro di Goethe e Rousseau. Il livello di istruzione musicale era divenuto tale – basti pensare che per alcuni anni Antonio Vivaldi era stato maestro di canto presso l’Ospedale della Pietà, per le cui allieve aveva scritto anche alcune composizioni – che alcune famiglie vi iscrivevano le loro figlie come allieve esterne paganti.
Nel suo excursus lungo l’asse del tempo, sono numerose e importanti le storie di donne che l’autrice raccoglie e restituisce alla memoria come perle preziose, per il loro valore artistico e per la loro eccezionalità: perché si tratta di nomi che la storiografia ufficiale ha finito per dimenticare o comunque sottostimare rispetto ai colleghi uomini, anche quando di almeno pari valore. Inoltre il successo di alcune di queste protagoniste, spesso pagato a prezzo di sforzi e sofferenze, di delusioni e di pregiudizi, quasi mai ha potuto essere di traino per le donne che venivano dopo di loro, rimanendo al più come un’eccentrica curiosità. Eppure il loro essere pioniere ha aiutato e sostenuto il lento mutare del pensiero e dei costumi all’interno della società.
Così, arrivando all’ultimo capitolo del libro, le vicende travagliate di alcune importanti compositrici del Novecento quali Ethel Smith, Florence Price e Germaine Tailleferre, finiscono inevitabilmente per confluire nella lotta delle donne per la loro emancipazione ed il riconoscimento dei diritti civili, per una piena partecipazione alla vita professionale e sociale. Ed è qui, all’inizio e alla fine del libro, che insieme all’intento didattico e divulgativo si fa guida del racconto l’intento che, mi permetto di dire, credo più stia cuore all’autrice.
Nei primi capitoli Anna Rollando ci presenta una rassegna di donne che al di fuori dell’ambito musicale sono state le prime a raggiungere elevati traguardi, o che per le loro scoperte o acquisizioni si sono guadagnate un posto di rilievo nella storia della cultura e delle professioni, riuscendo spesso a superare restrizioni e pregiudizi.
Attraverso il racconto degli sforzi e delle avversità delle donne di talento di questo libro, spesso poco ricordate nelle rassegne musicali così come nella memoria popolare (e proprio per questo, appunto, invisibili), l’autrice ci sottopone con ferma dolcezza la necessità del contributo che in ogni ambito di vita può essere ottenuto solo grazie all’accordo e alla consonanza di sensibilità e sguardi convergenti e “musicali”, ovvero, scrive l’autrice: ‹‹[…]lasciando il posto alla consapevolezza del talento egualmente distribuito tra uomini e donne, in cui l’unità di misura del valore non è il sesso, o la razza, o il ceto sociale o qualunque altra caratteristica non pertinente, ma solo ed esclusivamente il talento ed il valore reale delle opere e dei risultati ottenuti a parità di possibilità››.

Non saprei esprimere meglio questo intento dell’autrice che lasciando la conclusione alle sue parole.
‹‹Ci sono altre, moltissime storie di donne di talento che non ho raccontato […] ma non è detto che non accadrà: chissà. Magari la prossima storia che racconterò sarà di qualcuna di voi, che leggendo queste pagine ha trovato in sé l’ispirazione giusta per percorrere con determinazione la propria strada. È anche a causa di tutto questo che ho voluto scrivere questo libro, perché penso che con la musica possiamo usare il passato per costruire un mondo – presente e futuro – meno imperfetto. Insieme.››
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