A tre anni dal suo quarto disco, A Peaceful Place, il percussionista barese Pippo D’Ambrosio si ripresenta al pubblico con il concept album Beyond The Sky, edito dalla A.MA. Records di Antonio Martino. Beyond The Sky è un album tematico che esplora l’ordine imposto dall’universo accostandolo al caos provocato dagli umani sulla terra. Pippo D’Ambrosio ha creato un lavoro che fonde la sua batteria, le tastiere di Eugenio Macchia, il contrabbasso di Giorgio Vendola e il sassofono contralto di Gaetano Partipilo in un viaggio cosmologico in cui il jazz è alla base dei groove in tutte le sue dieci tracce.
Certo che l’ensemble composto da Massimo Barbiero alla batteria e percussioni, Eloisa Manera al violino ed Emanuele Satoris al pianoforte, si è preso una bella gatta da pelare intitolando il concerto (e il CD) Verrà la morte e avrà i tuoi occhi dall’omonima raccolta di poesie di Cesare Pavese. Ho con quella raccolta un legame particolare per i ricordi che mi legano ad essa e all’esame universitario sostenuto con Vittorio Spinazzola, qualche secolo fa, ma a parte questo, il confrontarsi con una della più celebrate poesie del Novecento italiano, non era cosa semplice. Sempre più spesso, però, i jazzisti dedicano i loro lavori ai grandi temi della letteratura e questo comporta naturalmente un certo rischio. Del resto Eloisa Manera non è nuova nel cimento con la letteratura, basta ricordare un suo lavoro precedente ispirato a Le città invisibili di Calvino. Oltre che, al confronto a viso aperto con la letteratura, una responsabilità ancora maggiore è quella di confrontarsi con un sentimento altrui, come l’amore di Pavese per Costance Dowling, l’attrice americana che fu probabilmente una concausa del suo suicidio. È stato un concerto molto intenso, nell’ambito degli appuntamenti di Aperitivo in Jazz, presso lo spazio Piccolo Coccia di Novara, manifestazione domenicale di NovaraJazz che ormai ha messo radici in diversi ambiti e luoghi della città. Mi sia solo concesso ricordare la rassegna Swing & Hot allo Spazio Nòva, le serate al Cannavacciuolo Bistrot e gli appuntamenti del giovedì all’Opificio, altro locale nel circuito di Novara Jazz.
È uscito il 23 febbraio 2023 per Costello’s Records L’Arte di Star Bene, ultimo lavoro solista di Ciulla – al secolo, Antonio Ciulla – musicista toscano che in mezzo alla musica ci è nato e cresciuto (facendo parte, tra le altre cose, del gruppo dei Violacida sino al 2018, anno nel quale ha intrapreso la strada solista e ha anche vinto il Premio Ernesto De Pascale per la miglior canzone in italiano). Ciulla definisce “L’Arte di Star Bene” il suo “nuovo primo disco, quello che mi ha coinvolto di più dal punto di vista produttivo e che mi ha fatto diventare grande“. In effetti l’impressione che ho avuto una volta terminato il primo ascolto è stata di assoluta completezza: “L’Arte di Star Bene” basta a sé stesso, è un lavoro finito, il classico cerchio che si chiude, con brani molto diversi tra di loro ma che ben si amalgamano e si fondono per dare origine a un progetto completo. La prima delle dieci tracce è quella che presta il titolo all’album: un esordio pacato, un brano che mi ha infuso moltissima calma, grazie alla sua base quasi lounge, tutta composta da chitarra pizzicata e un crescendo di strumenti e cori. Una voce caldissima e limpida canta “lascia tutto scorrere” – e un ruscello come base della canzone si sente per davvero – quasi suggerisce a tutto il pezzo il mood da tenere.
Il titolo di questo ultimo lavoro di Gianluigi Trovesi e Stefano Montanari, Stravaganze Consonanti, è quasi un ossimoro. Se il concetto di stravaganza rimanda a qualcosa fuori dall’ordinario, il termine consonante sembra implicare l’opposto, riferendosi primariamente a suoni che vanno d’accordo, uniti tra loro dal senso matematico delle regole armoniche. Più realisticamente per stravaganza musicale, s’intende una composizione che non segue pedissequamente strutture armoniche molto rigide oppure, pur rimanendo nell’ambito appunto consonante, che dimostra una certa originalità inconsueta e spesso, proprio per questo, anticonformista. La storia della stravaganza in musica non ha forse un riferimento assoluto di partenza ma è nel periodo barocco che ne riscontriamo le prime significative tracce. Ad esempio come in una composizione dal titolo quasi surreal-futurista, “Contrappunto bestiale alla mente” di Adriano Banchieri, musicista bolognese che indirizzò i cantanti ad emettere miagolii, latrati ed altri versi animali. Non possiamo non ricordare, inoltre, le piùfamose e fantasiose Stravaganze vivaldiane o, in tempi più recenti, il Petit Caprice di Rossini che dedicò ad Hoffenbach e alla sua nomea di jettatore un brano in cui il pianista doveva suonare solo con l’indice e il mignolo di ogni mano nel gesto prosaico delle corna. Senza dimenticare quel geniaccio di John Cage con il suo 4’33” di assoluto silenzio, garantito dall’immobilità contemplativa del pianista davanti allo strumento. E ancora Gyorgy Ligeti, con TheAlphabet, in cui veniva cantato appunto l’intero alfabeto. La lista può prolungarsi in molti altri esempi ma in questo disco di Trovesi & Montanari troviamo riferimenti ad autori come Henry Purcell, illustre rappresentante del barocco inglese seicentesco, Giovanni Maria Trabaci, italiano della prima era barocca tra ‘500 e ‘600, Guillaume Dufay (1400-1474), autore fiammingo della scuola di Borgogna, Giovanni Battista Buonamente (1595-1642), Andrea Falconieri (1586-1656) e Josquin Desprez (1450?-1521). Quindi musica classico–barocca, questa volta, su Off Topic? Sì, per una volta saremo stravaganti pure noi, rispetto alle programmazioni abitualmente in palinsesto.
Io, dei Lumineers, ricordo benissimo la loro prima hit assoluta, Ho Hey, con quel dolce ritornello che faceva “I belong with you, you belong with me/ You’re my sweetheart”. È stato quel periodo in cui il folk stava riscuotendo ampio successo: c’era Bon Iver, c’erano i Lumineers, i Mumford and Sons e gli Of Monsters and Men a riempire le nostre giornate con quell’indie folk, un po’ intimo, un po’ romantico, un po’ senza tempo. Da quel periodo sono passati 10 anni e alcune di quelle band rimangono per me un bel ricordo di un passato recente ma ormai finito. Quindi per me è stata una bella sorpresa scoprire che il co fondatore dei Lumineers Jeremiah Fraites ora vive a Torino, e che ha pubblicato un album solista, completamente differente da quel che mi sarei aspettata.
Mi fa sorridere che, mentre sto concludendo l’articolo per la nona edizione di Seeyousound, sia uscita la notizia del mancato accordo tra SIAE e Meta per la diffusione di musica sulle piattaforme della società americana, riaccendendo il dibattito sull’importanza della musica e delle piattaforme di fruizione e promozione. Questa vicenda rafforza ancor più l’esigenza di parlare di eventi e iniziative che celebrano la musica, in questo caso un festival che fa del cinema il mezzo per raccontare, far conoscere e indagare su questa arte. L’edizione di Seeyousound di quest’anno ha raccolto il 50% di presenze in più rispetto al 2022. Che l’unione di musica e cinema sia vincente lo hanno dimostrato le sale sempre piene, l’attenzione del pubblico, l’emozione che trapelava durante le visioni e i live. Il primo pienone è stato per il documentario su Cesaria Èvora, di Ana Sofia Fonseca. La storia della leggendaria cantante parte dall’infanzia nell’isola di Cabo Verde e arriva fino alle grandi esibizioni davanti a migliaia di fan in tutto il mondo, senza distogliere l’attenzione dalla sua infanzia travagliata, dai decenni di povertà, dalle sue lotte con l’alcol e dai lunghi attacchi di depressione.
Gli australiani Necks, dopo 35 anni dalla loro nascita come trio, giungono ora al diciannovesimo disco in studio, Travel, immersi come sempre nella misteriosa aura magnetica che emana dalla loro musica. Ci troviamo di fronte ad una band minimalista che presenta una buona dose di enigmatiche ossessioni risolte attraverso una strumentazione essenziale, magari con l’aggiunta di qualche sporadico intervento in fase post-produttiva. In termini psichiatrici potremmo definire l’agire di questo trio come una manifestazione collettiva di un disturbo ossessivo compulsivo, in cui ogni tema viene reiterato in un asintoto tendente all’infinito, servendosi di una scrittura che più essenziale non sarebbe possibile. C’è rischio di smarrirsi, ascoltando queste note, per via di una perdita progressiva del normale stato di coscienza dovuta ad un sopravvenuta e inaspettata condizione di trance. Da un certo punto di vista non c’è niente di così nuovo sotto il sole e infatti, anche se qualcuno evoca gli spettri nobili di La Monte Young o di Steve Reich, personalmente direi che i Necks si avvicinano di più a certi sciamanesimi dei Can – che però avevano un tocco più lieve – o dei tedeschissimi Neu. Tecnicamente si tratta di cellule improvvisative molto semplificate – ma non troppo! – su cui s’interviene con minimi scarti provocando un progressivo inabissamento dell’attenzione, non senza aver rescisso il cordone ombelicale con l’assetto psichico ordinario per entrare in uno stato alterato simil-ipnotico. Ancor più specificamente, i Necks lavorano seguendo uno sviluppo modale, cioè facendo musica su un’unica scala e in modo più esplicito, nel loro caso, su una sola tonica o quasi. Volendo fare gli avvocati del diavolo potremmo dire che questo è senz’altro il metodo più semplice per improvvisare, in quanto viene meno l’obbligo di tener dietro ai cambi di tonalità che normalmente si susseguono in quasi ogni tipo di musica, in particolar modo nel jazz. Ma non vorremmo essere troppo riduzionisti semplificando eccessivamente il lavoro dei Necks che sembra, in apparenza, più facile di quanto effettivamente non sia.
Vi racconto di un sabato pomeriggio della mia adolescenza. Non è importante quale, non si tratta di uno in particolare. Provo a darvi una breve descrizione solo per immaginare la scena. Sei appena uscito dal tuo negozio di dischi di fiducia e mentre ascolti qualche canzone con il walkman, estrai dal sacchetto il cd appena acquistato. Guardi e riguardi la copertina e inizi a chiederti se il tuo investimento sarà ben ripagato. Rimetti disco e scontrino nella busta e cammini per i viali rinfrescati da una pioggia che non c’ha creduto abbastanza e inizi le tue ‘riflessioni dalla strada’. Non so se questa fosse l’intenzione degli Iluiteq, ma vi posso assicurare che la copertina del loro quarto disco è tanto essenziale quanto significativa. Sergio Calzoni e Andrea Bellucci, il duo che ritroviamo dietro a questa ragione sociale, sono due musicisti navigati e che, nella scena ambient italiana hanno già detto la loro attraverso progetti come Red Sector A, Subterranean Source, Orghanon e Colloquio. Li ritroviamo oggi con un disco davvero ispirato che definire di ‘atmosfera’ risulta più che riduttivo.
Gli appassionati del genere conosceranno sicuramente Ralph Alessi ma, a mio avviso, il ruolo di una recensione è anche quello di fare divulgazione. A tal proposito è quanto mai doveroso ricordare che Alessi (classe 1963) è figlio del trombettista classico Joe Alessi e della cantante lirica Maria Leone. È nato a San Francisco e dopo essersi diplomato in tromba e basso jazz ha continuato i suoi studi con il leggendario Charlie Haden al CalArts, prima di sbarcare a New York ed imporsi sulla scena downtown. Alessi è noto anche per il suo lavoro di educatore: ha insegnato in diverse scuole di musica americane, europee ed in Italia collabora con l’amico chitarrista Simone Guiducci. It’s Always Now è il suo quarto album per ECM e per l’occasione Alessi si presenta con una nuova formazione composta dal pianista Florian Weber, da Bänz Oester al contrabbasso e dal batterista Gerry Hemingway. L’album, composto da dodici brani, è prodotto da Manfred Eicher, è stato registrato a giugno 2021 negli studi di Artesuono di Stefano Amerio e mixato a dicembre 2022 a Lugano.