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Andrea Notarangelo

Iluiteq – Reflections From The Road (n5MD, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Vi racconto di un sabato pomeriggio della mia adolescenza. Non è importante quale, non si tratta di uno in particolare. Provo a darvi una breve descrizione solo per immaginare la scena. Sei appena uscito dal tuo negozio di dischi di fiducia e mentre ascolti qualche canzone con il walkman, estrai dal sacchetto il cd appena acquistato. Guardi e riguardi la copertina e inizi a chiederti se il tuo investimento sarà ben ripagato. Rimetti disco e scontrino nella busta e cammini per i viali rinfrescati da una pioggia che non c’ha creduto abbastanza e inizi le tue ‘riflessioni dalla strada’. Non so se questa fosse l’intenzione degli Iluiteq, ma vi posso assicurare che la copertina del loro quarto disco è tanto essenziale quanto significativa. Sergio Calzoni e Andrea Bellucci, il duo che ritroviamo dietro a questa ragione sociale, sono due musicisti navigati e che, nella scena ambient italiana hanno già detto la loro attraverso progetti come Red Sector A, Subterranean Source, Orghanon e Colloquio. Li ritroviamo oggi con un disco davvero ispirato che definire di ‘atmosfera’ risulta più che riduttivo.

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Lonnie Holley – Oh Me Oh My (Jagjaguwar, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

La bellezza della musica sta nel fatto che quando ritieni di aver scoperto tutto e quando pensi che difficilmente proverai una particolare emozione, ecco spuntare qualcosa di nuovo ad attenderti dietro l’angolo. A volte hai a che fare con una bella sorpresa, altre meno, ma non è questo il punto. La musica è quel tipo di arte che ti fa immaginare colori e sfumature là dove ci sono solo note e che ti mostra paesaggi paradisiaci o sobborghi disagiati di una metropoli ad ogni cambio di melodia. La musica è il viaggio più lungo che potrai mai fare nella tua vita senza esserti mosso di casa o dalla scrivania del tuo ufficio. Ed è in questo modo che ho abbracciato la proposta di Lonnie Holley, un artista anomalo e completamente fuori dagli schemi. Non voglio fare l’esperto dai gusti ricercati, mi piacerebbe raccontarvi che circa dieci anni fa ascoltai il suo esordio e ne rimasi folgorato, ma in verità, fino ad oggi non ero a conoscenza di questo portento e per questo motivo mi limito solo a introdurvi nel suo mondo. Desidero infatti raccontarvi la storia di un settantatreenne che solo nel 2012 è arrivato al traguardo del suo primo disco e che oggi presenta il settimo lavoro in studio dopo aver passato una vita come artista concettuale dedito alla creazione di opere di assemblaggio realizzate con materiali di recupero. Mister Holley ha visto di tutto, da bambino quando è stato venduto per una bottiglia di whisky, per passare a lavorare come scavatore di tombe fino al dedicarsi alla raccolta del cotone nel suo Alabama. Tutta l’esperienza l’ha concentrata nei suoi dischi e azzarderei dire che questo nuovo Oh Me, Oh My corrisponde alla summa e all’essenza del suo messaggio.

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Philip Selway – Strange Dance (Bella Union, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Chiameremo questa recensione “La parabola del ciclista, o come Phil si è messo a tirare la volata”. Batterista dotato, da sempre nei Radiohead, Philip Selway è colui che ha un ruolo delicato ma importante nell’economia della band madre. Quando c’è non te ne accorgi perché tutto funziona alla grande e i suoi ritmi consentono i solismi dei suoi comprimari a cominciare da Thom Yorke. Quando non c’è, te ne accorgi comunque, come ad esempio in Kid A, dove per assecondare le geniali sperimentazioni di Yorke stesso e di Jonny Greenwood, molto umilmente si è messo da parte seppur gestendo magistralmente il delicato ruolo di programmazione e campionatura delle parti di batteria. Quel disco, punto di svolta per la storia dei Radiohead, doveva suonare alieno, come i tempi che furono e centrarono l’obiettivo. Al contrario, qui il gregario Phil decide di affrontare qualche curva e provare a staccare il gruppo per mettersi in gioco e testare quanto il suo desiderio di vittoria possa essere soddisfatto. Possiamo dire con tutta tranquillità che, dopo due ottimi tentativi (il primo album Familial del 2010 e il secondo Weatherhouse del 2014), il nostro ha preso le misure e si è messo ad attaccare in tornanti con maggior convinzione.

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dEUS – How To Replace It ([PIAS] Recordings, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Il ritorno sulle scene dei dEUS è sempre una buona occasione per raccontare una storia. Nello specifico, la trama si svolge ad Anversa, città portuale di origine medievale, crocevia di commerci e di influenze tra le più disparate. È in questa cornice che muove i primi passi l’ensemble di Tom Barman, un musicista dai lineamenti specifici, ben marcati che è già nato vecchio. All’epoca quella band portò una ventata di freschezza nella musica così detta ‘alternative’, attraverso un misto di influenze che spaziavano dal buon Captain Beefheart, presente nella cura dei patchwork e della cacofonia, dalla voce profonda fino al midollo à la Leonard Cohen e da un’attitudine funk particolare che li fece definire in un primo momento dei “Red Hot Chili Peppers, solo un po’ più grunge”. Da qui si evince come le etichette andrebbero abolite per lasciar spazio all’ascolto e, proprio da questo sentire sincero, un orecchio vergine o semplicemente scevro da preconcetti, non potrà che percepire la bellezza e la genuinità di una proposta che ha saputo rinnovarsi di capitolo in capitolo. La recensione potrebbe concludersi qui. Acquistate l’album nelle sue forme, o rifugiatevi nel vostro negozio di dischi preferito e chiedete al proprietario di preparare la puntina e basta. Il viaggio sonoro che vi aspetta sarà ben ripagato.

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Green Day – Nimrod. – 25th Anniversary Edition (Warner Music, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Nimrod compie venticinque anni e i Green Day, per l’occasione, decidono di fare le cose in grande proponendo una versione speciale in cofanetto. La nuova uscita include l’album originale, un CD con demo inedite e un live set all’Electric Factory di Philadelphia registrato il 14 novembre 1997, un mese dopo l’uscita del disco. Perché oggi è importante parlare di quest’album? Perché ci soffermiamo su quest’uscita? Non si tratta solo per l’evento in sé, ma perché Nimrod, quinto disco della storia dei Green Day, ha significato tanto per Billie Joe Armstrong, ma anche per tutto il punk rock. Si tratta di una conferma, dell’acme di un sottogenere e la punta dell’iceberg delle occasioni mancate. Facciamo un piccolo excursus storico. Nel 1994, a Seattle si celebrava l’inizio della fine del grunge e di una musica tanto bella e grezza, quanto pesante e ossessiva. In questo contesto, poco più sotto in California, i Green Day uscivano con Dookie, terzo patinatissimo album, che li fece esplodere definitivamente come fenomeno mondiale. Dopo Dookie niente fu più lo stesso e tutto divenne più semplice. In quegli anni il revival punk segnò un nuovo picco, con il lancio e il rilancio di nuove band che seppero sfruttare fino in fondo il successo dei tre ragazzi di Berkeley.

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Ryuichi Sakamoto – 12 (Milan Records, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Accompagnato da una sola lettera firmata e non da un tradizionale comunicato stampa, 12, il nuovo album di Ryuichi Sakamoto, si presenta come un’opera strana e disturbante. Non è un disco semplice e non è mai facile aver a che fare con musicisti affermati, soprattutto se stanno affrontando un momento complesso della propria esistenza. La lettera poco sopra menzionata, è scritta dall’artista di suo pugno e ci vuole informare sulle sue condizioni fisiche e sul fatto che sta lottando per poter continuare a fare ciò che più gli piace nella sua vita. Incipit d’obbligo. Chi si trova a recensire dischi, lo si fa non appena possibile sempre alla costante ricerca del tempo perduto e quando l’uscita del lavoro dell’artista è imminente. O anche qualche giorno prima, presumibilmente per battere sul tempo altri colleghi. O forse, per dimostrare con quanta semplicità è possibile pubblicare uno scritto di qualche centinaio di parole. Trovo tutto questo abbastanza irrispettoso, perché sono d’accordo sui tempi stretti che caratterizzano l’attuale società dei media, ma in questo modo si rischia di parlare di qualcosa perché se ne deve parlare e non perché si ha il piacere di farlo. In questo modo entrare in contatto con qualcuno e interiorizzare il suo operato, diventa difficile a prescindere dai propri gusti e dai valori soggettivi che inevitabilmente attribuiamo.

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Belle And Sebastian – Late Developers (Matador Records, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Meno di un anno fa ho avuto la fortuna e il privilegio di occuparmi del loro trepidante rientro. Per chi si fosse perso la mia precedente recensione e desidera approfondire, o vuole solo fare confronti, invito a ricercare, qui su Off Topic Magazine, quanto scritto sul predecessore A Bit Of Previous. In quell’occasione ricordo di essermi abbandonato a un facile quanto sentito romanticismo. Perché occorre dirlo, i Belle And Sebastian non sono in grado di fare dischi brutti, o banali; devo però aggiungere che su questo punto, in seguito, avrò una riflessione da fare. Ci arriveremo cammin facendo. Il 13 gennaio è uscito Late Developers, album (quasi) gemello del precedente e che desidera dimostrare sin da subito un legame netto e profondo. Come A Bit Of Previous, anche questa nuova fatica è stata concepita in patria, per la precisione a Glasgow, loro città natale, in quanto la pandemia ha bloccato sul nascere il progetto originale di emigrare a Los Angeles. Queste ‘sessioni scozzesi’ hanno però giovato all’ensemble, in quanto, le due nuove opere, le prime interamente concepite e registrate nella madrepatria dai tempi di Fold Your Hands Child, You Walk Like a Peasant, ci raccontanto di una band che ha voglia di ritrovare l’ispirazione e la spensieratezza dei primi anni. Ricordate gli albori dei 2000? Io sì.

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Gaz Coombes – Turn The Car Around (VMLAS, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Ammettiamolo, ci abbiamo creduto un po’ tutti quanti alla reunion dei Supergrass. Prima il cofanetto “The Strange Ones 1994-2008”, uscito nel 2020 e comprensivo di (quasi) tutto lo scibile prodotto dalla band, poi il tour celebrativo che, causa pandemia, si è protratto per più tempo rispetto al dovuto e ha fatto vivere ai fan speranze che il quartetto fosse impegnato in qualcosa di grosso. In seguito la doccia fredda, con un comunicato stringato che pose fine alle speranze, calmierato dall’annuncio di un nuovo disco dell’ormai ex leader Gaz Coombes. Il nostro eroe è quindi tornato con Turn The Car Around, quarta prova solista, nonché parte conclusiva di una trilogia iniziata con Matador (uscito nel 2015), e proseguita attraverso World’s Strongest Man (del 2018). L’artista ha però scritto e registrato un disco in evoluzione, pensato negli ultimi sette anni e che, a detta di Coombes stesso, “cattura alti e bassi della vita moderna”.

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Iggy Pop – Every Loser (Gold Tooth/Atlantic, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

L’Iguana è tornato e lascia il segno. Non giriamoci attorno, qui non si tratta di prendere un nome altisonante e scrivere due righe di conferma, ma di celebrare una delle uscite più interessanti di questo 2023. E siamo solo ai primi di Gennaio. Iggy Pop con Every Loser, suo diciannovesimo album solista, ci propone un ossimoro. Abbiamo nelle nostre orecchie un disco tanto fresco quanto conservatore nel celebrare le proprie radici. Com’è possibile tutto ciò? Semplice. L’artista ci mette la sua grinta, il suo piglio e quella voce manifesto che non invecchia mai a dispetto di un’attitudine punk che vorrebbe vedere i suoi protagonisti morire (metaforicamente), giovani. A far da cornice a questo quadro astratto, abbiamo oggi una formazione di tutto rispetto; l’Iguana infatti si fa accompagnare in questa nuova avventura da Duff McKagan (Guns n’Roses, Velvet Revolver, ecc…), al basso, Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), alla batteria e Josh Klinghoffer (storico sostituto di John Frusciate nei Red Hot), alla chitarra.

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