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Andrea Notarangelo

Green Day – Nimrod. – 25th Anniversary Edition (Warner Music, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

Nimrod compie venticinque anni e i Green Day, per l’occasione, decidono di fare le cose in grande proponendo una versione speciale in cofanetto. La nuova uscita include l’album originale, un CD con demo inedite e un live set all’Electric Factory di Philadelphia registrato il 14 novembre 1997, un mese dopo l’uscita del disco. Perché oggi è importante parlare di quest’album? Perché ci soffermiamo su quest’uscita? Non si tratta solo per l’evento in sé, ma perché Nimrod, quinto disco della storia dei Green Day, ha significato tanto per Billie Joe Armstrong, ma anche per tutto il punk rock. Si tratta di una conferma, dell’acme di un sottogenere e la punta dell’iceberg delle occasioni mancate. Facciamo un piccolo excursus storico. Nel 1994, a Seattle si celebrava l’inizio della fine del grunge e di una musica tanto bella e grezza, quanto pesante e ossessiva. In questo contesto, poco più sotto in California, i Green Day uscivano con Dookie, terzo patinatissimo album, che li fece esplodere definitivamente come fenomeno mondiale. Dopo Dookie niente fu più lo stesso e tutto divenne più semplice. In quegli anni il revival punk segnò un nuovo picco, con il lancio e il rilancio di nuove band che seppero sfruttare fino in fondo il successo dei tre ragazzi di Berkeley.

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Ryuichi Sakamoto – 12 (Milan Records, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Accompagnato da una sola lettera firmata e non da un tradizionale comunicato stampa, 12, il nuovo album di Ryuichi Sakamoto, si presenta come un’opera strana e disturbante. Non è un disco semplice e non è mai facile aver a che fare con musicisti affermati, soprattutto se stanno affrontando un momento complesso della propria esistenza. La lettera poco sopra menzionata, è scritta dall’artista di suo pugno e ci vuole informare sulle sue condizioni fisiche e sul fatto che sta lottando per poter continuare a fare ciò che più gli piace nella sua vita. Incipit d’obbligo. Chi si trova a recensire dischi, lo si fa non appena possibile sempre alla costante ricerca del tempo perduto e quando l’uscita del lavoro dell’artista è imminente. O anche qualche giorno prima, presumibilmente per battere sul tempo altri colleghi. O forse, per dimostrare con quanta semplicità è possibile pubblicare uno scritto di qualche centinaio di parole. Trovo tutto questo abbastanza irrispettoso, perché sono d’accordo sui tempi stretti che caratterizzano l’attuale società dei media, ma in questo modo si rischia di parlare di qualcosa perché se ne deve parlare e non perché si ha il piacere di farlo. In questo modo entrare in contatto con qualcuno e interiorizzare il suo operato, diventa difficile a prescindere dai propri gusti e dai valori soggettivi che inevitabilmente attribuiamo.

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Belle And Sebastian – Late Developers (Matador Records, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Meno di un anno fa ho avuto la fortuna e il privilegio di occuparmi del loro trepidante rientro. Per chi si fosse perso la mia precedente recensione e desidera approfondire, o vuole solo fare confronti, invito a ricercare, qui su Off Topic Magazine, quanto scritto sul predecessore A Bit Of Previous. In quell’occasione ricordo di essermi abbandonato a un facile quanto sentito romanticismo. Perché occorre dirlo, i Belle And Sebastian non sono in grado di fare dischi brutti, o banali; devo però aggiungere che su questo punto, in seguito, avrò una riflessione da fare. Ci arriveremo cammin facendo. Il 13 gennaio è uscito Late Developers, album (quasi) gemello del precedente e che desidera dimostrare sin da subito un legame netto e profondo. Come A Bit Of Previous, anche questa nuova fatica è stata concepita in patria, per la precisione a Glasgow, loro città natale, in quanto la pandemia ha bloccato sul nascere il progetto originale di emigrare a Los Angeles. Queste ‘sessioni scozzesi’ hanno però giovato all’ensemble, in quanto, le due nuove opere, le prime interamente concepite e registrate nella madrepatria dai tempi di Fold Your Hands Child, You Walk Like a Peasant, ci raccontanto di una band che ha voglia di ritrovare l’ispirazione e la spensieratezza dei primi anni. Ricordate gli albori dei 2000? Io sì.

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Gaz Coombes – Turn The Car Around (VMLAS, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Ammettiamolo, ci abbiamo creduto un po’ tutti quanti alla reunion dei Supergrass. Prima il cofanetto “The Strange Ones 1994-2008”, uscito nel 2020 e comprensivo di (quasi) tutto lo scibile prodotto dalla band, poi il tour celebrativo che, causa pandemia, si è protratto per più tempo rispetto al dovuto e ha fatto vivere ai fan speranze che il quartetto fosse impegnato in qualcosa di grosso. In seguito la doccia fredda, con un comunicato stringato che pose fine alle speranze, calmierato dall’annuncio di un nuovo disco dell’ormai ex leader Gaz Coombes. Il nostro eroe è quindi tornato con Turn The Car Around, quarta prova solista, nonché parte conclusiva di una trilogia iniziata con Matador (uscito nel 2015), e proseguita attraverso World’s Strongest Man (del 2018). L’artista ha però scritto e registrato un disco in evoluzione, pensato negli ultimi sette anni e che, a detta di Coombes stesso, “cattura alti e bassi della vita moderna”.

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Iggy Pop – Every Loser (Gold Tooth/Atlantic, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

L’Iguana è tornato e lascia il segno. Non giriamoci attorno, qui non si tratta di prendere un nome altisonante e scrivere due righe di conferma, ma di celebrare una delle uscite più interessanti di questo 2023. E siamo solo ai primi di Gennaio. Iggy Pop con Every Loser, suo diciannovesimo album solista, ci propone un ossimoro. Abbiamo nelle nostre orecchie un disco tanto fresco quanto conservatore nel celebrare le proprie radici. Com’è possibile tutto ciò? Semplice. L’artista ci mette la sua grinta, il suo piglio e quella voce manifesto che non invecchia mai a dispetto di un’attitudine punk che vorrebbe vedere i suoi protagonisti morire (metaforicamente), giovani. A far da cornice a questo quadro astratto, abbiamo oggi una formazione di tutto rispetto; l’Iguana infatti si fa accompagnare in questa nuova avventura da Duff McKagan (Guns n’Roses, Velvet Revolver, ecc…), al basso, Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), alla batteria e Josh Klinghoffer (storico sostituto di John Frusciate nei Red Hot), alla chitarra.

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Gregorio Sanchez – Nelle parole degli altri (Garrincha Dischi, 2022)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Emozionale. Emozionante. Emozione. Sono solo parole, poche a dire il vero rispetto a quelle confezionate da Gregorio Sanchez in questo EP di quattro tracce intitolato “Nelle Parole Degli Altri”. L’idea del titolo venne al musicista osservando questa scritta per le strade di Bologna e da qui è iniziata una riflessione sul tempo, lo spazio e ciò che per l’appunto ci caratterizza: la Parola.
La title track ci accoglie con una ventata di freschezza attraverso una voce cristallina e qualche arpeggio di chitarra, ma la genialità del pezzo è racchiusa proprio nelle parole e nel racconto di Gregorio, nel quale, usando la metafora di una scala e al salire e scendere dei gradini, prova a pensare al tornare indietro nel tempo, fino al momento della sua nascita, per capire chi è veramente attraverso le parole degli altri, attraverso i loro pensieri e le loro supposizioni.

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Phoenix – Apha Zulu (Loyaute/Glassnote Records, 2022)

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Recensione di Andrea Notarangelo

La manifestazione di un ricordo. Siamo nel 2000 e un Fabio Fazio neutrale quanto solo la Svizzera sa esserlo, annuncia all’interno di un suo programma di successo sul calcio, una promettente band francese. In studio compaiono i Phoenix e la loro sintetica If I Ever Feel Better. L’esibizione è, come di consueto in Italia, in playback e si conclude con il conduttore che mostra la copertina iconica di United che riporta un poster della band applicato a un muro da due mani femminili con dita affusolate e uno smalto rosso fuoco. Perché è importante questo momento banale? Semplice. Si trattava della consacrazione definitiva del ‘French Touch’, che, come il Brit Pop inglese non contraddistingue un vero e proprio movimento musicale, ma una comunione d’intenti e la voglia di far emergere a livello internazionale la musica francese di solito relegata ai confini patri, con i Noir Desir come unica eccezione. Dopo gli Air, i Daft Punk, i Cassius, Bob Sinclair, Stardust e anche in un certo senso i Modjo (la loro Lady (Hear Me Tonight), è nel suo piccolo qualcosa di clamoroso), ecco giungere questi quattro ragazzi con l’offerta più rock del lotto. La band di Thomas Mars (leader del gruppo, voce e percussioni), Deck d’Arcy (basso e tastiere), Laurent Brancowitz (chiarre e tastiere) e Christian Mazzalai (chitarra ritmica), riuscì con quel disco nell’intento di combinare il matrimonio perfetto tra musica disco e pop rock raffinato. Oltre vent’anni dopo, questo nuovo Alpha Zulu sembra volere riesplorare i vecchi fasti e far tesoro delle lezioni precedenti per comprendere cosa non ha funzionato nei dischi passati e ripartire al meglio.

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Ataraxic Void – EP #One (Autoproduzione, 2022)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Il quartetto lombardo degli Ataraxic Void, di recente formazione, propone la sua prima prova EP #One, debutto in forma digitale che presenta un’interessante connubio di generi che hanno caratterizzato gli anni ’90. È musica di ottima fattura che non tende a riproporre in toto i tempi che furono, ma attraverso movimenti dilatati e a qualche passaggio in chiave prog, creano sicuramente aspettativa per una prima prova sulla lunga distanza.

Sad Spring ci accoglie con un elegante arpeggio e una voce limpida che riprende nel cantato gli Alice in Chains, quelli veri, nel loro ultimo periodo nel quale Jerry Cantrell assunse sempre più l’onere e l’onore delle parti vocali. E questo, non è certo un difetto, dacché concede al pezzo una certa influenza seventies che mi fa pensare ad un ascolto ben attento dei Genesis, fino a quando il pezzo si elettrizza e la sezione ritmica entra con una certa prepotenza per donare alla canzone una svolta inaspettata. Se proprio si vuole trovare un difetto, in un’esecuzione quasi perfetta, è il ‘yeeah’, che suona come un cliché. La canzone si conclude con un rientro acustico che dona al brano una certa circolarità. La ‘primavera triste’ del titolo è un riferimento al 2020 e alla pandemia che, volente o nolente, ci ha condizionato tutti.  

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P.J. Harvey – B Sides, Demos & Rarities (UMC / Island Records, 2022)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Ecco un’uscita che sicuramente farà la felicità di tutti i fan della “Vecchia PJ”, anzi, di tutti i fan della buona musica. Dopo trent’anni di onorata carriera, Polly Jean decide di mettere ordine nei suoi cassetti rilasciando un’antologia davvero interessante. Questo B-Sides, Demos & Rarities triplo cd pieno di lati b, demo e rarità, sarà la manna di tutti i collezionisti e un regalo di Natale anticipato che ci si può fare per ricostruire, poco alla volta, il percorso artistico di una musicista prolifica e fondamentale. L’inizio è col botto, le prime cinque tracce sono dei demo estratti dai primi due dischi e rappresentano il primo EP realizzato per il progetto PJ Harvey. Ebbene sì, prima di mettersi ufficialmente in proprio, questa era la ragione sociale di un progetto che comprendeva, oltre a PJ, anche Rob Ellis (batteria e harmonium), e Steve Vaughan (basso). Ed è così che si torna ad apprezzare una versione grezza dell’imprescindibile Dry tratta dall’omonimo album di debutto. A tal proposito, Polly Jean dichiara: Dry è stata una delle prime canzoni di successo che ho scritto. Non ne avevo scritte molte, forse cinque o sei e mi sedevo e le suonavo a qualsiasi amico che volesse ascoltarle. Da sempre raccoglievo parole e frasi in un quaderno e quando mia mamma acquistò per me una chitarra acustica venduta da una sua amica, mi sembrò naturale provare a cantare le parole che avevo scritto ed è così che tutto è iniziato. John Parish mi aveva dato all’epoca una prima lezione sull’utilizzo di un 4 piste e questa è stata una delle prime registrazioni che ho fatto da sola.

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