Berta non si vedeva da giorni in paese, ma nessuno ci aveva fatto caso.
Erano tutti troppo presi dai preparativi del Natale alle porte, per notare la mancanza di quella donna.
Il vecchio Gigi adesso era seduto al bancone con un bicchiere di bianco in mano. Ascoltava Ugo parlare ai clienti del bar di quel fatto successo dieci giorni prima che era ancora sulla bocca di tutti. Chi l’avrebbe mai detto eh, Gigi? Lui, in tanti anni di servizio alla Pubblica Assistenza di cose ne aveva viste, anche strane, ma una cosa così, mai.
La casa degli zii materni della bambina si trova in collina. Dick, il cane lupo dello zio Berto, è steso all’ombra con gli occhi chiusi e la lingua penzoloni; sposta la coda tozza da un lato all’altro del corpo per allontanare le mosche che non lo lasciano in pace. Le api volano, bbbbzzzz, da un fiore all’altro, bbbbzzzz, fermandosi giusto il tempo per farsi un goccetto di nettare. La bambina è seduta sull’asse di legno con le mani appese alle corde. Fa qualche passo indietro, si dà una bella spinta, allunga le gambe e mentre sale la gonna del vestitino di sangallo rosa si alza, scoprendole le cosce. Alza il viso e lo offre all’aria che le sposta la frangia e le asciuga il sudore dalla fronte. Gli occhi le si riempiono di azzurro e di neri battiti di ali. Piega le ginocchia e quando scende ritrova l’erba umida sotto i piedi. Da sotto il portico arrivano le voci e le risa familiari dei grandi che raccontano aneddoti tra fette di salame e bicchieri di vino rosso. Chiude gli occhi: esprime un desiderio. Li riapre e la guarda sorpresa: non c’è una compagna di giochi davanti a lei, ma una farfalla con le ali rosse e nere.
L’appartamento è un quadrilocale in una palazzina con rifiniture anni settanta. Si trova in zona Porta Nuova, a Torino, poco distante dalla stazione. L’arredamento, in stile nordico, semplice e privo di elementi superflui, rispecchia il carattere di Cecilia che è in piedi in soggiorno, con il viso rivolto alla porta d’ingresso e la schiena che sfiora le tende bianche, con stampe di piccoli cuori écru, appese ai vetri della porta finestra. Ha in mano una sveglia digitale che ha preso dal mobile in frassino appoggiato alla parete, sulla sua destra. Tra poco la poserà sul tavolino quadrato di fronte al divano di tessuto azzurro con grandi cuscini a fiori blu dove si siederà.
Sta dritto davanti allo specchio del bagno. E’ uno specchio rotondo, con una cornice sottile e dorata. I capelli ancora arruffati e sulla guancia sinistra due righe verticali: tracce del sonno profondo indotto dai barbiturici buttati giù la sera prima, con un abbondante bicchiere di acqua, come da prescrizione. Continua a leggere “Senza parole”→
E’ scoppiata l’estate. In Pianura Padana, tra Piacenza e Parma dove abito io, succede così: fino al giorno prima una piacevole brezza entra dalle finestre aperte e fa roteare le pesanti tende di cotone bianco tese per schermare i raggi del sole; il giorno dopo invece è tutto fermo, non si respira. Oggi è domenica. Continua a leggere “Conchiglie”→
Lo incontrai per caso. Era brutto, tànghero, un tipaccio. Capelli corti, pancia pronunciata in avanti e cosce tarchiate, tenute incollate nei suoi jeans da mercato cinese. Lo guardai il tempo necessario per accorgermi che era, in generale, abbastanza robusto. Continua a leggere “Piccola come una pillola verde”→