
Racconto breve di Enrica Bardetti
La casa degli zii materni della bambina si trova in collina. Dick, il cane lupo dello zio Berto, è steso all’ombra con gli occhi chiusi e la lingua penzoloni; sposta la coda tozza da un lato all’altro del corpo per allontanare le mosche che non lo lasciano in pace. Le api volano, bbbbzzzz, da un fiore all’altro, bbbbzzzz, fermandosi giusto il tempo per farsi un goccetto di nettare. La bambina è seduta sull’asse di legno con le mani appese alle corde. Fa qualche passo indietro, si dà una bella spinta, allunga le gambe e mentre sale la gonna del vestitino di sangallo rosa si alza, scoprendole le cosce. Alza il viso e lo offre all’aria che le sposta la frangia e le asciuga il sudore dalla fronte. Gli occhi le si riempiono di azzurro e di neri battiti di ali. Piega le ginocchia e quando scende ritrova l’erba umida sotto i piedi. Da sotto il portico arrivano le voci e le risa familiari dei grandi che raccontano aneddoti tra fette di salame e bicchieri di vino rosso. Chiude gli occhi: esprime un desiderio. Li riapre e la guarda sorpresa: non c’è una compagna di giochi davanti a lei, ma una farfalla con le ali rosse e nere.
Per alcuni secondi l’insetto le si ferma davanti, sbattendo le ali, poi vola via. La bimba scende dall’altalena e la rincorre, nelle orecchie risente l’avvertimento della madre: Mi raccomando non sporcare il vestito con l’erba, che non viene più via… Aspettami, grida alla farfalla e già le voci sotto il portico sono lontane; il prato ha lasciato il posto alle viti. La farfalla gioca a nascondino tra i filari: adesso la vede, poi non la vede più, poi ricompare. Poi vira verso sinistra, dove inizia il bosco. Ma dove scappi farfallina, aspettami… ma l’ultima parola le si spegne in gola: a distanza di qualche passo, con la schiena appoggiata contro un castagno, le gambe divaricate e le grosse mani sui fianchi c’è lui. La piccola si ferma, e diventa di pietra.
I piedi dell’uomo, ben piantati tra le foglie secche, calzano stivalacci neri di gomma che gli arrivano fino alle ginocchia. Lì dentro sono stati spinti a casaccio i pantaloni di tela grezza grigio topo, rattoppati sulle ginocchia e fermati in vita da una robusta corda di quelle che si usano per tenere legato il bestiame. Un mantello nero, legato intorno alla gola, gli scende dalle spalle massicce fino alle caviglie lasciando scoperto il petto nudo, robusto e villoso. Primo è il cugino di sua madre che tutti chiamano Primon, forma dialettale per sottolinearne la rozzezza di modi e corporatura. La fissa con occhi scuri, densi, aggrottando le spesse sopracciglia che si congiungono al centro rendendo il suo viso ancora più grottesco. Vorrebbe voltargli la schiena e scappare, ma i piedi non si muovono. Devi stare lontana da Primon, è cattivo, odia i bambini e fa loro del male se gli si avvicinano.
Vorrebbe urlare, chiedere aiuto, ma le labbra sono sigillate. L’uomo stende un braccio e allunga la mano. Adesso con un salto mi raggiunge e mi strangola, pensa lei, sbarrando gli occhi. Invece lui non si muove e poco dopo la farfalla, quella farfalla che lei aveva creduto sua amica, gli si posa sulla mano. Lui guarda l’insetto e gli sorride, poi il suo sguardo si sposta sulla piccola, tornando cupo. Lei trema. I battiti del cuore le rimbombano nelle orecchie, vorrebbe zittirli: sono così forti che di certo anche lui li sta sentendo. Ad un tratto la bocca di Primon si spalanca, gli occhi si stringono e una risata rimbomba tra le piante del bosco che ne rimandano indietro l’eco. Dagli occhi spalancati della bambina scendono lacrime gelide.
– Hai paura eh? Sono così brutto?
Il tono sarcastico dell’uomo la percuote come una sberla in pieno viso.
– Hai perso la voce?
Oscilla la testa, negando, anche se non è così sicura che la voce potrà uscirle ancora.
La farfalla ha ripreso a volare, si sposta da l’uno all’altra, quasi volesse mettere pace.
– Ti hanno detto che sono cattivo, che non mi devi parlare?
La piccola annuisce, mentre con i polsi si asciuga le lacrime. L’uomo si sposta con la mano il cappellaccio nero e si gratta la testa, poi la piega fino a sfiorare con l’orecchio la spalla sinistra e tra la barba e i baffi neri si fa largo un sorriso:
– Non sono cattivo io, se mi lasciano in pace. Lo sono solo con chi mi da fastidio. Sei la figlia della Gianna?
– Si
È titubante quando lui le fa segno di avvicinarsi, poi vince la paura e lo raggiunge. Quando gli è di fianco sembra ancora più piccina, per guardarlo in faccia piega la testa indietro così tanto che le fa male il collo. Primon le prende entrambe le mani e gliele appoggia sul tronco, poi con le sue manone le gira la testa e le schiaccia l’orecchio destro sulla corteccia. La imprigiona col suo corpo massiccio prendendo la stessa posizione, con l’orecchio aderente alla pianta.
– Hai sentito? Hai sentito quello che ti sta dicendo?
– No, non sento niente. Risponde lei con un filo di voce.
L’uomo si stacca, la gira, le stringe forte le spalle e la scuote con violenza. Ha gli occhi che mandano scintille.
– Devi ascoltare bene. Sei sorda? Non senti che ti sta parlando? Urla, lanciandola lontano. La piccola cade, afflosciandosi come una bambola di pezza.
Primon la guarda con la paura negli occhi, pian piano si avvicina, le si stende accanto e stringe la piccola mano nella sua:
– Non morire, per piacere, non morire anche tu. Le sussurra, singhiozzando.
– Non sono morta, però mi hai fatto male. Gli risponde lei, risentita.
– Mi sono arrabbiato e quando mi arrabbio non capisco più quello che faccio.
L’uomo le mette le mani sotto le ascelle e la solleva, facendola sedere sulle sue gambe muscolose. Avvicina la bocca alla piccola orecchia e con voce roca e calma spiega che anche le piante parlano, lui le ha sempre sentite fin da bambino. Gli hanno insegnato tutto, le piante. Da loro ha imparato tante cose: quali vanno bene per mandar via la febbre, quali cuocere per aiutare le mucche a partorire con meno dolore, con quali guarire le ferite. Poi allunga una mano, coglie un fiorellino azzurro e gliene fa dono. Da lontano si sentono voci chiamare.
-Forse per te è ancora presto, ma se ti allenerai ad ascoltarle, vedrai, parleranno anche a te. Adesso vai, ti stanno chiamando. La solleva con le braccia e la posa a terra. Prima di andare, la bimba lo abbraccia e gli dà un bacio sulla guancia.
Quando esce dal bosco la mamma le corre incontro, la guarda sconsolata prima di abbracciarla:
– Guarda come sei ridotta. Cosa ti è successo… hai incontrato Primon?
– No, mamma. Sono scivolata mentre raccoglievo questo per te. Le sorride la piccola, offrendole il fiorellino azzurro che ha in mano. La mamma la prende in braccio e la bacia, sospirando.
– Mamma, perché dici sempre che Primon è cattivo e odia i bambini? A chi ha fatto del male?
La mamma accarezza la sua bambina e la guarda teneramente:
– Primon è un uomo strano e solo. E molto forte. Qualche anno fa il figlio dei vicini, che dava una mano allo zio Berto con le mucche, è stato trovato morto nel bosco. Nessuno ha mai capito cosa sia successo, ma tutti pensano che sia stato lui.
– Non preoccuparti mamma, a me non succederà. Le dice la piccola abbracciandola forte.
Io conosco il suo segreto adesso, a me non farà mai del male. Sorride la piccola mentre chiude gli occhi e appoggia, esausta, la testa sulla spalla della madre.
A chi non fa paura l’Uomo Nero? Se scappi ti rincorrerà per sempre. Se ascolti il suo segreto, vedrai, non ti sembrerà più così Nero.
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