Articolo di Iolanda Raffaele, immagini sonore di Salvo Bilotti
Qualcuno cantava “per quest’anno non cambiare stessa spiaggia, stesso mare”: era il 1963 e lei era la grande Mina,dopo Piero Focaccia, Edoardo Vianello e tanti altri.
Il tempo è passato, siamo cresciuti, ma quella strofa non è più andata via dalla mente, anzi è diventata quasi parte delle nostre vacanze o, addirittura, un vero motto di vita (almeno il mio).
Anche quest’anno, infatti, la travolgente corrente dei festival italiani mi ha riportato sulla cara e consueta spiaggia del Color Fest, la certezza dell’estate calabrese eil punto di riferimento ormai per quasi tutta l’Italia.
Partita il 4 agosto, a bordo della nave di Off Topic, mi sono ritrovata presso la Giurranda, nel cuore di Platania (Cz), ed è iniziata così l’avventura di due giorni di questa sesta edizione.
Gli affezionati al fascino e alle suggestioni dell’Abbazia Benedettina degli ultimi due anni non sono certamente rimasti delusi, trovando una location accogliente, moderna e capace di reggere bene ogni confronto.
Tra le tende dell’area campeggio, vicino ai palchi e tra gli stand si sono avvistati, perciò, i fedelissimi e i nuovi arrivati; quelli che annotano le date in agenda da giugno per non mancare all’appuntamento e quelli che lo esplorano per la prima volta; quelli senza un’età e quelli che sono sempre un po’ indecisi, ma che alla fine si lasciano piacevolmente conquistare.
In posizione, mischiati tra la folla, ma sempre attenti, ci sono anche i fotografi che con il loro personale talento e la loro magia immortalano ricordi ed emozioni; gli addetti stampa concentrati e un po’ folli che tra un canticchiare e un’intervista memorizzano e intercettano ogni istante per consacrarlo con la penna in un articolo che duri nel tempo; i fonici senza i quali i festival non esisterebbero, capaci di trasformare in realtà ogni idea, e gli addetti alle luci ossia coloro che ringrazierai durante il concerto per quanti effetti particolari e speciali riescono a realizzare.

Tanta bella gente, dunque, con lo zainetto colmo di aspettative, di voglia di evasione, di pensieri da abbandonare o da ritrovare, col desiderio di estate; tutti diversi, ma tutti rigorosamente “Figli delle Stelle”.
Questa espressione certamente non è casuale, perché il titolo del brano di Alan Sorrenti è il claim scelto per questa stagionedal Color Fest; un evento che si conferma di grande valore e impatto sociale nei numeri e nell’apprezzamento, grazie all’associazione Che Cosa Sono Le Nuvole, promotrice del festival, al tenace direttore artistico Mirko Perri e a tutta la squadra di volontari, tecnici ed organizzatori, assidui e volenterosi che cerca di andare sempre avanti e di crescere per realizzare ogni anno un festival che sia sentito come proprio da tutti coloro che vi partecipano.
Un po’ di pioggia preoccupa qua e là, il sole caldo si alterna alle temperature basse, tratti di incertezza sorvolano il cielo e gli ombrelli sono sempre a portata di mano, ma la musica è lì, riscalda sempre gli animi e con lei gli arcobaleni non tardano mai ad arrivare.
Tutto è pronto il nastro è tagliato e finalmente prendono avvio due giorni di pazzesca euforia, di musica, di cultura, ma soprattutto di incontro tra mondi diversi, tra generazioni vecchie e nuove, di artisti che hanno fatto la storia e altri che cercano di scriverla, di creatività musicale e artistica.
Consapevoli che la bellezza delle canzoni risiede nella soggettività, nel particolare modo in cui entrano nelle orecchie, nella testa e nel cuore di ogni ascoltatore, questo Color Fest voglio ricordarlo soprattutto attraverso chi l’ha interpretato e ha voluto esprimere la sua partecipazione e il suo messaggio in note, cercando di dare un’impronta personale e tipica.
La prima giornata inizia con il romano Matteo Cantagalli in arte Galeffi, giovane voce della scena indie, fresco ed effervescente, stralunato come l’avevamo lasciato al Primo Maggio di Roma, ma capace di coinvolgere e rompere il ghiaccio con il suo sorriso.
Seduto a gambe incrociate, al centro del palco o dietro un piano, “disegna la sua rivoluzione” con allegria e, mentre si aggira con il suo cappellino e il suo stile sportivo, cantando Tazza di tè, Puzzle o Occhiaie ci ricorda un po’ Cesare Cremonini, di cui tra l’altro è un grande fan.

Si prosegue con Iosonouncane (Jacopo Incani), e Paolo Angeli che regalano un concerto nel concerto, un concentrato di strumenti, luci, melodie antiche e nuove sarde.
L’innovazione incontra la tradizione e, dopo un’intro più strumentale elaborata e prolungata di Iosouncane votata all’elettronica, Paolo Angeli incanta con quella strana chitarra, che chitarra non è, o meglio non è solo quello.
Si tratta della chitarra sarda preparata, da lui inventata; un misto di chitarra, violoncello e batteria a diciotto corde che sorprende, stranisce, trasformando lo spettacolo in un’esperienza visiva ed uditiva straordinaria.
Chi sperava di ascoltare “Stormi” dovrà aspettare il prossimo evento, ma di sicuro ha potuto assistere ad un incontro coinvolgente tra due grandi musicisti, ad un intreccio tra brani della tradizione sarda, assoli di Paolo Angeli e canzoni tratte dagli album “Macarena su Roma”e Die di Jacopo Incani.
Mentre sulla scena splende il sole con Carne, il duo saluta la sera con “Summer on a spiaggia affollata”, lasciando il passo ad un’altra coppia ovvero i Coma Cose.
Vicini sul palco come nella vita, arrivano, infatti, in perfetta sintonia musicale e stilistica Fausto Zanardelli, “Fausto Lama” e Francesca Mesiano “California”, cappellino in testa e barba da hipster lui, capelli rasati biondi lei.
Mescolano hip hop e cantautorato con disinvoltura e cantano insieme al pubblico che li acclama; che sia Anima lattina, Deserto o Yugoslavia l’importante è godersi ogni momento anche il post concerto “fino a quando non accendono le luci e i bicchieri abbandonati sanno come ci si sente ad essere come diamanti invisibili alla gente”.

La notte delle stelle prosegue, big tra i big, non può mancare la trasgressiva ed esplosiva Donatella Rettore con la cascata di capelli ricci biondi, il fisico mozzafiato e un tocco di rosso nell’abbigliamento per infiammare tutti.
La sua grinta supera ogni tempo, le sue canzoni mettono tutti d’accordo, il pubblico variegato e carico le manifesta affetto sotto il palco e in ogni modo.
Non si risparmia nel repertorio intonando Chi tocca i fili muore, Kamikaze, Rock’n’Roll Suicide, Callo, ma anche Kobra, Lamette, Splendido Splendente, melodie che sono entrate nell’immaginario collettivo inconsciamente e piacevolmente e che ci fanno e faranno sempre emozionare pensando a quella Femme Fatale, passionale e appassionata, un po’ fata, un po’ guerriera.
Al Color Fest approda anche Willie Peyote, il torinese Guglielmo Bruno, quello che – a suo dire – molti ancora confondono con il ministro dei trasporti Toninelli, con tutta la sua ironia e la sua verve polemica.
Tra rap e cantautorato il poeta maledetto grida impegno e ribellione verso un sistema italiano politico e sociale che non va bene, non le manda a dire, cerca di lasciare un segno…
Don’t panic però con lui il divertimento è assicurato e ogni canzone diventa un’ottima scusa per saltare e scatenarsi: da Portapalazzo a Donna Bisestile, da C’hai ragione tu a Peyote 451, dal paradosso di C’era una vodka al rifiuto del finto perbenismo di Io non sono razzista ma.
Che sia dunque La scelta sbagliata o L’outfit giusto la ricorderemo come una Bella Giornata, e mentre lo ascoltiamo intonare Via con me di Paolo Conte, lo salutiamo nel modo che lui conosce di più E Allora Ciao, Willie Pooh.

Ultimi in scaletta, ma straordinari per carriera e tempra, il 4 agosto chiude il cerchio con gli Zen Circus che, guidati dal frontman Andrea Appino, tra scherzosi scambi di battute ed umiltà, squarciano il cielo del Color Fest.
Con loro le barriere musicali tra cantante – pubblico si annullano e, superando le transenne, quel cuore rock arriva diretto a tutti quanti. Si grida, si canta e ci si emoziona sulla scia di Catene e di Viva, Qualunquisti, Figlio di puttana, Terza Guerra Mondiale.
Se siamo Nati per subire e L’anima non conta, liberi e felici per un po’ ci godiamo le loro inebrianti canzoni, cercando di capire il senso di Il fuoco in una stanza, mentre gridiamo con loro Andate tutti affanculo.
Il 5 agosto tra sole e nuvole si apre con la band catanzarese Nimby di Tommaso La Vecchia (voce, chitarra, synth), Aldo Ferrara (chitarra, cori), Francesco La Vecchia (chitarra, cori), Stefano Lo Iacono (basso, cori), Simone Matarese (batteria)e Raffaele De Carlo (flauto e cori)che con il suo stile ricercato porta alcuni brani del repertorio e dell’ultimo album Nimby II come Opacità, Sottovuoto, La noia, Universo.
Calabria chiama Calabria e il testimone passa a Federico Cimini, calabrese trapiantato a Bologna. Il ricordo del tributo agli Skiantos al Primo Maggio romano è ancora vivo, quando sale sul palco con i suoi occhiali e la faccia da bravo ragazzo, contagia tutti.
Da Diversamente scomodo a Questo è il mio paese,da Pereira a Sabato sera, fino ad A14 diverte e non rinuncia a coinvolgere il pubblico, che lo sorregge a piene mani in un lungo serpentone quasi a volergli dire Ti amo terrone, proprio come la sua canzone.

La componente musicale femminile di quest’anno si conferma senz’altro tra le più alte e, dopo Francesca Mesiano e Donatella Rettore, indossa anche i jeans a vita alta e la semplicità di Chiara Giardino che presenta tra timidezza e buona potenza vocale il suo nuovo progetto Nel Giardino, di cui nei prossimi periodi sentiremo sicuramente parlare.
Il palco del Color Fest accoglie, poi, con calore per la seconda volta Francesco De Leo, ex frontman e fondatore della band L’Officina della Camomilla, con cui aveva emozionato l’Abbazia Benedettina in precedenza.
Si tratta di un ritorno particolare insieme ad un nuovo gruppo di musicisti, ma soprattutto nella nuova veste da solista con l’album d’esordio dal titolo La Malanoche, prodotto da Giorgio Poi ed espressione del suo viaggio musicale “tra i bassifondi di un favela immaginaria nel Mar dei Caraibi e una qualsiasi provincia italiana”.
Sospesi tra sogno e realtà, intrisi ancora delle melodie psichedeliche e dream pop di De Leo, la carica giusta arriva con Clap! Clap!, creazione del producer toscano Cristiano Crisci, aka Digi G’Alessio, che fa scatenare per circa due ore con la sua musica dai ritmi elettronici e tribali richiamando l’internazionalità e la vicina Africa.
Il momento alternative rock della serata è segnato dalle atmosfere da fumetto e poliziesco dei Sick Tamburo di Gian Maria Accusani e Elisabetta Imelio.
Un fascino inconfondibile e una presenza scenica per una band dalla personalità forte che alterna dolcezza e grinta.
Particolari e stimolanti, i due musicisti si alternano nelle esibizioni facendo apprezzare la bellezza di brani come Un nuovo giorno, Sei il mio demone, Dimentica, La mia mano sola, Meno male che ci sei tu.

Cambia il palco, il pubblico si sposta, ma la serata prosegue con la potenza sonora dei Bud Spencer Blues Explosion, duo alternative bluesrock composto da Cesare Petulicchio (batteria, percussioni, glockenspiel) Adriano Viterbini (chitarra, voce, basso, ngoni, piano e organo) che sfoggia il suo polistrumentismo e l’esperienza fatta di collaborazioni importanti e progetti paralleli.
Non arrivano sicuramente impreparati al festival lametino e caricano la folla con le canzoni dell’ultimo album Vivi Muori Blues Ripeti e non solo, omaggiando i Chemical Brothers in un’originale cover o meglio una rivisitazione italiana di Hey boy Hey girl, contenuta nell’album omonimo Bud Spencer Blues Explosion.
Brescia arriva in Calabria con Frah Quintale, all’anagrafe Francesco Servidei, uno degli artisti che senz’altro quest’anno ha colpito di più, confermandosi una rivelazione.
Dal rap al pop il suo percorso sembra essere in ascesa e i fan ne sono la dimostrazione, sempre più numerosi, preparatissimi, provenienti da tutte le parti e senza bisogno di telefonini sofisticati per ricordare le canzoni, quelli si useranno soltanto per fotografare e conservare in un video le emozioni.
Sarà colpa del vino o della Gravità, ma il duo di Merio e Frah colpisce e affonda e, nonostante, l’ora tarda, ha fiato per 8 miliardi di persone, Nei treni la notte, Cratere e tanto altro.

Stremati e stanchi, ma con la musica nel sangue e nel cuore, il vino buono arriva alla fine della serata con Cosmo (Marco Jacopo Bianchi),che prima si diverte con un appassionato djset tra gli spari di coriandoli e una ricca scenografia fatta di strobo, laser, fumo e della solita grande scritta Cosmotronic, poi dà vita al suo party collettivo per l’unica data calabrese dell’estate.
Il suo tour fa tappa quindi tra le tende, sotto e sopra i palchi della Giurranda, a suon di elettronica e sperimentazioni musicali che lo fanno restare sempre sulla cresta dell’onda.
Nessun salto sul pubblico come quelli a cui siamo abituati, nessuno slancio di fiducia, ma in compenso cambio di giacca, virtuosismi “cosmici” degni di lui e canzoni come Sei la mia città, Quanto ho incontrato te, Le Voci, Turbo per festeggiare il suo Bentornato fino all’euforia de L’ultima festa, sperando di rivederlo presto.
Color Fest 2018 è musica, ma vuol dire anche casa, divertimento, chicche e tocchi di fantasia.
Ricorderemo, infatti: il live notturno sotto le stelle del 4 agosto dedicato al popolo dei campeggiatori dal simpatico Nicolò Carnesi, grande artista, ma soprattutto grande comunicatore, il classico tipo di cantante che vorresti sempre incontrare come uscito da un armadio; il reading originale di Quello Sporco Duo, uno dei progetti che fanno capo alle Autoproduzioni Appese, collettivo di libero pensiero e libera scrittura di Reggio Calabria; il primo esperimento live di Naip, Nessun Artista In Particolare e la modenese Sara Ammendolia in arte Her Skin giovanissima, ma già con un gran talento.

Non dimenticheremo inoltre i djset: quelli freschissimi di Dj Ango Unchained, ma anche quello sensazionale di PSNZZT, collettivo di dj e producer formato da Daniele Giustra, Fabio Nirta e Marco Ragno, che ha presentato al Color Fest Completamente Mashup, una raccolta simpatica e avvincente di artisti come Cosmo, 883, Beck, Kavinsky, Young Signorino, Albano e Romina e tanti altri.
E chiudiamo questo resoconto con alcune riflessioni attraverso le parole del direttore artistico Mirko Perri:
“Il festival continua ad essere in crescita, in crescita sui numeri, sul servizio che si prova a dare al pubblico, è in crescita come visione del festival stesso che diventa un’esperienza intera di due giorni.
La crescita di quest’anno in una nuova location si nota anche nel suo espandersi su 48 ore consecutive e non solo a partire all’apertura cancelli; in un’area camping a cinquanta metri da quella concerti; in una lineup caratterizzata da un gran numero di artisti, circa otto il primo giorno, nove il secondo, e in tanto buon djset.
Un aggettivo o una parola? La parola giusta è visione, avere la visione ora di ciò che può accadere già l’anno successivo; mentre lavoro a questo festival sto già immaginando a come sviluppare la prossima edizione, quindi, penso che sia l’espressione più giusta per identificare il Color Fest”.










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