R O C K M E M O R I E S
Articolo di Riccardo Talamazzi
Non so se Sixto Rodriguez si sia mai reso conto di essere stato un fiammeggiante provocatore, oltre che un verace folksinger. Forse lo realizzò in seconda battuta, quando la sua incredibile parabola umana e artistica riconobbe un inaspettato – e tardivo – riscontro addirittura in Sudafrica, germogliato ai tempi dell’apartheid prima dell’avvento di Mandela. A lui, operaio nella Detroit dell’acciaio, sesto figlio di una famiglia mista con padre messicano e madre nativa-americana, sembrò di aver raggiunto un importante traguardo quando incise un paio di dischi per la Sussex di Los Angeles, Cold Fact nel 1970 e Coming from Reality nel ’71. Poi però, quello che avrebbe potuto essere un ottimo punto di partenza si tramutò invece in una fugace esperienza autoriale. Date le scarsissime vendite negli USA, il progetto di un terzo album gli morì in gola perché l’etichetta californiana non ci pensò due volte a scaricare questo autore di un folk un po’ desolato che non faceva cassa nemmeno per coprire le spese di produzione. Ad ogni modo Rodriguez non era fatto per lo scoramento. Trovò lavoro come operaio edile, mise su famiglia, ebbe due figlie e alla soglia dei quarant’anni si prese pure una laurea in filosofia. E fin qui tutto bene, o male, a seconda dei punti di vista…
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