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Romeo e Giulietta @ Piccolo Teatro Strehler, Milano

T E A T R O


Articolo di Mario Grella

È tradizione ormai inveterata che tutti i registi teatrali, a cominciare dai più grandi, quando devono cimentarsi con un testo classico del teatro, cerchino nelle loro messe in scena di darne una versione “attualizzata”, cerchino insomma di ambientare l’azione nella contemporaneità. Sono pochi i registi che hanno resistito a questa tentazione. Così anche Mario Martone, uno dei più celebrati registi italiani (non solo teatrale, s’intende), ha ceduto al richiamo del “hic et nunc”, nella sua prima regia per il Piccolo Teatro di Milano, dove ha portato in scena Romeo e Giulietta di William Shakespeare, scritta presumibilmente tra il 1594 e il 1597. L’operazione, come è facilmente immaginabile comporta dei rischi notevolissimi: opere tanto perfette, fatte di equilibri delicati, orditi e trame calibratissime e veicolatrici di messaggi profondi, di morali solenni o di dubbi amletici, se non maneggiate con cura possono trasformarsi in patetiche boiate o ridicole rappresentazioni.

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Anatomia di un suicidio @ Piccolo Teatro Grassi, Milano

T E A T R O


Articolo di Mario Grella

Il nuovo talento della drammaturgia britannica si chiama Alice Birch, ha trentacinque anni ed è l’autrice della bellissima Anatomia di un suicidio, (tradotto in italiano da Margherita Mauro per il Saggiatore), pièce teatrale di tre ore filate in scena al Piccolo-Teatro Grassi di Milano, fino al 19 marzo, una co-produzione del Piccolo Teatro e Casadargilla per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni. Nonna, mamma e nipote legate dal filo di un male di vivere profondo e le loro vicende si dipanano sincronicamente sulla scena pur se vissute in tempi diversi: gli anni Settanta per la nonna, il Duemila per la figlia e il Duemilatrentacinque per la nipote. Una trovata drammaturgicamente geniale e una narrazione scarna, fatta di dialoghi o monologhi che tengono le protagoniste sospese sull’abisso, ma senza mai lasciarle precipitare.

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La Maria Brasca @ Teatro Franco Parenti, Milano

T E A T R O


Articolo di Mario Grella

Maria Brasca è certamente uno dei più originali personaggi del teatro contemporaneo italiano, forse non solo italiano. L’articolo determinativo “la” poi la caratterizza ancora meglio, dandole quella connotazione geografica e umana che la fa appartenere alla storia del teatro milanese che, pur non avendo una storia centenaria come quello napoletano, ha pur tuttavia una certa tradizione e pieces di alta qualità, tra le quali basti pensare a El nost Milan di Carlo Bertolazzi. La Maria Brasca di Giovanni Testori, messa in scena dal Teatro Franco Parenti e dal Teatro della Toscana, per la regia di Andrée Ruth Shammah e interpretata brillantemente da Maria Rocco, portava con sé, come un fardello, il ricordo indelebile di due straordinarie interpreti del personaggio: Franca Valeri negli anni Sessanta e più tardi, sempre per la regia di Shammah, Adriana Asti.

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Mr & Mrs Clark. Ossie Clark and Celia Birtwell. Fashion and Prints 1965-1974 @ Fondazione Sozzani, Milano

A R T E – M O S T R E


Articolo di Mario Grella

Se prima del dieci aprile qualcuno di voi volesse fare un tuffo nella Londra punk, nelle sue icone, ma soprattutto nella sua moda, non dovrà far altro che visitare la piccola, ma preziosa mostra, allestita alla Fondazione Sozzani di corso Como 10, ed intitolata Mr & Mrs Clark. Ossie Clark and Celia Birtwell, fashion and paints 1965-1974. La mostra, curata da Federico Poletti, mette in posa la produzione originale e dirompente di due tra i più celebrati stilisti della Londra di quegli irripetibili anni. Chi pensasse però ad una semplice mostra sulla moda sarebbe fuori strada, poiché quella della Fondazione Sozzani è una mostra di atmosfere: abiti, film, fotografie e disegni che caratterizzarono la capitale britannica a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta.

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Zerocalcare. Dopo il botto @ Fabbrica del Vapore, Milano

A R T E – M O S T R E


Articolo di Mario Grella

Il paradosso di Zerocalcare sta, a mio parere, tutto nel fatto che è talmente bravo nello scrivere i testi e nell’affabulare la trasposizione in video dei suoi fumetti, da far sembrare i suoi disegni quasi un commento del testo e non viceversa, mentre invece il segno grafico è di prim’ordine. La mostra allestita a La Fabbrica del Vapore di Milano dal titolo significativo Zerocalcare. Dopo il botto (aperta fino al 23 aprile prossimo), con le sue oltre 500 tavole esposte e i numerosi video, manifesti, libri, locandine, fotografie, rende pienamente giustizia a questo artista a tuttotondo. Sebbene nella mostra sia presente un’ampia fetta della produzione di Zerocalcare, si può tranquillamente affermare che il focus di questa esposizione è certamente il racconto della frammentazione sociale all’indomani della pandemia. Intorno a questo tema ruotano i numerosi video esposti e molte storie a fumetti.

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Dawson / Duato / Kratz / Kylián @ Teatro Alla Scala, Milano, febbraio 2023

L I V E – R E P O R T – D A N Z A


Articolo di Annalisa Fortin

Se vi chiedessero che colore ha la purezza, cosa rispondereste? Probabilmente la maggior parte direbbe il bianco. Un candido e luminoso bianco.
È proprio una sensazione di purezza e di estasi quella che lascia Anima Animus, il balletto che apre lo spettacolo “Dawson/Duato/Kratz/Kylián” in scena in questi giorni al Teatro alla Scala.
Il sipario si alza su un palcoscenico colmo del fulgore di una luce bianca. Lo spettatore, inizialmente destabilizzato da una sorta di vertigine, si ridesta subito, percependo l’armonia e la raffinatezza che pervade l’intero teatro. E ne trae una sensazione benefica, ammaliante. Estasiante.
La musica è di Ezio Bosso, al cui concerto il coreografo David Dawson assistette a San Francisco, nel 2017, con un quaderno che riempì di idee. Ne emerse, dopo un lavoro intenso e frenetico di tre settimane, un capolavoro dall’ampio respiro e di estrema bellezza.
La conformazione della melodia, la complessità dei contrattempi, la frammentarietà della retrospezione immortalata in bellissimi effetti di controluce, mettono in risalto le esili forme di danzatrici che sembrano meravigliose libellule. Il quadro, dalla grande forza poetica, è arricchito dall’armonia degli interpreti maschili, splendidi e capaci partner nelle numerose prese previste dalla coreografia. Un lavoro delicato, virtuoso, umano e musicale. Quasi a ricalcare quanto scriveva lo stesso Bosso:“Mentre scrivo penso ancora e ancora a ciò che rimane e realizzo… che le registrazioni, i dischi, sono proprio una delle cose che restano. Spesso ciò che resta del suono, dell’idea, del tocco e soprattutto di un momento preciso della vita di un musicista, sono quelle fotografie.”

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Bruce Nauman – Neons Corridors Rooms @ Pirelli HangarBicocca, Milano

A R T E – M O S T R E


Articolo di Mario Grella

Forse non tutti sanno che Bruce Nauman, da giovane, aveva intrapreso studi matematici, ma invece di un razionalissimo matematico è diventato un razionalissimo artista, sfatando, ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che arte e razionalità, spesso, molto più spesso di quanto si ami credere, non possano convivere. Ed è proprio applicando il metodo rigoroso dell’indagine scientifica che verità, spesso indiscusse e tramandate, possono non bastare a fornire una percezione univoca e rassicurante della realtà. Visitare la magnifica mostra Neons Corridors Rooms del Pirelli Hangar Bicocca di Milano conferma ampiamente questa tesi ed è quindi fortemente consigliato, fino al 26 febbraio, costringere il vostro corpo a visitarla, visto che anche il vostro corpo diventerà parte della ricerca del grande artista americano. Bruce Nauman usa il corpo (soprattutto quello del visitatore), come materiale scultoreo umano e le sue installazioni non potrebbero vivere senza il corpo di chi le attraversa e le percorre. Il corpo del visitatore si trova a vivere in una sorta di “dasein” per usare un termine caro all’esistenzialismo, nell’opera stessa. “Esserci” questa potrebbe essere la traduzione del termine tedesco: esserci per esperire ed essere esperiti.

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Ferito a morte @ Piccolo Teatro Strehler, Milano

T E A T R O


Articolo di Mario Grella

Napoli è una città che ti ferisce a morte o ti addormenta. È questo l’assunto di base e la conclusione del magnifico testo di Raffaele La Capria, adattato per il teatro da Emanuele Trevi e portato in scena in questi giorni al Teatro Strehler di Milano per la regia di Roberto Andò, una coproduzione del Teatro di Napoli, Teatro Nazionale, Teatro dell’Emilia Romagna, Teatro Stabile di Torino. Andò è un napoletano non ortodosso, se mi si passa il termine, ovvero uno di quei napoletani, la cui “napolitanità” (io lo chiamerei di più “napoletanismo”) non gli ottunde le facoltà mentali e quindi non gli impedisce una visione critica della “capitale del Mezzogiorno d’Italia”. Appartiene cioè a quella schiera di artisti, registi, musicisti che, lontani dal manicheismo di maniera e dal facile folklore che ormai sembra dominante quando si cita Napoli, sa guardare in profondità i vizi e i vezzi della società e della popolazione napoletana. In realtà l’elenco potrebbe essere piuttosto nutrito e potrebbe comprendere registi come Paolo Sorrentino e Mario Martone, scrittori come Roberto Saviano, attori come Tony Servillo, ma anche musicisti come Peppe Barra o il compianto Pino Daniele.

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Dineo Seshee Bopape – Born in the first light of the morning [moswara’marapo] @ Pirelli HangarBicocca, Milano

A R T E – M O S T R E


Articolo di Mario Grella

Non è solo da oggi, che sono attratto dagli artisti africani molto più vivaci, molto più motivati, molto più attenti è molto più prolifici dei cosiddetti artisti occidentali (sempre che queste definizioni significhino ancora qualcosa). Allora se amate l’arte africana contemporanea (ma anche se non sapete neppure cosa sia e/o come sia) non dovreste perdervi Born in the first light of the morning di Dineo Seshee Bopape, allestita nello “Shed” del Pirelli HangarBicocca a Milano. Di solito a questo punto sarebbe d’uopo presentare l’artista. Mi limiterò a dire che Bopape è nata a Polokwane, in Sudafrica, nel 1981 ed è proprio il luogo di nascita, più che il prestigioso curriculum di studi, che dà profondissimo senso alla sua arte che, inutile negarlo, ha necessariamente a che fare con molte avanguardie artistiche della seconda metà del Secolo breve, nonostante queste ancestrali e remote radici. Video, installazioni, Land Art, sono i mezzi coi quali la Bopape costruisce il suo universo segnico e i “resti” di un mondo fattuale, costruito spesso da terra, roccia, fuoco e acque che, quasi invariabilmente, ritornano al tema più caro all’artista africana: il colonialismo e l’Apartheid. Ispiratrici di Dineo Seshee Bopape sono state numerose figure di scrittori e attivisti anti coloniali del sud del mondo, come lo psichiatra e attivista Frantz Fanon, lo scrittore Sol Plaatje, la scrittrice femminista afro-americana Audre Lorde, il sociologo Stuart Hall, l’attivista anti-Apartheid Winnie Mandela.

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