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Carlo Corallo – Quando le canzoni finiscono (Osa Lab, 2022)

Articolo di Giovanni Tamburino

Carlo Corallo è un artigiano della parola. È giovane e ha lo sguardo del mastro siciliano, che nella ruvidezza spoglia del tronco e della pietra sta già tracciando architetture e forme che passano da ieri a oggi con la semplicità di un bambino che cresce giorno dopo giorno.
È quasi possibile, col tocco del polpastrello, sentire la levigatura, gli angoli, come ogni parola sia presa, piegata dolcemente e adattata alla forma, al compito che ha all’interno dell’opera.

Le impressioni che già nel 2019 avevano accompagnato il suo primo album Cant’Autorato diventano certezza con l’uscita del suo secondo progetto. Quando le canzoni finiscono è la risposta di Carlo alle sue esigenze personali di narrazione, ma anche una presa di posizione al mondo che lo circonda. In un contesto musicale in cui a cambiare è prima di tutto la modalità di ascolto, la premura di Carlo non è il successo mainstream, ma anzi impone di sedersi con lui. Rallenta, esplora, assapora il gusto di ogni brano, scoprendo livelli di narrazione sempre nuovi, in cui la riflessione, il vissuto, l’onirico e l’istinto coesistono e mutano all’unisono.

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Murubutu – Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali (Glory Hole Records, 2022)

Articolo di Giovanni Tamburino

Il 2022 è – si spera – l’anno definitivo del ritorno alla quotidianità, dei rientri. Tra questi, sicuramente quello scolastico è tra i più attesi. Sembrerebbe quasi di buon auspicio che tale occasione coincida con il ritorno del Professor Mariani, aka Murubutu, che torna sulla cattedra con il suo settimo disco.
Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali palesa già se e come questo nuovo album – sempre con Glory Hole Records – si configuri rispetto ai suoi predecessori. Un nuovo capitolo della sua saga di antologie musicali, del dialogo tra hip hop e letteratura che vede come concept, protagonista, prima spettatrice, narratrice, la pioggia stessa, in grado di incupire, punire, purificare le forze della storia.

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Jónsi – Obsidian (Krunk Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Massimo Menti

L’ossidiana è una roccia eruttiva effusiva, nera, dai bordi taglienti come lame, dura e fragile allo stesso tempo, un vetro vulcanico che si forma per rapido raffreddamento della lava. Jónsi (Birgisson) cantante e artista islandese (e leader della band Sigur Rós) riversa queste precise caratteristiche in Obsidian, il nuovo album uscito a sorpresa ad un anno di distanza dal precedente Shiver. Il progetto accompagna anche l’omonima mostra che si terrà fino al 17 dicembre alla Tanya Bonakdar Gallery di New York. Hrafntinnublómstur in islandese fiore di ossidiana è una scultura di grandi dimensioni presente nella galleria d’arte (e usata come cover del disco) composta da roccia vulcanica, resina, noci brasiliane bruciate, sabbia nera, muffa ed acciaio. Jónsi non solo musicista dunque, ma anche artista a tutto tondo, capace di mescolare elementi di natura diversa per generare nuove creature, una specie ibrida sintetico mineral-floreale.

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Sebastian Plano – Save Me Not (Mercury KX, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Massimo Menti

Una volta un giornalista chiese al compositore Sebastian Plano per quale motivo la maggior parte delle persone reagisca in modo profondamente emotivo al suono del violoncello. Lui rispose perché semplicemente questo strumento opera nello stesso range di frequenze della voce umana (maschile e femminile combinate), risuonando in questo modo con molti individui e molto di più rispetto al violino che invece ha un registro più alto. Questa descrizione mi balena alla mente ogni volta che ascolto un lavoro di questo giovane e talentuoso violoncellista di origine argentina, perché è esattamente ciò che provo sempre anch’io.

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La Rappresentante di Lista – My Mamma (Woodworm, 2021)

R E C E N S I O N E


Voglio provare ad esistere
La mia natura è resistere

(La Rappresentante di Lista, Resistere, 2021)

 

Recensione di Francesca Marchesini

My Mamma è il quarto album pubblicato dal duo queer pop La Rappresentante di Lista. Questo nuovo lavoro in studio nasce dalla creatività di Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina; la significativa collaborazione dei musicisti Enrico Lupi, Marta Cannuscio, Erika Lucchesi e Roberto Calabrese, però, fa sì che La Rappresentante di Lista assuma sempre più i tratti di un collettivo artistico con l’obiettivo di promuovere, attraverso la musica, i principi di fluidità e libertà. La copertina del disco (Manuela Di Pisa) si ispira al dipinto L’origine del mondo di Gustave Courbert e vuole richiamare i temi del femminismo contemporaneo che My Mamma racconta, con i suoi arrangiamenti nervosi e le sonorità sempre più elettroniche.
L’album, uscito il 5 marzo, contiene il singolo Amare; un brano che, in un flusso di coscienza á la Virginia Woolf, narra della passione amorosa e la sua idealizzazione. Con Amare, il gruppo ha partecipato al Festival di Sanremo 2021 classificandosi undicesimo; durante la kermesse sanremese, inoltre, La Rappresentante di Lista ha duettato con Donatella Rettore sulle note di Splendido Splendente, ritornando a parlare del rapporto con il proprio corpo come aveva già fatto nel suo terzo album. Quest’ultimo si intitola Go Go Diva (Woodworm, 2018) e, nonostante l’interessante eccentricità di My Mamma, rimane -a oggi- il miglior lavoro in studio della band.

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Steven Wilson – The Future Bites (Caroline International/Universal, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Arianna Mancini

Narcisismo, social network, shopping compulsivo, ego, consumismo, tecnologia sono le parole chiave di The Future Bites, sesto album solista del polistrumentista britannico Steven Wilson uscito lo scorso 29 Gennaio.
Chi conosce il percorso creativo di Steven può restarne destabilizzato o incantato. Questa sua nuova incarnazione lo vede spogliarsi totalmente dagli abiti natii sonori prog per vestire un sound più pop elettronico. È però inconfutabile che, per chi ha avuto modo di seguirlo, eclettismo, versatilità e metamorfosi siano i tratti distintivi del suo DNA in continua mutazione e ricerca. Membro e fondatore dei Porcupine Tree, gruppo rock-progressive nato inizialmente come one-man band sul finire degli anni Ottanta e attivo fino al 2010 con 10 “signori” album studio, ha preso anche parte in diversi side-project come i No-Man, i Blackfield, gli Storm Corrosion, i Bass Communion, gli I.E.M. in cui ha fluttuato fra krautrock sperimentale, art rock, psychedelic folk, drone-ambient, e dream pop. Come se non bastasse ha parallelamente eseguito la rimasterizzazione di pietre miliari dei King Crimson, Jethro Tull e Yes, iniziando nel 2008 la sua carriera da solista che ci conduce oggi a The Future Bites.

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Balthazar – Sand (Play It Again Sam, 2021)

R E C E N S I O N E


You were patient, while in the water I hid,
Until I started drowning in it

(Balthazar, You Won’t Come Around, 2021)

 

Recensione di Francesca Marchesini

Attesa ed irrequietezza, ecco cosa rappresenta l’Humunculus Loxodontus (scultura di Margriet Van Breevort) ritratto sulla copertina di Sand, nuovo album dei Balthazar in cui proprio l’incapacità di vivere il momento vuole essere il tema centrale. Si tratta del quinto lavoro in studio della band belga e il secondo LP pubblicato dopo la “pausa creativa” che il gruppo si prese fra il 2015 e il 2018. Con Sand viene riconfermato quel sound alt-pop contaminato da disco e R&B che si era incontrato nell’album precedente Fever; come per l’LP uscito nel 2019, i progetti paralleli di Marteen Devoldere (Warhaus) e Jinte Deprez (J. Bernardt), entrambi voce e testi per la band, risultano particolarmente influenti e Sand si allontana sempre più dal clima indie-rock dei primi lavori.

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Martina Bertoni – Music for Empty Flats (Karlrecords, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Massimo Menti

Martina Bertoni violoncellista di formazione classica, collabora da tempo con il musicista e compositore friulano (ma romano d’adozione) Teho Teardo e con il musicista ed artista tedesco Blixa Bargeld (componente tra l’altro degli Einstürzende Neubauten). Esordisce nel 2018 come compositrice, e dopo la pubblicazione di un paio di EP, arriva al vero primo album, il bellissimo All the ghosts are gone all’inizio del 2020. Nel progetto d’esordio, la musicista si riappropria del proprio equilibrio fisico e psicologico venuti a vacillare dopo un periodo difficile, scavando nel subconscio esplorando territori sconosciuti per ritrovare identità e consapevolezza. A circa un anno di distanza, precisamente a fine gennaio scorso, vede la luce il nuovo full lenght pubblicato per Karlrecords ed intitolato Music for Empty Flats, naturale seguito e completamento del precedente, concepito e prodotto tra Berlino dove l’artista risiede e lavora e Reykjavík. 

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Ani DiFranco – Revolutionary Love (Righteous Babe Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Arianna Mancini

È un amore rivoluzionario quello di cui canta Ani, a quattro anni di silenzio da Binary.
Un tale messaggio non ci stupisce ed è un’ulteriore conferma della sua coerenza e crescita. La sua, una storia sui generis che ne fanno un’icona. Una song writer sopra le righe che si è sempre contraddistinta oltre che per il talento, per il coraggio, l’audacia e la fierezza del suo spirito libero. Classe 1970, ventuno album studio, a solo diciannove anni ha pubblicato il suo primo album Ani DiFranco fondando la Righteous Babe Records, propria casa discografica per non soggiacere ai dettami delle major. Da allora non si è mai fermata seminando perle sino a giungere agli albori del nuovo anno con il suo amore rivoluzionario.
Il titolo dell’album trae ispirazione dal libro See No Stranger – A Memoir and Manifesto of Revolutionary Love, scritto da Valerie Kaur avvocatessa e attivista americana di origine sikh. Tale opera non poteva che trovare terreno fertile in Ani che si è sempre impegnata attivamente in cause sociali, ambientali e politiche  facendosi portavoce delle minoranze sia nelle questioni razziali che di parità di genere.

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