R E C E N S I O N E
Recensione di Nicola Barin
C’è una frase che può riassumere meglio di altre il nuovo progetto del pianista americano Fred Hersch, ed è il titolo della sua biografia: Good Things Happen Slowly. Il pianista di Cincinnati all’età di 68 anni ci regala un altro progetto in piano solo, un album che esalta le atmosfere notturne e umbratili. Ognuno di noi incontra musicisti con i quali trova, per motivi oscuri, una sorta di sintonia particolare, una costante empatia, una folgorazione. La mia con Fred Hersch è avvenuta con l’album The Fred Hersch Trio +2 del 2004. Con un amore verso la lezione di Bill Evans l’artista ha saputo far confluire e distillare un timbro unico e irripetibile creando il miglior piano trio attualmente in circolazione (insieme a John Hébert al contrabbasso e Eric McPherson alla batteria). Il pianismo di questo artista si insinua lentamente, si fa strada con garbo senza stravolgimenti, ad un primo ascolto, successivamente le sensazioni mutano, ascoltate la versione di Bemsha Swing di Thelonious Monk tratta dal Live al Village Vanguard del 2003: la pulsazione ritmica è possente, lo swing scorre con ferocia.
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