R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

L’essenziale, ovvero “nulla di troppo”, come recitava un antico precetto delfico. Se metti assieme la chitarra di Jakob Bro, la tromba di Arve Henriksen e la misuratissima batteria di Jorge Rossy, otterrai la quintessenza di un delicato procedimento alchemico che sobbolle nell’alambicco creativo di questo Uma Elmo. È l’ultima uscita di Bro per ECM. Alle spalle una lunga esperienza con diversi artisti come Paul Motian, Thomasz Stanko e Lee Konitz – ai quali è dedicato un brano ciascuno di questa raccolta – Paul Bley, Bill Frisell, e molti altri. Una musica in cui l’aspetto ritmico è decisamente secondario e dove la batteria si trova a recitare la parte di uno strumento melodico e non solo percussivo. Una chitarra piena d’arpeggi che si libra in aria come una libellula e una tromba spesso sussurrata a interrogarsi sul mistero dell’esistenza. Si viaggia in territori profondi, sotto il limite della coscienza, in quella zona opaca che precede l’oscurità della psiche, là dove pochi escursionisti osano avventurarsi. Una specie di “Monte Analogo” la cui vetta è rovesciata e le nubi che la circondano lasciano solo intravedere ciò che si cerca d’immaginare. Non ci sono vere luci in questo viaggio interiore ma penombre, solo spiragli di luminescenze fugaci, fuochi fatui. 

La ricerca di questo trio è coraggiosa, l’improvvisazione è cauta, un passo per volta attenti a non cadere. Come una cordata di speleologi che scendano alla ricerca di grotte inesplorate. La musica si fa trovare a frammenti, sperimentandola, ascoltandone gli echi e i riverberi, nello sforzo di liberarla da un’oscurità avvolgente che la cela, irridente, agli occhi di chi la stia cercando. Non siamo al cospetto solo di un sogno, però. I sensi sono spesso ben desti, pronti a cogliere anche il più piccolo segnale di vita. Perché ci sarà pur qualcosa nella profondità psichica, là nel luogo dove attendono gli archetipi al flusso del nostro Essere. Bro e compagni si avvicinano alla sorgente, ne percepiscono lo sgocciolare d’acqua tra le rocce. Ci precedono nella discesa e ci raccontano le loro visioni ma il loro narrare è criptico, enigmatico, e non può essere altrimenti. Come raccontare a parole quello che non si può descrivere?  Il primo brano di questo disco, Reconstructing a dream, sembra narrare lo stupore di un risveglio, la difficoltà di raccogliere le immagini oniriche affollatesi nella notte e di dar loro un senso. La tromba crea uno spazio a sé, la chitarra di sottofondo racconta la sequenza dei ricordi, la batteria è punteggiatura ma tutto è inutile. Arianna ha lasciato il filo e Teseo non ritrova la strada. Eppure il sogno sembrava così reale… Il brano seguente, To Stanko, è invece un ricordo di vita vissuta, una dedica piena di vibrante, silenziosa malinconia per la perdita di Thomasz Stanko con cui Bro aveva suonato in un precedente lavoro, Dark eyes, sempre in un ECM uscito nel 2009. Beautiful day ha un insolito inizio con una tromba flautata che ricorda Debussy e il suo Prelude à l’apres- midì d’un faune. Qui siamo calati nella profondità di cui s’accennava all’inizio. Sembra che la tromba ci stia parlando, stia cercando di raccontarci ciò che vede e sente. Il difficile, per noi, è interpretare il linguaggio delle sensazioni e trasformarlo in parole. Come decifrare un’emozione se non identificandoci con essa? Morning song racconta l’arrivo di un nuovo giorno, prima ancora dell’aurora. Siamo a un passo dall’alba, quando comprendiamo che l’oscurità lascerà la terra, ma non ora. È ancora presto, la coscienza deve ridestarsi completamente. Si tocca la punta massima di rarefazione in Housework, undici minuti di sospensione temporale, una lunga sosta su una scala eolica fino al punto in cui qualcosa pare spezzarsi e gli strumenti sembra vengano avvolti da una angosciosa impazienza. Arriviamo ad un altro omaggio, questa volta a Lee Konitz con Music for black pigeons ma qui, duole dirlo, si perdono un po’ i contorni del progetto, coi suoni impigliati in una trama elettronica come mosche in una ragnatela. Si rischia una punta di noia, il peggior nemico di ogni creazione musicale. Fortunatamente con Sound flower si recupera la traccia del discorso. Il viaggio prosegue, nuovi paesaggi appaiono all’orizzonte, forse le nubi si diradano, le note della tromba s’accendono di speranza. Slaraffeland è molto melodica, con la chitarra che si culla in un paio d’accordi malinconici ed Henriksen intona una cantilena, quasi una canzone nostalgica che si perde nell’aria, come una specie di addio. Si chiude riprendendo e variando la Morning song della traccia n.4. L’avevamo lasciata un momento prima del sorgere del sole. Ora la luce è ritornata, la tromba è meno languida, il suono più deciso. Il processo alchemico di trasformazione è terminato. Il V.I.T.R.I.O.L, cioè la visita nei territori interiori, ha richiesto come da prassi di rettificare spesso la rotta. Ma questo è l’unico modo per trovare l’elisir, la Pietra nascosta e il trio di Jakob Bro ha fatto veramente di tutto per disvelarla.

Tracklist:
01 Reconstructing A Dream
02 To Stanko
03 Beautiful Day
04 Morning Song
05 Housework
06 Music For Black Pigeons
07 Sound Flower 
08 Slaraffenland 
09 Morning Song (Var.)