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Jorge Rossy

Richard Andersson | Per Møllehøj | Jorge Rossy – Inviting (Hobby Horse Records, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

È interessante notare come il contrabbassista danese Richard Andersson, nell’inventare questo nuovo progetto d’insieme, riesca a mettere in risalto non solo le proprie qualità –  che sono molte e poste in evidenza attraverso i numerosi assoli qui proposti –  ma soprattutto anche quelle degli altri musicisti raccolti intorno a lui. Nel nuovo album Inviting, ad esempio, vengono sottolineate abbondantemente le qualità dei suoi colleghi, come il conterraneo chitarrista Per Møllehøj – che Andersson già ben conosce per aver registrato con lui A Ghost of a Chance nel 2019 – e come il batterista spagnolo Jorge Rossy che collabora per la prima volta con Andersson – di Rossy potete trovare la recensione del suo disco Puerta (qui) e anche la sua collaborazione con Jakob Bro in Uma Elmo (qui). Andersson – che non va confuso col suo omonimo svedese, tastierista orientato al metal – ha pubblicato oltre una decina di album come titolare e in questo stesso anno è uscito anche con un disco di contrabbasso solo (U-Synlig). La sua educazione musicale non è prescindibile dallo studio accurato di colleghi come Larry Grenadier e dall’ammirazione appunto per Jorge – detto anche Jordi – Rossy, guardacaso due musicisti che ritroviamo nel tempo in compagnia di famosi pianisti come Brad Mehldau a costituirne l’ossatura ritmica. Ed è proprio attraverso l’ascolto e l’analisi dell’organizzazione del piano-trio che Andersson ha preso le proprie misure come contrabbassista, affascinato dall’interscambio di idee e dai numerosi e fluidi tempi dispari messi in gioco per sostenere lo strumento solista. In questo Inviting al centro delle invenzioni musicali c’è Per Møllehøj, chitarrista forse un po’ sottostimato nel clima jazzistico europeo, che si muove con rilassata eleganza tra le maglie ritmiche del contrabbasso e della batteria di Rossy, quest’ultimo probabilmente l’elemento, nel trio, con più larga esperienza sulle spalle. Il batterista spagnolo incrocia per la prima volta le sue bacchette sia con la chitarra di Møllehøj che con il contrabbasso di Andersson e ciò che ne vien fuori è questo lavoro piuttosto tradizionale, di granitica intelaiatura ritmica, che si muove attraverso godibili incroci tra spigliate idee melodiche ed armoniche. Certo, non si tratta di musica d’avanguardia e oserei definirla “parzialmente” contemporanea, dove però si ascolta del buon bebop sia negli standard che nei brani composti dal gruppo – due di Andersson ed un altro paio di Møllehøj. La musica si svolge in una scarna essenzialità, rifuggendo le ridondanze perché si tratta di pura, inaffondabile tradizione after eight. Non c’è nulla di misterioso da cercare, il trio non ha niente da nascondere e conseguentemente da svelare, ma elargisce una notevole sensazione di serenità offerta all’ascoltatore come pegno per la sua attenzione.

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Jorge Rossy, Robert Landfermann, Jeff Ballard – Puerta (ECM Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Mi hanno sempre affascinato i polistrumentisti. Da ragazzi – erano gli anni’60 –  quando tutti più o meno suonavamo uno strumento musicale, i più ammirati erano quelli che potevano mollare la chitarra e sedersi al posto di un batterista o di un tastierista o viceversa. Jorge Rossy è appunto un polistrumentista di alto livello, che può passare con una certa leggerezza dalla batteria al pianoforte, dal vibrafono alla tromba e fare sempre la sua bella figura. In effetti Rossy, cinquantasettenne nato a Barcellona, comincia la sua carriera di musicista proprio come batterista e come tale, non ancora trentenne, lavora a New York dove viene conteso da gente come Mark Turner, Brad Mehldau, Avishai Cohen e altri musicisti di pari livello. Nel contempo, compiuti da poco i trent’anni, Rossy inizia a costituire gruppi accentrati sul piano, lasciando ad altri l’incombenza della batteria. Il vibrafono sorge all’orizzonte dei suoi interessi una decina d’anni fa ma sarà solo nel 2015 che questo strumento entrerà  in prima linea quando, a capo di un quintetto che vedeva tra gli altri Mark Turneral sax e Al Foster alla batteria, viene pubblicato Stay There. Questo Puerta riconferma Rossy al vibrafono e alla marimba e lo vede organizzare un trio insieme a Jeff Ballard alla batteria – anch’egli con un’illustre militanza a fianco di Brad Mehldau e Chick Corea, guarda caso due artisti con cui ha spesso lavorato lo stesso Rossy. Il terzo musicista che partecipa a Puerta è Robert Landfermann, contrabbassista di chiara fama avendo avuto musicalmente a che fare con grossi calibri come Lee Konitz, John Scofield, Joachim Kuhn, John Taylor, ecc. Ma il 2021 è stato anche l’anno in cui è uscito Uma Elmo – recensito qui su Off Topic – insieme a Jakob Bro ed Arve Henricksen. Così come il suono della sua batteria in quel disco era misurato e rarefatto, altrettanto si può affermare per ciò che riguarda il vibrafono in quest’ultimo Puerta.

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Jakob Bro, Arve Henriksen, Jorge Rossy – Uma Elmo (ECM Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

L’essenziale, ovvero “nulla di troppo”, come recitava un antico precetto delfico. Se metti assieme la chitarra di Jakob Bro, la tromba di Arve Henriksen e la misuratissima batteria di Jorge Rossy, otterrai la quintessenza di un delicato procedimento alchemico che sobbolle nell’alambicco creativo di questo Uma Elmo. È l’ultima uscita di Bro per ECM. Alle spalle una lunga esperienza con diversi artisti come Paul Motian, Thomasz Stanko e Lee Konitz – ai quali è dedicato un brano ciascuno di questa raccolta – Paul Bley, Bill Frisell, e molti altri. Una musica in cui l’aspetto ritmico è decisamente secondario e dove la batteria si trova a recitare la parte di uno strumento melodico e non solo percussivo. Una chitarra piena d’arpeggi che si libra in aria come una libellula e una tromba spesso sussurrata a interrogarsi sul mistero dell’esistenza. Si viaggia in territori profondi, sotto il limite della coscienza, in quella zona opaca che precede l’oscurità della psiche, là dove pochi escursionisti osano avventurarsi. Una specie di “Monte Analogo” la cui vetta è rovesciata e le nubi che la circondano lasciano solo intravedere ciò che si cerca d’immaginare. Non ci sono vere luci in questo viaggio interiore ma penombre, solo spiragli di luminescenze fugaci, fuochi fatui. 

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