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Recensione

Sun Ra – At The Showcase: Live in Chicago 1976-1977 (Elemental Music, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Alessandro Tacconi

Tempo di celebrazioni per il padre del cosmic jazz e della sua orchestra interplanetaria: Herman Poole Blount aka Sun Ra. Nel mese di maggio ricorre infatti la nascita, il 22 del 1914, e la dipartita verso dimensioni altre, il 30 del 1993, del nostro. Le stesse di cui ha sempre suonato e declamato nelle numerosissime registrazioni dal vivo e in studio. Di questo gigante del jazz è stato scritto e discettato in lungo e in largo, come se le latitudini musicali oltre le quali si è spinto avessero bisogno di alcuni confini entro cui poterlo circoscrivere. Nella sua lunghissima carriera ha attraversato vari generi: dallo swing al bebop, dall’hard bop al free jazz fino al cosmic jazz di cui fu il vero e proprio iniziatore (a detta di diversi critici musicali). Lo stile pianistico è in parte debitore a due colossi dello strumento: Thelonious Monk e Cecil Taylor. Fu uno dei primi jazzisti a sperimentare dalla fine degli anni Sessanta nelle sue composizioni il sintetizzatore, le tastiere elettroniche e il mini moog. La discografia è praticamente sconfinata sia in studio ma soprattutto dal vivo: oltre una sessantina le uscite ma in aumento, come dimostra questa novità discografica: Sun Ra At the Showcase: Live in Chicago.

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Aftersun – di Charlotte Wells (Regno Unito, 2022)

C I N E M A


Articolo di Alessia Palermo

Un padre troppo giovane e una figlia costretta a crescere troppo in fretta. Aftersun è un film che si prende il suo tempo, con una trama appena accennata, eppure ricco e profondo come non ne avevo visti da tempo. Ci troviamo in Turchia, Calum, in prossimità del compimento dei suoi trentuno anni, e l’undicenne Sophie, sono in vacanza insieme. C’è fermento da parte di Sophie per il compleanno di questo tanto giovane e da lei amato padre: ciò la porta a documentare il momento con una telecamera. Riprendere per ricordare, per rivivere, successivamente per analizzare e riscoprire, o magari vedere per la prima volta ciò che si pensava di conoscere.

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Iron & Wine – Light Verse (Sub Pop Records, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Sabrina Tolve

Nelle eteree melodie di Light Verse, il cantautore Sam Beam, meglio conosciuto come Iron & Wine, ci invita in un viaggio intimo e riflessivo attraverso, con una delicatezza che ricorda il sussurro di una brezza primaverile. La nuova fatica di Sam Beam, infatti, si inserisce perfettamente nella sua narrativa musicale, offrendo un’esperienza che si estende tra malinconia e riflessione, senza mai perdere il suo carattere avvolgente e intimo, e dove ogni nota è un tassello di un mosaico di luce che si dipana dolcemente sotto i nostri occhi. Con Light Verse, Beam ritorna alla sua produzione solista dopo quasi sette anni, e ci regala un’opera che si concentra sull’intimità e sui momenti di quieto stupore. L’album, nonostante la sua atmosfera raccolta, non passa inosservato.

Arild Andersen / Daniel Sommer / Rob Luft – As Time Passes (April Records, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Forse As Time Passes, creazione liquida del trio Andersen-Sommer-Luft, potrebbe non essere per tutti l’album da portarsi sull’isola deserta. Ma per quello che mi riguarda ce lo porterei comunque, non solo per la seducente bellezza della musica ma anche per quelle due importanti citazioni riportate sul retro di copertina. Si fa riferimento allo scorrere del Tempo, come s’intuisce dal titolo dell’opera. Da una parte la saggezza del filosofo Eraclito di Efeso, “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, perché l’acqua in cui ti sei immerso è già fluita via” e che suggerisce il continuo divenire della vita. D’altro canto, nell’esergo di T.S.Eliot tratto dai suoi Four Quartets, si dichiara che “il tempo presente e il tempo passato sono forse entrambi presenti nel futuro e il tempo futuro è contenuto nel passato…”. annullando con un semplice paradosso il significato dell’inevitabile decorso temporale. Comunque sia, questa di As Time Passes è musica che sembra voler travalicare tutte le categorie kantiane, tempo e spazio prima d’ogni cosa. Il fatto che i musicisti di questo trio provengano dall’Europa del Nord – Norvegia, Danimarca, Inghilterra – non è indicativo per definire nello specifico il loro lavoro. Prima di tutto perché il genere melodico e riflessivo in cui questi artisti s’impegnano non segue certo degli assoluti riferimenti geografici. Secondariamente per via del fatto che l’album è colmo di risonanze emotive e sentimentali che provano a tracciare un percorso originale, sfruttando le personalità espressive dei singoli e cercando di svincolarsi con naturalezza da influenze esterne di natura ambientale o sociale per seguire un’onda di pensieri per lo più pacatamente introvertita.

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Maria Chiara Argirò – Closer (Innovative Leisure, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Claudia Losini

Bisogna iniziare con una premessa: il panorama italiano è ricco di artiste talentuose, che in qualche modo ottengono numerosi riconoscimenti all’estero, e in Italia trovano un terreno più difficoltoso. Ho avuto modo di parlare di questo con Invernoo, Yoniro, che trovano le loro sonorità nelle influenze della scena UK, di impronta femminile. Ultimamente sotto i riflettori sono arrivate Marta Del Grandi, Daniela Pes, Caterina Barbieri, facendosi portavoci di un genere, più sperimentale, che per quanto rimane di nicchia può e deve rivolgersi a un pubblico più ampio. Il tema delle donne nella musica sperimentale ed elettronica sta acquistando sempre più importanza, ed è giusto che venga dato loro lo spazio che le compete. Nella stessa categoria rientra Maria Chiara Argirò, musicista romana di adozione londinese, che da quando si trova all’estero ha avuto modo di collaborare con numerosi artisti, dai These New Puritans a Jono McCleery e Jamie Leeming, oltre a ricevere il supporto di Gilles Peterson e Four Tet.

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Nick Cave & Warren Ellis – Back To Black (Original Motion Picture Score)(Back Lot Music, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

Lo ammetto candidamente. È difficile approcciarsi a un disco come questo per tutta una serie di motivi. Ma un recensore non se la può cavare così a buon mercato e per onestà deve quanto meno una spiegazione. I nomi qui proposti sono altisonanti: Nick Cave, cantautore australiano nonché leader di quei Bad Seeds che molto hanno dato alla musica in termini di produzione e qualità e Warren Ellis, suo sodale ormai da anni e fondatore negli anni ’90 di quel piccolo miracolo musicale chiamato Dirty Three. Non è la loro prima collaborazione. I due si sono incrociati nel 1993, quando Cave stava uscendo sui mercati con uno dei dischi più intensi dei Bad Seeds, quel Let Love In che al suo interno conteneva due pezzi nei quali Ellis donò le sue splendide parti di violino (Ain’t Gonna Rain Anymore e Do You Love Me? (Part 2)). In seguito (dal 1995 in poi), quest’ultimo entrerà a piccoli passi nel mondo dei “Semi Cattivi”, per poi farne parte in pianta stabile e non uscirne più. Rapporto particolare e speciale quello che lega i due musicisti; si può dire infatti, senza risultare blasfemi, che il secondo abbia salvato la splendida carriera del primo.

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Cesare Basile – Saracena (Viceversa Records, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Monica Gullini

Cesare Basile ha il potere di farmi sentire il dolore e la sofferenza degli esseri umani. Se leggesse la quarta parola che ho usato associandola alla sua musica, non la prenderebbe bene, proprio perché il suo scopo – e anche qui non uso termini a lui aderenti, non me ne voglia – è mettere in luce tutte le storture e le ingiustizie che il potere porta con sé. In Saracena c’è una tristezza atavica, ci sono secoli e secoli di dominazioni, di vessazioni e migrazioni. C’è la spartenza, declinata in ogni sua forma. E cresce lo sdegno per una umanità trascinata sull’orlo del baratro, un’umanità massacrata, alla quale viene cancellata persino la genesi. In Saracena, in uscita il 3 maggio, c’è tutta la pena per un conflitto – quello israelo-palestinese riaccesosi con veemenza lo scorso ottobre – che cancella radici, fiori e intere generazioni.

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Tre Allegri Ragazzi Morti – Garage Pordenone (La Tempesta Dischi, 2024)

R E C E N S I O N E


Articolo di Cinzia D’Agostino

Niente autoreferenzialità e niente autocelebrazioni, questo ultimo Garage Pordenone suona limpidamente come un autentico disco alla maniera dei TARM. Benvenuti quindi all’incredibile spetaculo de la vida, benvenuti all’incredibile spetaculo de la muerte, in tutta la sua purezza “patti chiari e vaffanculo”. Uscito il 12 Aprile per la Tempesta Dischi, in concomitanza per spegnere le trenta candeline della band friulana, è un lavoro che l’adolescenza proprio non vuole farla svanire via nei ricordi. E meno male. Più di chiunque altro, hanno sempre saputo abilmente sperimentare, partendo dal punk e spaziando nei generi, dal reggae allo swing per poi virare verso la cumbia, pur mantenendo la loro identità e il rock onirico che da sempre li contraddistingue. Come questo disco, dove la loro autenticità è indiscutibilmente protagonista e nel quale scorrono con leggerezza questi 35 minuti di energia e freschezza.

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Chet Baker & Jack Sheldon – In Perfect Harmony: The Lost Album (Elemental Music, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Pedron

Chesney Henry “Chet” Baker, Jr. aka Chet Baker, per chi non lo sapesse è stato uno dei più grandi artisti, musicisti, trombettista, flicornista, cantante e compositore statunitense. Tra i principali esponenti del genere conosciuto come “cool jazz”. Noto per il suo stile lirico e intimista, nasce a Yale, Oklahoma il 23 dicembre 1929. Una vita travagliata, impossibile, genio e sregolatezza, musica e droga, prigioni, droga e ancora musica. Quando la famiglia emigra in California, Chet ha appena 10 anni. Il padre é un suonatore di banjo dilettante ma ammiratore di Jack Teagarden e gli regala un trombone. Chet, affascinato all’epoca da Harry James, si affretta a scambiarlo con una tromba. Ancora assai giovane è nell’orchestra della scuola, a Glendale, California. Diventerà uno dei trombettisti, più importanti, più influenti di tutti i tempi. Un trombettista dalla delicatezza, dalla fragilità, dal soffio e dall’incrinatura originale e unica. Le sue esecuzioni sono imperniate sulla ricchezza melodica e dalla ricerca dell’effetto e lo sfoggio di citazioni e improvvisazioni al tempo stesso. La sua voce, struttura evanescente che avvolge la melodia, si dispiega fino al limite estremo. Fortissimo nell’improvvisazione, nello scat che diventa complemento della sua stessa tromba.  

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