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MUSICA

Ricche le Mura – Inizio Turno Fine (La Tempesta Dischi, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Elena Colombo

Giovedì 11 maggio è uscito Inizio Turno Fine, disco d’esordio dei Ricche le Mura, band emergente composta da cinque ragazzi valtellinesi, Carlo, Tommaso, Isacco, Alberto e Alessandro. I componenti hanno una formazione molto eterogenea, che emerge nella difficoltà a definire l’album secondo un genere musicale specifico. Se proprio si vuole etichettarli, si può parlare di indie-rock alternativo, ma dietro ogni traccia musicale si nasconde molto altro. Per esempio, tra le righe di Lusso, il primo brano, si percepisce un riferimento al cantautorato, rinvigorito dalla voglia di sperimentare dei giovani autori, poco più che ventenni. Il cantautorato, con sfumature folk, si intravede anche in Amico (mani porte), per l’intimità del testo, che parla della difficoltà a donarsi all’altro e a provare emozioni verso chi ci è vicino.

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Paolo Fresu & Omar Sosa – Food (Tǔk Music, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

L’attenzione costante alla melodia e alla delicatezza dei suoni che riguarda Food, l’ultimo lavoro del trombettista Paolo Fresu realizzato in coppia con il pianista Omar Sosa, cancella ogni dubbio sulla bontà di questa registrazione. Perché il sospetto di un eventuale taglio documentaristico a carico di quest’opera, dato l’argomento trattato, avrebbe rischiato di distorcere il delizioso senso musicale che ruota intorno all’album in questione. Nessun atteggiamento didascalico, invece. Quando si parla di cibo inevitabilmente si allude al suo consumo, al piacere – o al dispiacere – ad esso legato e infine agli squilibri che ne riguardano l’approvvigionamento, da sempre condizionato dalla voracità accaparratrice delle politiche aggressive liberiste, condizionando la drammatica disparità tra chi consuma troppo e chi poco o niente. Un tema difficile, quindi, vissuto tra occidente e terzo mondo in modo differente, spesso condotto tra deliranti ipotesi nutrizioniste da un lato e appelli mediati da un mero bisogno di sopravvivenza dall’altro. Il motivo principe di questo album, comunque, non è evidentemente solo politico. Tra inserti sonori di posate, tintinnii di bicchieri e piatti che si avvertono qua e là, è sempre la musica il tramite fondamentale tra Food e l’ascoltatore. Con il desiderio, magari un po’ ingenuo ma onesto, che essa riesca ad unire le persone così come ci riesce la buona cucina. Al di là di questioni d’importanza vitale, tutte evidentemente legate a problemi di natura intrinsecamente politica e ambientale – mai così preponderanti come di questi tempi – questo album è comunque un solidale messaggio d’amore, di Alma e di Eros che mantiene quindi il senso della continuità, almeno intenzionale coi lavori precedenti realizzati da questa coppia di Autori. Il fattivo sodalizio tra Fresu e Sosa viaggia infatti con suoni di velluto, percussioni afro e medio-orientali, suggestioni simbiotiche e culturalmente universali.

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Bebo Ferra – Lights (ADA/ Warner Music Italy, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Pedron

Bebo Ferra è un artista sardo d’origine e milanese di adozione. Da molti anni è riconosciuto come uno dei più creativi chitarristi nel panorama jazzistico nazionale ed europeo. Diverse sono le formazioni a suo nome, moltissimi i lavori discografici, sia come leader che come session-man e sideman. Bebo da anni si è affermato come uno dei più importanti chitarristi di jazz italiano ponendolo alla grande attenzione per la sua lunga militanza nel Devil Quartet di Paolo Fresu. Un artista a tutto tondo, che sa perfettamente rappresentare tutte le sfumature della propria espressività con misura, raffinatezza, bravura, competenza ed eleganza.
Nato a Cagliari il 29 aprile 1962, intraprende lo studio della chitarra all’età di nove anni, indirizzando gran parte della propria ricerca musicale nell’ambito jazzistico. Nel 1979 inizia la sua attività professionale con il gruppo “Il Quintetto” guidato da suo fratello Massimo, anch’egli chitarrista già noto sulla scena isolana. Nel 1983 partecipa al festival Transmetro a Roma con un orchestra diretta da Bruno Tommaso che includeva molti giovani talenti del jazz italiano (Paolo Fresu, Mario Raja, Francesco Sotgiu). Dal 1984 al 1986 collabora in Sardegna con diversi musicisti come Tiziana Ghiglioni, Furio di Castri, Pietro Tonolo, Paolo Damiani, Paolo Fresu, Rita Marcotulli. Nel 1987 si trasferisce a Milano, dove collabora per due anni in un’orchestra per la RAI di Milano. Entra a far parte del gruppo di Gianni Coscia e in seguito alla seconda edizione del famoso gruppo AREA diretto da Giulio Capiozzo. Nel 1991 vince il concorso nazionale “Jazz Contest” con il gruppo Sardinia Quartet. Nel 1992 e 1993 lavora di nuovo con diverse orchestre per la RAI e la Fininvest (Nuovo Cantagiro ’91, ’92, Festival Italiano ’93, ecc.) e sempre nel ’93 nasce il suo primo disco come leader con la collaborazione di Franco D’Andrea.

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Alberto Dipace Eyes and Madness @ Palazzo d’Adda, Settimo Milanese (MI), 26.05.23

L I V E – R E P O R T


Articolo e immagini sonore di Paola Tieppo

Sono solita pensare che ogni concerto, esattamente come un pregevole manufatto artigianale, sia un “pezzo unico” e irripetibile e, pertanto, faccio sempre il possibile per non perdere i “pezzi” che maggiormente mi attraggono. Il concerto che ascolto questa sera lo sarà – unico e irripetibile in modo particolare, in quanto si tratta di un progetto basato sull’improvvisazione che, pur partendo da elementi e temi collaudati, riecheggianti nell’ottimo A Dreamy Journey uscito lo scorso anno, si sviluppa ogni volta in un modo diverso a seconda degli umori degli esecutori, del luogo, dell’interazione fra loro ed il pubblico presente e di ogni variabile che ne tocchi la sensibilità.
È gremita di persone la bellissima e riccamente affrescata Sala Apollo del Palazzo d’Adda di Settimo Milanese (MI) dove si svolge la seconda serata del Farina Jazz Festival organizzato dalla Pro Loco Settimo Milanese, dopo il felice esordio della scorsa settimana, in attesa del trio Eyes and Madness di Alberto Dipace (pianoforte) con Danilo Gallo (contrabbasso) e Ferdinando Faraò (batteria).

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Ave Quasàr – Pensieri a Vapore [anteprima video]

I N T E R V I S T A


Articolo di E. Joshin Galani

È uscito lo scorso 28 aprile il singolo Pensieri a Vapore degli Ave Quasàr per Ohimeme. AQ è il loro album di debutto pubblicato nel 2022. Abbiamo il piacere di ospitare in anteprima il video del brano del duo di Alessandria formato da Luca Grossi e Fausto Franchini, che fonde cantautorato ed elettronica. Per l’occasione Luca ha risposto a qualche domanda.

Credo il vostro nome rispecchi molto bene la musica che proponete, una forma di elettronica e cantato che evoca effettivamente una sorgente celeste, stellare. Pare che il vostro ascolto passi dalle orecchie ma arrivi dritto al cuore…
Grazie, sono felice che si percepisca un legame tra il nome del nostro progetto e la nostra musica. È veramente un gran complimento. Abbiamo la propensione a connetterci con la musica per mezzo della parte più intima e introspettiva di noi stessi. È un modo di affrontare la scrittura che ci rende felici. C’è sempre qualcosa di salvifico nella realizzazione di una canzone.

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Andrea Poggio – Il Futuro (La Tempesta, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Claudia Losini

Andrea Poggio, insieme a Lucio Corsi, era il disco che più attendevo quest’anno. Intelligente e ricercata, la musica di Andrea Poggio, unita a una scrittura vivace ed evocativa, è uno dei migliori esempi di cantautorato italiano. Il futuro è il suo terzo disco, uscito a inizio maggio per La Tempesta. Iniziamo a spezzare lo stereotipo del cantautore con chitarra che canta di politica o di amore, come la grande tradizione italiana ci insegna. Andrea Poggio guarda a Paolo Conte e a Battiato, ma lo fa a modo suo, circodandosi, come sempre, dei migliori musicisti del momento: insieme ad alcuni membri degli Esecutori di Metallo su Carta (che lo avevano già accompagnato in tour), troviamo nel disco Adele Altro, Francesco Bianconi, Federico Altamura, Luca Galizia (Generic Animal) e Caterina Sforza, oltre alla partecipazione e produzione di Ali Chant, che tra gli altri ha collaborato con PJ Harvey, Perfume Genius e Yard Act (questi ultimi due, tra le migliori proposte contemporanee).

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Kahil El’Zabar and Ethnic Heritage Ensemble – Spirit Gatherer • Tribute to Don Cherry (Spiritmuse Records, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Mi piacerebbe poter convincere anche i più scettici che gli Ethnic Heritage Ensemble di Kahil El’Zabar sono qualcosa di più di un gruppo che sembra dilettarsi in una sorta di bricolage esoterico. L’idea di essere guaritori dell’anima, sia che provenga dalla permeabile città di Chicago – come in questo caso – che direttamente dall’Africa come accade per Nduduzo Makhathini – vedi recensioni qui e quiè un concetto affascinante di per sé, anche se mi rendo perfettamente conto che possa innescare inevitabili scetticismi. L’aspetto primitivo di questa musica, contenuta in Spirit Gatherer • Tribute to Don Cherry, la sua forma così insolita, piena di incavi misteriosi, profilata con elementi di tribalismo, alle volte sgraziata ed oscura, trova tuttavia la sua ragion d’essere nel radicarsi in profondità nell’humus del jazz. Naturalmente riconoscendo a questo termine la sua essenza primordiale nera, prima di diventare sinonimo più universalizzato di una certa parte della musica contemporanea. Non ci sono frivolezze tra queste note né tanto meno una ricerca estetica conformista. Con un potere di seduzione commerciale vicino allo zero, un minutaggio complessivo di poco sotto il limite delle possibilità contenitive di un Cd, quello che luccica nel cavernoso spleen di El’Zabar, è una potenza arcana, capace di minacciose esuberanze e di occulti sortilegi, affascinanti come la danza di una fiamma notturna. Il titolo dell’album fa riferimento ad una sorta di connessione tra spiriti ancestrali in grado di trasmettere influssi benefici ad altre entità, anch’esse spirituali, che siano in grado di raccoglierli. Le architravi ritmiche, lente ed ipnotiche, disvelano non solo l’originale vena compositiva dell’Autore ma anche la volontà di rivisitare i fiori selvatici di Don Cherry – a cui questo album è dedicato – di Ornette Coleman, di Thelonious Monk, di John Coltrane e Pharoah Sanders, non per caso degli autentici numi tutelari del jazz più autenticamente black.

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Brandee Younger – Brand New Life (Impulse!, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Sono sempre molto contento quando riesco ad ascoltare l’arpa di Brandee Younger. Un po’ perché mi piace il suono dello strumento ma soprattutto per l’indiscutibile perizia di questa musicista, il cui lavoro spesso viene arricchito da collaborazioni tutte sempre importanti e stimolanti e come vedremo abbondantemente presenti anche in questo suo ultimo album, Brand New Life. Ad un immediato e veloce ascolto esplorativo mi pareva di aver trovato questo disco un po’ al di sotto delle mie aspettative, almeno se paragonato al precedente, Somewhere Different, uscito due anni fa sempre per la medesima, iconica etichetta Impulse! [potete trovare questa recensione insieme a maggiori note biografiche sulla Younger giusto qui]. Ulteriori ascolti hanno invece modificato la mia prima, improvvida sensazione e mi sono maggiormente convinto dell’effettiva bontà di Brand New Life. Si tratta di un’opera di elevata qualità a cui però occorre avvicinarsi con una certa arrendevolezza per godere della sua piena amabilità ed esserne così gratificati. Come già suggeriva la stessa Autrice presentando il precedente album, questa musica ha una propria costruzione apparentemente semplice ed un immediato profilo percettivo, ragion per cui si dovrebbe accostarla prendendo atto della sua forma eterea e della novità degli inserimenti contemporanei legati alla cultura hip hop e soul, senza pregiudiziali o fraintendimenti interpretativi. L’album, infatti, è un sentito omaggio ad una pioniera dell’arpa jazz come Dorothy Ashby, morta nel 1986 poco più che cinquantenne. La Younger ripropone dunque alcuni brani di questa grande arpista scomparsa, scegliendo tra quelli editi ed altri mai pubblicati ed infine rielaborandone alcuni secondo una visione più moderna dentro cui rientrano, in controllati flussi sonori, gli stimoli musicali della nostra epoca. Così facendo si mettono direttamente a confronto le linee armoniche della Ashby con le istanze più attuali delle nuove generazioni di musicisti e questo al di là dei generi abitualmente consolidati.

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Ian Curtis e i Joy Division: Iperacusia di una giovane anima

R O C K M E M O R I E S


Articolo di Andrea Notarangelo

Le persone vivono e muoiono, alcune nascono due volte e vivono per sempre. Questa storia comincia dalla fine, per la precisione dal 18 maggio 1980; ma ad essere sinceri avrebbe potuto iniziare poco prima, il 15 giugno del ’79 ad esempio, quando uscì Unknonw Pleasures, o forse agli sgoccioli della vicenda, il 18 luglio dell’80, quando Closer, secondo e ultimo disco della band, venne dato alle stampe e riempì gli scaffali di tutti i negozi di dischi, prima del Regno Unito e in seguito di tutto il mondo. Il 18 maggio però è una data emblematica; si tratta del momento in cui la storia terrena di Ian Kevin Curtis, cantante e autore di tutti i testi del suo gruppo, s’interruppe bruscamente. E a seguire arrivò la leggenda con annesso bagaglio di verità e fantasie mescolate assieme. Nonostante il tragico atto, la fama del nostro protagonista crebbe poco alla volta; senza fornire qui un excursus storico pieno di date e citazioni, è necessario però dare un ordine e narrare dell’opera breve ma intensa che contraddistinse la dark band per antonomasia. I Joy Division.

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