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Emanuele Meschini

Kahil El’Zabar and Ethnic Heritage Ensemble – Spirit Gatherer • Tribute to Don Cherry (Spiritmuse Records, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Mi piacerebbe poter convincere anche i più scettici che gli Ethnic Heritage Ensemble di Kahil El’Zabar sono qualcosa di più di un gruppo che sembra dilettarsi in una sorta di bricolage esoterico. L’idea di essere guaritori dell’anima, sia che provenga dalla permeabile città di Chicago – come in questo caso – che direttamente dall’Africa come accade per Nduduzo Makhathini – vedi recensioni qui e quiè un concetto affascinante di per sé, anche se mi rendo perfettamente conto che possa innescare inevitabili scetticismi. L’aspetto primitivo di questa musica, contenuta in Spirit Gatherer • Tribute to Don Cherry, la sua forma così insolita, piena di incavi misteriosi, profilata con elementi di tribalismo, alle volte sgraziata ed oscura, trova tuttavia la sua ragion d’essere nel radicarsi in profondità nell’humus del jazz. Naturalmente riconoscendo a questo termine la sua essenza primordiale nera, prima di diventare sinonimo più universalizzato di una certa parte della musica contemporanea. Non ci sono frivolezze tra queste note né tanto meno una ricerca estetica conformista. Con un potere di seduzione commerciale vicino allo zero, un minutaggio complessivo di poco sotto il limite delle possibilità contenitive di un Cd, quello che luccica nel cavernoso spleen di El’Zabar, è una potenza arcana, capace di minacciose esuberanze e di occulti sortilegi, affascinanti come la danza di una fiamma notturna. Il titolo dell’album fa riferimento ad una sorta di connessione tra spiriti ancestrali in grado di trasmettere influssi benefici ad altre entità, anch’esse spirituali, che siano in grado di raccoglierli. Le architravi ritmiche, lente ed ipnotiche, disvelano non solo l’originale vena compositiva dell’Autore ma anche la volontà di rivisitare i fiori selvatici di Don Cherry – a cui questo album è dedicato – di Ornette Coleman, di Thelonious Monk, di John Coltrane e Pharoah Sanders, non per caso degli autentici numi tutelari del jazz più autenticamente black.

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NovaraJazz Festival – Edizione XX – 01-11.06.23

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Articolo di Mario Grella

Cominciamo dalla fine: quando Riccardo Cigolotti, nella Sala della musica di palazzo Bellini a Novara, elenca i più di cinquanta sponsor della XX Edizione di NovaraJazz Festival, si ha proprio l’impressione che al di là dei ringraziamenti di rito, il festival ora abbia davvero un posto importante nel panorama dell’offerta culturale della città e che la sua fama vada oltre i confini cittadini. Lo ha detto bene il Presidente della Fondazione BPN per il territorio, Avv. Franco Zanetta, quando ha ricordato come al Festival vada riconosciuta una doppia valenza, una di micro-dimensione per aver messo in risalto, attraverso musica di grande qualità, le bellezze e le realtà economiche del territorio novarese, e l’altra di macro-dimensione ossia quella di aver saputo portare in città musicisti e band di rilievo internazionale. Del resto anche i numeri parlano chiaro: a Novara dal prossimo primo giugno, per due lunghi weekend, fino all’11 giugno saranno ospiti più di 150 artisti italiani e più di 50 stranieri per oltre 50 eventi.

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NovaraJazz Weekender – Spring Edition @ Spazio Nòva, Novara – 15 e 16.04.23

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Articolo di Mario Grella, immagini sonore © Emanuele Meschini

È toccato ad Alessia Obino aprire l’edizione primaverile di NJ Weekender Spring Edition, secondo appuntamento infra-stagionale di NovaraJazz. Lo ha fatto con A Sound of Million Shape (disco uscito da qualche mese), un indovinato mix di jazz e progressive rock, con un gruppo nutrito di musicisti e un piccolo coro. Subito a suo agio sia con composizioni originali, sia con alcuni brani di un vero guru dello spiritual jazz ovvero Sun Ra, dal quale Alessia Obino sembra di aver preso qualcosa di più di una semplice ispirazione, ma piuttosto un modo di concepire la musica (e il jazz). Tra i componenti della band un vigoroso Piero Bittolo Bon al sax e la contrabbassista Rosa Brunello, bravissima anche al basso elettrico.

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Marc Ribot @ Spazio Nòva, Novara – 15 aprile 2023

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Articolo di Mario Grella, immagini sonore © Emanuele Meschini

Ci sono delle leggende nel rock, nel blues e anche nel jazz che raccontano di concerti favolosi, storici o tutte e due le cose, dove per assistervi gli spettatori (il popolo del rock e anche quello del jazz) hanno dovuto sopportare improbe fatiche. A Woodstock si è dovuto soggiornare nel fango mangiando solo muesli, a Venezia per sentire i Pink Floyd ci si è dovuti arrostire sotto il sole e via di questo passo, come per la famosa edizione di Umbria Jazz che si è tenuta sotto una pioggia battente. Ognuno di noi si ricorda di un concerto in cui ha dovuto sopportare il caldo, la sete, la calca o la pioggia… Ecco, in scala ridotta, annovero tra questi anche il concerto di Marc Ribot e The Jazz Bins per Nj Weekender Spring Edition che si è tenuto sabato scorso presso Nòva a Novara. Ne è valsa la pena? Decisamente sì, naturalmente, anche se lo spazio Nòva forse non era il luogo più adatto per un pezzo da novanta come Ribot. Ma la “policy” degli organizzatori è questa e tanto vale dimenticarsi la schiena a pezzi e parlare di musica.

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NovaraJazz Weekender – Fall Edition @ Spazio Nòva, Novara – 12 e 13.11.22

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Articolo di Mario Grella

Nj Weekender Fall Edition è la “due giorni” autunnale di NovaraJazz che si è tenuta sabato e domenica scorsi presso lo Spazio Nòva, ricavato all’interno della gigantesca ex Caserma Passalacqua nel cuore della città e abbandonata da anni al suo destino. Nòva, una volta si sarebbe chiamato “centro sociale” e del centro sociale ha tutte o quasi le caratteristiche: laboratori, biblioteca, spazi per incontri, dibattiti, proiezioni e concerti, piccolo punto ristoro. Manca forse solo la politica, almeno quella tradizionalmente intesa, poi c’è tutto (persino un posteggio a pagamento, questo magari non in stile col centro sociale anni Settanta-Ottanta). Ed è qui che Mr. Corrado Beldì, Mr. Riccardo Cigolotti ed anche Mr. Enrico Bettinello, stanno cercando di compiere il miracolo, ovvero quello di smuovere i giovani trascinandoli verso qualcosa che non sia solo lo spritz o i riti, un po’ ritriti della movida. E così eccoci qui, a quasi sessantacinque anni, in piedi (i concerti nei centri sociali et similia, si seguono rigorosamente in piedi e con una birra in mano, come mi ha rammentato più d’una persona dello staff), ad ascoltare un programma di gran qualità che comprende brevi concerti alternati a dj set di grande impatto per il pubblico più giovane che si alternano nelle due sale che permettono, grazie alla doppio allestimento, un veloce alternarsi dei musicisti e gruppi. Questo è il format di NJ Weekender Fall Edition (che lascia presumere anche una edizione primaverile o estiva…)

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Gianluca Petrella Cosmic Renaissance – Universal Language (Schema Records, 2022)

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Recensione di Mario Grella

Spesso, quando si deve scrivere di un lavoro musicale, soprattutto se appena pubblicato, si va alla ricerca di qualche informazione di supporto che, spesso, si trova nei comunicati stampa delle etichette discografiche inviati insieme al “disco”. Qualche volta, se il lavoro è già stato recensito, si consultano articoli già pubblicati sui pezzi in questione, quantomeno per confrontare le idee e le interpretazioni. Tutti queste strategie comportamentali saltano quando si ha tra le mani Universal Language di Gianluca Petrella col suo possente ensemble, la Cosmic Renaissance. Infatti con l’album, prodotto dall’etichetta Schema Records, arriva un apparato informativo da far impallidire qualsiasi pubblicazione: biografia del musicista in versione breve ed in versione extra-large, più che esaustivo comunicato stampa, calendario con date dei concerti e, last but not least, guida all’ascolto track by track. A questo punto resta poco da scrivere e si potrebbe passare direttamente all’ascolto, seguendo pedissequamente le spiegazioni allegate al prodotto. Purtroppo o per fortuna però c’è anche chi ama ancora scrivere di quel che vede, legge o ascolta, non fidandosi troppo di chi scrive pro domo sua. E così mi sono messo pazientemente all’ascolto di Unknow Dimension che apre il disco e l’ho fatto, senza leggere “lo spiegone”. Nel comunicato stampa si veniva già messi sull’avviso che qui il jazz, non è libero e allo stato puro ma, naturalmente, contaminato da altri generi musicali come l’elettronica, lo space-jazz, la musica afro-futurista. 

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Kit Downes, Bruno Chevillon, Archipélagos, She’s Analog, Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp – NovaraJazz

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Articolo di Mario Grella

Che l’organo sia uno strumento versatile è risaputo, ma è anche risaputo che, pensando alla musica d’organo, il riferimento sia sempre, o quasi, alla musica sacra se non proprio “chiesastica” e, qualche volta, anche con una connotazione psicologica che contempla una certa noiosità. Naturalmente sono beceri luoghi comuni, ma è certo che fino a che non si è ascoltato un musicista come Kit Downes, che apre l’ultimo giorno di NovaraJazz con uno straordinario concerto sull’organo “Biroldi” della Chiesa di San Giovanni Decollato di Novara (da poco restituito restaurato alla città), non si è ancora assaporato appieno cosa possa produrre un organo (e la bravura del compositore, s’intende). Dimenticatevi tutto o quasi tutto di quello che la vostra memoria ha sedimentato nella parola “organo” e voltate pagina: niente registri consueti, niente movimenti, niente ascendenze codificate, tutto nuovo, tutto mai sentito (o quasi mai). Uso “spregiudicato” dello strumento, officina di suoni, asimmetricità della composizione, luce nuova. Kit Downes sembra maneggiare la musica d’organo con irriverenza, ma non è così, si tratta piuttosto di una liberazione dello strumento da quegli schemi fissi che hanno abituato lo spettatore ad aspettarsi solo un certo tipo di musica e non altro. Un timore reverenziale che nel pubblico è venuto meno con questo straordinario concerto che, se in parte risente della “britannicità” per alcune impostazioni del musicista di Norwich, porta contemporaneamente una travolgente folata di novità, nell’uso dell’organo. Il concerto di questa mattina riassume in un certo senso tutta la “mission” e l’anima del jazz: la continua, indomita, perseverante ricerca di suoni nuovi, ritmi nuovi, persino l’utilizzo diverso dello strumento stesso.

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Alberto Braida, Acre, Theon Cross – NovaraJazz

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Articolo di Mario Grella

Dopo il magnifico duo svizzero nel giardino di Palazzo Natta, alle 17:30 è la volta di Casa Bossi per il piano solo di Alberto Braida. Ci sono musicisti per i quali i suoni, le note, i fraseggi sono già dentro di loro: vivono una sorta di trance interiore creativa. Alberto Braida è uno di questi. Capo chino quasi abbandonato sulla tastiera del pianoforte, incomincia un percorso musicale che sembra conoscere in anticipo e che invece molto probabilmente è un vagabondaggio rabdomantico, guidato dalle vibrazioni reciproche che strumento e musicista si trasmettono. E lo si sente quando i fragorosi ed inquieti “fortissimo” si trasformano in delicati “pianissimo” e si procede così per tutto il concerto e quando par di intravedere una cifra stilistica, magari anche un po’ consolatoria, ecco che subito dopo occorre impostare diversamente il registro di ascolto. E piano piano il percorso si compie e si scopre che la sua meta non c’è, anzi la meta è il percorso stesso. Alberto Braida quasi caracolla sul piano come un viaggiatore stanco, ma non di una stanchezza fisica, più che altro di una sazietà spirituale. Grande concerto.

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Peter Evans, Tom Arthurs & Giovanna Pessi – NovaraJazz

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Articolo di Mario Grella

Eccoci di nuovo a San Gaudenzio a vedere e a sentir meraviglie. È la volta (la seconda in questa edizione di NovaraJazz) di Peter Evans ad incantare un attentissimo pubblico della Basilica con il primo concerto della giornata. Si potrebbe parlare del virtuosismo o anche della capacità fisica di questo trombettista che riversa una ininterrotta “colonna di fiato” per un’ora filata nel suo strumento (due per la verità, una tromba e una tromba pocket), ma paradossalmente non è ciò che più impressiona del grande musicista statunitense. Quello che impressiona è senza dubbio la poesia di uno suono essenziale, rarefatto e carico di suggestioni. Una cosa è certa, sotto la volta immensa di Alessandro Antonelli, cassa armonica colossale, o si è un grandissimo musicista o si rischia molto. È ovvio che Peter Evans sia uno dei più grandi musicisti tra quelli che si sono esibiti su questo “palcoscenico consacrato”. Solitudini e altitudini, profondità e leggerezza cristallina, ripetizione e variazione: “il tutto musicale” che passa attraverso il corpo di Evans e termina nella tromba (che fa parte del corpo). C’è un’intera orchestra in quella tromba, ci sono tutti i timbri e i colori della musica, e c’è il silenzio della Basilica ammutolita che va a far parte del suono. Un altro concerto indimenticabile.

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