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Antonio Sebastianelli

The Smashing Pumpkins – Atum: Act I (Martha’s Music, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Quanto tempo è passato? Appena due anni e rieccolo qui Billy Corgan, il Charlie Brown mai divenuto grande, alle prese con le sue zucche. Perso come al solito tra sogni di grandezza mai sopiti e ambizioni sfrenate.
Se nello scorso album Cyr al netto di arrangiamenti eighties soverchianti ed eccessivi, tra tracce minori si stagliavano almeno 4/5 pezzi di valore, a questo giro purtroppo (almeno per il primo volume) se si ritrovano i medesimi difetti, non si può parlare di tracce di reale valore e che rendano giustizia a uno dei più grandi gruppi degli anni novanta (e non solo).
Abbiamo parlato di un primo volume e di ambizione sfrenata. Ebbene sì Atum sarà un’opera rock in tre atti. Purtroppo oltre a un songwiting di livello manca una chiara idea e un produttore vero che aiuti a scremare i tanti, troppi riempitivi. Manca una vera band, Jimmy e James ridotti a figure di contorno. Buoni per strappare qualche biglietto in più ai concerti e a commuovere i tanti nostalgici di un’era che è stata e non sarà più. 

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The Afghan Whigs – How Do You Burn? (BMG, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Questo è un periodo particolarmente fortunato per chiunque ami gli Afghan Whigs. Un nuovo disco (solido, essenziale e soprattutto necessario, di cui parleremo a breve) una tournée europea con date anche in Italia e addirittura un libro, smilzo ma intrigante, per i tipi di Arcana (!).
Gli Afgani liberali sono sempre stati, nonostante un relativo buon successo nei lontani ‘90, un gruppo singolare e financo di nicchia. Dentro e fuori dal proprio tempo. Non erano così distanti dal Grunge e dai gruppi coevi, ma allo stesso tempo si abbeveravano a piene mani alle fonti sorgive della Black Music: Soul, Funk, teatralità e pathos a quintalate. Un front man, Greg Dulli (di cui avevo già avuto il piacere di parlare qui), che scavava nel pozzo senza fondo della sessualità maschile come mai prima d’ora. 

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Father John Misty – Chloë and the Next 20th Century (Bella Union, 2022)

R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

“La mia distruzione è in ritardo di un’ora”Buddy’s Rendevouz

Ci sono due modi in cui si può approcciare il nuovo lavoro di Josh Tillman aka Father John Misty; il primo è rilevare di un sound e un’ispirazione sempre più seppelliti nel passato remoto. Il secondo è lasciarsi affondare in queste undici gemme melodiche senza tempo, tra arrangiamenti orchestrali curatissimi, una voce mai così misurata che raramente si fa travolgere o diventa veicolo di istanze personali come nel passato recente. Sceglie di nascondersi dietro le storie dei suoi personaggi (la Chloe del titolo, ragazzina viziata e gelida, immune al fascino del nostro e che finirà suicida; la scrittrice autoreferenziale di Q4 e … un gatto di angora … morto!). La musica che le accompagna è un meraviglioso azzardo. Lontana (ma non troppo) dall’ispirazione seventies delle precedenti prove, ora si abbevera alle antiche fonti del Crooning, della tradizione del Great American Songbook e della Hollywood dell’epoca d’oro.

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Lana Del Rey – Blue Banister (Virgin Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Con Lana Del Rey pare di essere tornati nei sessanta. A pochi mesi dall’ottimo Chemtrails Over the Country Club, ecco comparire il nuovo, già ampiamente annunciato e rimandato album, tutto velluti e fruscii notturni. Evidentemente in stato di grazia la nostra sembra avere ancora molto da dire. Anche se da più parti si è gridato al mezzo passo falso, additandolo come lavoro sottotono e soporifero, chi avrà la bontà di ascoltare con attenzione, si troverà nelle orecchie un disco colmo di poesia e bellezza. Forse il più puro e intenso della cantautrice, che distilla come vino prezioso versi e musiche. Voce, piano e versi in primo piano e un gigantesco vuoto nel mezzo, riempito a volte da batteria, archi e ottoni fantasmatici, che entrano ed escono senza quasi farsi notare. Tutte le canzoni vivono di un mood comune, lento romantico, sospeso.

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Danny Elfman – Big Mess (Anti-/Epitaph, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Non credo che il nome di Danny Elfman abbia bisogno di molte presentazioni. Chiunque abbia seguito, negli anni Novanta del secolo scorso, il tracciato magico dei film di Tim Burton, sarà sicuramente rimasto colpito dalle sue splendide Colonne Sonore. In grado di fondere grandeur, mistero, Bernard Herrmann e una sensazione sottile, quasi indefinibile. Sospesa tra magia, malinconia e antico incanto. L’Autore americano riuscivain pochi anni a creare un corpus artistico invidiabile. Da Nightmare Before Christmas (qui non solo autore, ma anche voce cantante e recitata di Jack Skellington) a Edward Mani di Forbice, passando per Batman Returns, che per il sottoscritto resta il suo apice.
Ma Danny è ancora qualcosa di più: un cantante/musicista/compositore poliedrico che già negli anni Ottanta era leader degli Oingo Boingo. Un gruppo capace di raccogliere le istanze elettroniche e New Wave del decennio aggiungendovi uno spirito naif, anarchico e deviato a la Frank Zappa. A 27 anni dall’ultimo disco della band, il nostro in piena era Covid concepisce il suo nuovo lavoro. E nel 2021 ecco giungere a noi questo oggetto alieno (sin dalla copertina) che si palesa in diciotto tracce, in cui il genio e la follia di Elfman la fanno ovviamente da padrone.

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Lana Del Rey – Chemtrails Over The Country Club (Virgin Records, 2021)

R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Cosa si intende per modernità oggi, soprattutto in ambito musicale? Difficile rispondere; nell’ultimo decennio almeno, al di là di una notevole quantità di buoni artisti e band, si è rimasti travolti da un perpetuo ritorno al passato. Un richiamo a forme e stilemi che se in un primo momento si limitava al recupero degli anni Ottanta, anche quelli meno nobili, ha poi cominciato a inglobare anche referenze ad altri decenni. E se presto avremo il disco anni Settanta di sua maestà St Vincent, ecco arrivare, lungamente rimandato e atteso, il nuovo lavoro di Lana Del Rey, omaggio a Joni Mitchell, in particolare a quella di Lady From the Canyon.
Con questo non si vuol lasciare intendere che Lana sia priva di personalità o talento, anzi, il suo revisionismo e aderenza a certi modelli passati è di certo più genuino e sentito di quello di molte colleghe. E riesce a stupire e lasciare il segno. Pur senza canzoni davvero destinate a durare, Chemtrails Over the Country Club si rivela sin dai primi ascolti opera di pregio e qualità, ipnotico, notturno quasi, immerso in quel languore da cui è facile farsi sedurre. Una voce evanescente, sottile, ottima per veicolare segreti e palpiti di un cuore tradito ma ancora affamato di vita e che si appoggia sovente su tasti e corde sfrigolanti. Si può criticare la facilità di alcune melodie ma l’intensità e il sentimento che muovono l’intero lavoro sono fuori discussione.

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Smashing Pumpkins – Cyr (Sumerian, 2020)

R E C E N S I O N E


Articolo di Antonio Sebastianelli

“Time is never time at all
You can never ever leave
Without leaving a piece of youth
And our lives are forever changed
We will never be the same”

[Smashing Pumpkins – Tonight Tonight (1985)]

Venti anni tondi. Tanti ne sono passati dal primo addio dei Pumpkins. Che sembrava definitivo: un’epoca gloriosa e disperata che si chiudeva; tante figure di primo piano cadute lungo la strada (Jeff e Kurt) e mille incertezze su quello che sarebbe stato il futuro della musica e del mondo. Lungo tutti gli anni Novanta Billy Corgan è stato per me, come per molti altri coetanei, una sorta di faro luminoso. Arrogante, individualista e strafottente come pochi altri. Ma anche coraggioso e indomito; il vero depositario di quel cuore di tenebra che batteva forte negli Smashing. Un cuore gonfio di speranza, di desiderio e di riscatto, non solo di oscuro nichilismo. A reggere tutta la baracca poi era un Sogno, lo stesso che aveva portato quattro sconosciuti, dal suburbio chicagoiano ai vertici delle classifiche di mezzo mondo.

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Moltheni – Una Bellezza Senza Eredità

I N T E R V I S T A


Articolo di Antonio Sebastianelli

1999. Un anno cruciale per il sottoscritto, sia dal punto di vista musicale che personale, capace di evocare un’onda lunga di sensazioni ed emozioni che non si è ancora spenta. Lo stesso anno, incidentalmente ma neanche troppo, debuttava quello che sarebbe diventato uno dei cantautori più raffinati e significativi della canzone italiana: Umberto Maria Giardini in arte Moltheni. In grado di restituire l’intensità di personaggi come Nick Drake e Tenco, ma al contempo di incidere la stessa materia musicale sino a renderla qualcosa di nuovo, personale e unico. Un’esperienza artistica e umana durata dieci anni che oggi trova degna conclusione e quadratura del cerchio con questo ultimo album Senza Eredità. Raccolta di canzoni “perdute” amate e richieste dal pubblico ma che sinora non avevano trovato collocazione su un album ufficiale. Dopo la fine del progetto Moltheni, nel 2009, il nostro ha pubblicato con il suo vero nome ben quattro album; dall’intenso La Dieta dell’Imperatrice nel 2012 al furore elettrico di Forma Mentis dello scorso anno.

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Francesco Bianconi – Forever (Ponderosa/BMG, 2020)

R E C E N S I O N E


Articolo di Antonio Sebastianelli

Sull’ultimo splendido numero di Linus dedicato a Battiato, Francesco Bianconi parla dell’incontro in giovanissima età con il maestro siciliano e la sua musica. Quello che ci racconta nelle ultime righe è esemplare del suo processo creativo e risulta perfettamente inserito nel canone artistico moderno; di chi tende sempre più ad emulare, che si tratti di stile musicale o anche di estetica, riproducendo all’infinito schemi e stilemi di un’altra epoca. Un tempo ci si distanziava dai maestri e si cercava una propria strada, oggi si accetta senza condizioni né tentennamenti il paragone e la sudditanza intellettuale.


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