R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Con Lana Del Rey pare di essere tornati nei sessanta. A pochi mesi dall’ottimo Chemtrails Over the Country Club, ecco comparire il nuovo, già ampiamente annunciato e rimandato album, tutto velluti e fruscii notturni. Evidentemente in stato di grazia la nostra sembra avere ancora molto da dire. Anche se da più parti si è gridato al mezzo passo falso, additandolo come lavoro sottotono e soporifero, chi avrà la bontà di ascoltare con attenzione, si troverà nelle orecchie un disco colmo di poesia e bellezza. Forse il più puro e intenso della cantautrice, che distilla come vino prezioso versi e musiche. Voce, piano e versi in primo piano e un gigantesco vuoto nel mezzo, riempito a volte da batteria, archi e ottoni fantasmatici, che entrano ed escono senza quasi farsi notare. Tutte le canzoni vivono di un mood comune, lento romantico, sospeso.

Arcadia si apre come la corolla di un fiore, con grazia, accordi in minore di sapore quasi classicheggiante e mestizia a palate, ma di quella buona. La voce echeggia sussurra seduce, si illumina rimane immobile, immersa in quel gigantesco vuoto di cui parlavamo, teso a far risuonare ancora di più l’urgenza delle parole. Altre perle della corona sono Thunder, canto virginale sottratto forse a qualche disco anni Cinquanta, in cui l’innocenza e il candore della musica vengono mediati da un testo in cui l’amarezza e il rimpianto per ciò che è stato, non cedono alla semplice autocommiserazione, ma ad un desiderio di bruciare e vivere sino all’ultimo “l’attimo”.  If You Lie Down With Me è melodia immensa e banale al contempo capace di fermare il tempo e i cuori, al ritmo di un quasi valzer. Lentaccio grandioso come solo Lana ormai pare essere in grado di fare. E vogliamo parlare di Dealer? Scheggia à la Last Shadow Puppets, e no, non è un caso dato che la voce maschile con cui Lana spartisce la canzone è quella di un certo Alex Turner. Ogni canzone è un centro pieno con pochi riempitivi e pochi scarti per quello che riguarda stile ed esecuzione. Ci si lascia cullare piacevolmente dal quasi country di Nectar of Gods e alla fine della corsa ci si rende conto che il canzoniere delreyiano è debitore più che delle ormai ovvie eroine del cantautorato americano, dell’immenso Roy Orbison e del suo melodramma in musica (Living Legend) ovviamente sotto pesanti dosi di xanax e oppiacei. Si, Lana è monocorde, non certo dotata di grande estensione, né di capacità interpretativa fuori dal comune, ma anche per questo la amiamo. Non abbiamo bisogno di un’altra Adele con l’ugola spiegata a rincorrere impossibili fantasmi, sotto cieli passati, lavati da un servile e contemporaneo manierismo. La ninna nanna finale di Sweet Carolina è il modo migliore di chiudere il cerchio, in attesa del prossimo segno di un artista che non smette di essere irrimediabilmente se stessa, senza per questo deludere o annoiare. Non mi pare poco di questi tempi.


Tracklist:
01. Text Book
02. Blue Banisters
03. Arcadia
04. Interlude – The Trio
05. Black Bathing Suit
06. If You Lie Down With Me
07. Beautiful
08. Violets For Roses
09. Dealer
10. Thunder
11. Wildflower Wildfire
12. Nectar Of The Gods
13. Living Legend
14. Cherry Blossom
15. Sweet Carolina