R E C E N S I O N E


Articolo di Antonio Sebastianelli

“E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi, Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego. Non andartene docile in quella buona notte. Infuriati, infuriati contro il morire della luce.” Dylan Thomas

C’è un momento, nello splendido spettacolo teatrale/concerto Springsteen On Broadway, in cui Bruce con voce rotta dalla commozione parla di suo padre. Un irlandese, forte bevitore, gran lavoratore che ha fatto da vera e propria fonte di ispirazione per storie e personaggi che popolano i quasi cinquant’anni di musica del Boss. Poco dopo la morte, nel 1998, il padre sarebbe venuto a visitarlo in sogno, a un concerto, in mezzo alla folla di migliaia di persone venute ad ascoltarlo. Bruce si sarebbe diretto sino a lui inginocchiandosi al suo fianco e “… per un momento guardiamo entrambi l’uomo su di giri sul palco e gli dico guarda papà, quel tipo sul palco… è così che ti vedo.

Questo processo di catarsi, di liberazione dalla maschera (“i vestiti da operaio, da uomo comune che ho scelto di indossare nelle mie canzoni, non sono i miei ma quelli di mio padre”) quasi di espiazione e di riconciliazione con il passato e i fantasmi che è in grado di evocare, parte da lontano, ma ha dato i suoi frutti più maturi proprio in questi ultimi anni. Lo spettacolo sopra citato, l’autobiografia, la preparazione di un secondo Tracks e ora questo album, in cui si riunisce con la mitica E Street Band compagna di viaggio, musica e vita. Composto e registrato in una manciata di giorni e quasi completamente dal vivo, il disco copre un range di emozioni e di storie molto vasto. Si celebrano gli inizi con i Castiles (“Knights of Columbus e il Fireman’s Ball / venerdì sera alla Union Hall / I club in pelle nera lungo la Route 9”) e si fa il conto di quelli che sono caduti durante il cammino (“Alzo il volume e mi lascio guidare dagli spiriti / ci rivedremo, fratelli e sorelle, dall’altra parte” in Ghosts). Spiccano su tutti i tre brani “ripescati” dal repertorio inedito del nostro che anno dopo anno assume sempre più le proporzioni di vero e proprio pozzo delle meraviglie senza fondo. La Canzone per Orfani è la più bella, un inno Dylaniano, era Blonde on Blonde, armonica e sottile suono al mercurio compresi. Il Boss la sente sorgere dalle periferie della propria anima come un canto perduto e la declama più che cantarla, dal Monte Olimpo, con la voce che tuona e ruggisce quasi come un tempo. If I Was The Priest anch’essa abitata dal fantasma “elettrico” dylaniano, si srotola per oltre sei minuti con l’intensità, la potenza di un gospel e la levità sbarazzina dei bei tempi andati. Janey Needs A Shooter è dinamite pura. Inizio midtempo e organo hammond, Roy Bittan sugli scudi durante tutto il pezzo, per un tuffo nei mitici anni Settanta del nostro. Tra le tracce restanti colpiscono la meraviglia zevoniana The Power of Prayer e Rainmaker, pigra e indolente che si muove con la stessa grazia di una Street of Philadelphia rediviva per poi esplodere nel refrain. Ancora, resta scolpito nella memoria il sax che trafigge e conclude la superba Last Man Standing.

In un momento così difficile per la storia americana e per il mondo tutto, queste canzoni nuove e antiche danno l’impressione di essere cosa viva accanto a chi le ascolta e sfilano come in un passo d’addio finale: l’epica americana, l’innocenza di Roy Orbison e l’invettiva politica e sociale di Guthrie e Dylan. Al ritmo forse di quella House Of A Thousand Guitars, uno dei pezzi più sentiti, disarmante nella sua semplicità che sembra lontanamente riconnettersi al fraseggio pianistico iniziale di New York City Serenade. Letter To You propone poche novità (ma a 71 anni suonati ci sta eccome) è rock classico, ma comunque prezioso e a suo modo fondamentale e racconta uno dei grandi miti del rock all’incrocio con l’ultima svolta della sua carriera. Un album da consumare lentamente mentre avanza l’inverno e in cui perdersi per poi procedere a ritroso sino ai primissimi album. Là dove un giovane uomo con molte speranze e sogni, comincia a scrivere in quella “pagina bianca” che è la vita, ancora in attesa di essere colta nella sua pienezza, per riempirla di meraviglia, lacrime, sudore e canzoni.

“House of a thousand guitars, house of a thousand guitars
Brother and sister wherever you are
We’ll rise together till we find the spark
That’ll light up the house of a thousand guitars”

Tracklist:

01. One Minute You’re Here
02. Letter to You
03. Burnin Train
04. Janey Needs a Shooter
05. Last Man Standing
06. The Power of Prayer
07. House of a Thousand Guitars
08. Rainmaker
09. If I Was the Priest
10. Ghosts
11. Song for Orphans
12. I’ll See You in My Dreams