R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Sebastianelli

Questo è un periodo particolarmente fortunato per chiunque ami gli Afghan Whigs. Un nuovo disco (solido, essenziale e soprattutto necessario, di cui parleremo a breve) una tournée europea con date anche in Italia e addirittura un libro, smilzo ma intrigante, per i tipi di Arcana (!).
Gli Afgani liberali sono sempre stati, nonostante un relativo buon successo nei lontani ‘90, un gruppo singolare e financo di nicchia. Dentro e fuori dal proprio tempo. Non erano così distanti dal Grunge e dai gruppi coevi, ma allo stesso tempo si abbeveravano a piene mani alle fonti sorgive della Black Music: Soul, Funk, teatralità e pathos a quintalate. Un front man, Greg Dulli (di cui avevo già avuto il piacere di parlare qui), che scavava nel pozzo senza fondo della sessualità maschile come mai prima d’ora. 

Cos’è rimasto di quel fuoco di quegli anni? Ascoltando l’ultimo disco, se bisogna notare un songwriting un po’ più appannato e il livore e la passione degli anni giovanili leggermente domati e imborghesiti, vedo una fiamma più piccola, ma che brucia e consuma ancora. Non ci sono i picchi del periodo storico e quel paio di instant classic che aveva regalato il precedente In Spades. Ma c’è qualcosa in più: una solidità inedita, zero cadute di tensione e nessun riempitivo, L’album è quasi un abbraccio al passato, senza malinconia o rimpianto che non lesina sorprese e ritorni. È il caso di una delle perle del lotto, Domino and Jimmy in cui si riaffaccia la voce struggente di Marcy Mays, in una sorta di seguito del gioiello My Curse da Gentlemen.

Se David Lynch invece di girare Twin Peaks 3 e far saltare il banco della storia della serialità, avesse scelto di creare un epilogo sullo stesso tono della stagione 2, avrebbe creato qualcosa di simile. Dulli è un incendiario, non un innovatore o un rivoluzionario e riesce laddove altri falliscono miseramente. Non replica forme o modi consunti e allo stesso tempo non tradisce neanche il glorioso passato, riuscendo a mantenere continuità con l’ispirazione primigenia. 
The Gateway scivola piacevolmente verso i side projects di Dulli: Twilight Singers e Gutter Twins (band formata con il compianto Mark Lanegan presente, in una delle sue ultime prove, in questi solchi. La sua voce baritonale e profonda seppellita nel missaggio) e odora anche di Beatles notturni. Take me there improvvisa un gospel sfibrante e sincopato, tra le dune del deserto, le voci di mille demoni danzanti nelle orecchie. Catch A Colt è irresistibile, parte lentamente e poi si irrobustisce di fiati riconnettendosi a un album del periodo storico: 1965. Concealer, ancora, richiama alla mente i momenti più intimisti di Black Love.

Un disco importante nella storia della band, forse il migliore dai tempi della Reunion del 2012. Ci restituisce quasi intatto quel romanticismo violento e noir, di chiara marca ellroyana che tanto ci ha sedotto nel corso degli anni e che è bello ritrovare vivo e pulsante tra queste tracce.

Tracklist:
01. I’ll Make You See God
02. The Getaway
03. Catch A Colt
04. Jyja
05. Please, Baby, Please
06. A Line of Shots
07. Domino And Jimmy
08. Take Me There
09. Concealer
10. In Flames