L’impressione finale al termine di questo concerto dei Temples è che non si capisce come mai, se i Tame Impala hanno raccolto così tanti consensi negli ultimi anni, la stessa cosa non sia ancora accaduta per loro. La band britannica ha pubblicato tre dischi bellissimi, l’ultimo dei quali, Hot Motion, ha amplificato ancora di più la componente Power Pop, pur all’interno del solito trademark stilistico figlio della psichedelia anni ’70, con spruzzate di Beatles e T. Rex.
Partiamo da una considerazione personale: chi mi conosce si stupirà certamente di sapere che sono stato spettatore di un concerto degli Strumbellas, conoscendo bene la mia avversione per band della nuova ondata Folk come Mumford and Sons, The Lumineers, Of Monsters and Man e cose così. Per carità, benissimo quando il genere è declinato con una certa profondità e sofisticatezza (vedi Midlake, San Fermin, i primi Avett Brothers, i primi Band of Horses, The Decemberists, ecc.) ma quando ci sono ingenuità melodiche, ammiccamenti adolescenziali e banali contaminazioni di Pop radiofonico, rimango piuttosto freddo a riguardo. Ecco, gli Strumbellas appartengono in tutto e per tutto a quest’ultima categoria e, se funzionassi solo ed esclusivamente con il metro della coerenza, dovrei schifarli fino alla morte. Invece, contro tutte le le previsioni, mi piacciono, mi sono piaciuti fin dal momento in cui mi sono imbattuto in “Spirits”, attualmente la loro più grande hit, li ho intervistati (e sono decisamente simpatici, ve lo assicuro), li ho visti dal vivo e posso dire che sia stato un bel concerto, con tutti i limiti del caso, come a breve dirò.
Lo hanno annunciato solo il giorno prima sulla loro pagina Facebook che questi due concerti, a Milano e a Pisa, sarebbero stati gli ultimi, oltre che del tour, anche del bassista Federico Laidlaw, che ha deciso di abbandonare la band per ragioni personali. Un fulmine a ciel sereno per i fan (e anche per gli addetti ai lavori, visto che durante l’intervista che abbiamo fatto solo due giorni prima non se n’è parlato) e immagino anche un colpo non facile per un gruppo come il loro, insieme da più di dieci anni e abituato a condividere tutto, un gruppo di amici, prima ancora che una band.
Mark Oliver Everett, o Mr. E, se preferite, torna finalmente a Milano dopo diversi anni dall’ultima volta (almeno quattro, se non vado errato) quando ne è passato già più di uno dalla pubblicazione di The Deconstruction, un disco che, senza strafare, ha rappresentato ugualmente un altro riuscito capitolo all’interno di una produzione ormai decisamente corposa. E appare abbastanza ironico che, il tour di promozione di un lavoro che parla di smontare le esperienze pezzo per pezzo al fine di ritrovarne il senso, sia di fatto portato avanti all’insegna della linearità più estrema. Abbandonate le tastiere, le orchestrazioni, gli Eels si presentano con una formazione a quattro, con i soliti The Chet (Jeff Lyster) alla chitarra, Al (Allen Hunter) al basso e Little Joe (Joe Mengis), che è in line up solo dallo scorso anno.
Sono passati 11 anni dall’ultima volta che i Vampire Weekend sono venuti a suonare in Italia e, francamente, non ci speravo troppo che potesse riaccadere. Le regole del Music business sono spietate, sopratutto in un momento storico in cui si guadagna soprattutto con i concerti. Vedere la band newyorchese riempire palazzetti e fare da headliner in festival importanti, mi aveva fatto pensare che qui da noi non avrebbe mai trovato pubblico a sufficienza per coprire un cachet senza dubbio lievitato negli ultimi anni. Per fortuna non è stato così, onore a Dna Concerti per averci creduto e averceli portati per una data che attendevamo davvero da troppo tempo.
Quando nel 2012 Steve Wynn ha riunito per la prima volta i Dream Syndicate, non erano in molti a pensare che sarebbe durata. Avrebbe dovuto esserci una data sola, poi le cose sono andate bene, ci sono state altre date, poi un vero e proprio tour, poi un disco, un tour e infine ancora un altro disco. These Times è uscito ad aprile ed è un molto diverso da How Did I Find Myself Here, che ne aveva sancito il ritorno in studio dopo 29 anni di assenza. È molto più psichedelico e nonostante alcuni episodi molto tirati e classicamente rock, appare nel complesso più contemplativo, ricercato. Qua e là, come nel primo singolo “Black Light” o nella conclusiva “Treading Water Underneath the Stars”, l’impressione è proprio quella che si siano volute esplorare sonorità nuove, andando a giocare più con le suggestioni e con le atmosfere, piuttosto che con la durezza dei suoni e le cavalcate elettriche.
Sono da poco passate le 20 quando varchiamo i cancelli del Circolo Magnolia, con l’aria umida dell’idroscalo e un cielo denso di nuvole dall’aspetto per nulla rassicurante. Poco male, i “veterani” di centinaia di concerti sembrano quasi sperare che qualche goccia cada a rinfrescare nel corso di una serata che già adesso inizia a sembrare una festa vera e propria. La gente gira tra il palco e la zona dei bar e fast food con un panino o una birra in mano, parla, scherza, offre una sigaretta ai compagni di fila ai bagni chimici. Si aspettano solo i festeggiati, gli ospiti d’onore. Perché il motivo per cui siamo qui oggi non è semplicemente quello di fare casino. O meglio, ovviamente sì, ma abbiamo un paio di ragioni extra: il Canta che ti passa tour non è semplicemente il classico giro estivo su e giù per lo Stivale, ma il ritorno alla propria tribù dopo l’incursione al festival di Sanremo e soprattutto il riverbero della gloriosa serata di aprile a Bologna in cui gli Zen Circus hanno celebrato vent’anni dall’uscita del primo disco accompagnandola con la pubblicazione della raccolta Vivi si muore (1999 – 2019).
I C.C.C.P. hanno rappresentato il Dio Punk in Italia negli anni ottanta, un punk unico e assolutamente nuovo che non incarnava i classici stereotipi inglesi o americani dei tempi. Con il loro stile che racchiudeva rock, new wave, dark, musiche popolari accompagnate sul palco da vere e proprie performance e teatro d’avanguardia, hanno senza dubbio lasciato un segno indelebile che ancora oggi non lascia indifferenti nuovi e vecchi ascoltatori. Sarà per questo che i concerti di Giovanni Lindo Ferretti sono sempre affollati di pubblico adorante, proprio come stasera al Live Music Club di Trezzo.
Il primo disco da solista di Franco126 ci ha dimostrato le sue grandi capacità di scrittura e, come c’è stato un notevole salto qualitativo in studio ciò si è rispecchiato anche sui live. È Mercoledì 27 Marzo e l’Alcatraz, come ci si poteva aspettare, è andato sold out e infatti la folla aspetta impaziente l’arrivo dell’esponente della Love Gang. Prima di lui però sul palco si presenta Francesco De Leo, altro membro del roster Bomba Dischi per il quale ho sempre avuto un debole. L’estate scorsa sono riuscito con piacere a vederlo live più volte ma mai nelle modalità che ci ha presentato questa sera.