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Il Ciclo di Bethe – Novecento (Kulturjam Edizioni / Ver.So. Productions, 2023)

R E C E N S I O N E


Recensione di Arianna Mancini

Il Ciclo di Bethe, banda novecentesca di musica amabilmente rumorosa”. È così che si autodefinisce il neonato collettivo, in gran parte, romano nel presentarci il suo lavoro d’esordio: Novecento. Il nome del progetto artistico trae ispirazione dal fisico e astronomo tedesco Hans Albrecht Bethe e dalla sua teoria nota come Il Ciclo di Bethe (o ciclo del carbonio, azoto, ossigeno) che, come cita la Treccani, fa riferimento “all’origine dell’energia stellare basata su un ciclo di reazioni termonucleari che avvengono all’interno delle stelle.” Con questo nome i nostri “Cavalieri del cielo” ci svelano il loro grido, il loro lamento e le loro perplessità in Novecento. Novecento come il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle, periodo colmo di svolte, innovazioni ma anche di distruzioni, perdite non solo materiali ma soprattutto interiori, a livello di consapevolezza del singolo e di coscienza collettiva. Uno sguardo al passato con il senno di oggi che non lascia spazio a sentimentalismi poetici, ma si propone di risvegliare negli animi dormienti lo spirito critico e costruttivo. Una rivoluzione creativa come quella che avviene in cielo con il ciclo carbonio, azoto, ossigeno. Dovremo pur imparare dagli errori del passato?

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Zugabe – Lowland (RE_verb, 2023)

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Recensione di Nadia Cornetti

È fresco d’uscita – fuori il 19 maggio 2023 per l’etichetta RE_verb – l’EP Lowland, nuovo lavoro della band Zugabe. Appena iniziato l’ascolto, prima di documentarmi sui musicisti che compongono questo progetto – e sui generi musicali che abbracciano, sui quali c’è da scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora – ho subito pensato che nessun titolo sarebbe stato più azzeccato: la pianura, una vasta distesa che ti fa intravedere solo lontano l’orizzonte, una calma e immensa landa desolata e infinita, questo è ciò che mi hanno evocato i primi secondi di ascolto. Gli Zugabe sono quattro ragazzi italiani, veronesi per la precisione: Alberto Brignoli (alla chitarra, alla voce e ai rumori), Alberto Gaio (alla chitarra solista), Antongiulio Ceruti (alla batteria, alla voce e al pad), Michele Pedrollo (al basso); il gruppo esiste dal 2013, e questi 10 anni di attività, evoluzione e presa di coscienza della direzione da seguire si sentono tutti nel loro sound.

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Milo Scaglioni – Invincible Summer (Another Music Records, 2023)

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Recensione di Arianna Mancini

Il percorso d’esplorazione dei suoni dal prezioso sottosuolo italiano continua, ci troviamo anche questa volta con un artista lontano dalle luci della ribalta del “grande pubblico”, una realtà sincera e intima, che ha in sé la nostalgia del passato ed il verace calore dei pensieri autentici. Siamo in compagnia di Milo Scaglioni e del suo secondo lavoro solista, Invincible Summer, uscito il 5 maggio per Another Music Records, proprio nel giorno del suo compleanno e in un lasso temporale in cui si trova in tour, al basso, con i Baustelle, per la presentazione del loro nuovo lavoro, Elvis.
L’album esce a distanza di sette anni da Simple Present, uno splendido esordio controtempo e controcorrente in cui la dimensione folk psichedelica unita a un cantautorato intimo riprende corpo riportando una certa gioia nei cuori dei nostalgici delle sonorità di fine anni ’60.

Originario della bassa Lombardia si approccia al basso elettrico da autodidatta, e d’illustri autodidatti nel campo della musica se ne possono annoverare molti. Trova la sua dimensione per esprimersi con il proprio strumento con il trasferimento in Gran Bretagna dove rimarrà per dieci anni, suonando con realtà musicali dell’area di Manchester: con il suo gruppo The Beep Seals, formazione indie-folk psichedelica e accompagnando Jim Noir, parte del filone electro-pop psichedelico. Tornato in Italia, prima di focalizzarsi sul suo progetto solista, accompagna in tour Roberto Dellera, Jennifer Gentle, Thee Elephant e Sonic Jesus.

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Paolo Benvegnù – Solo Fiori (Woodworm Label, 2023)

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Recensione di Arianna Mancini

L’apocalisse dei semi che sanno diventare un fiore”. Partiamo da questa strofa del brano La Soluzione, tratta dall’album Dell’Odio Dell’Innocenza (2020) per esplorare il nuovo lavoro del collettivo Paolo Benvegnù, Solo Fiori, in uscita il 28 aprile per Woodworm Label. Fare qualche passo indietro per ricollegarsi alla poetica del reale, della metamorfosi e dell’ineffabile, tipica di Paolo, e celata nelle apparenti piccolezze del quotidiano; un microcosmo che contiene una visone più ampia e profonda. Dietro ad ogni minimo atto di creazione, anche se piccolo non è, perché la creazione è già di per sé miracolo, si celano tutti i misteri del mondo. Una “letteratura quotidiana” del pensiero che si ripresenta vivida nel bene e nel male.
Si parte da elementi essenziali per scrutare la Natura, la Vita e l’Essere Umano in ogni sua sfumatura, un atto poetico quello di Paolo che crea ed osserva senza la presunzione di voler dominare e possedere con lo sguardo visionario dell’artista, lucido dello storico, lirico del poeta e sognante tipico dei bambini.

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Cazale – The Aunt’s House (Open Productions, 2022)

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Recensione di Riccardo Talamazzi

Non mi piace la parola progetto. Tendo ad usarla proprio quando non ne posso fare a meno. Mi fa venire in mente uno studio d’architettura, una strategia politica, un’opera ingegneristica. Insomma, è un sostantivo che ha in sé la freddezza del calcolo ed è qualcosa che mal si adatta alla creazione artistica, in particolare in questa occasione. The Aunt’s House, album d’esordio dei romagnoli Cazale – non contando l’Ep del 2018 This is This – è invece la storia di un ricordo elaborato, riflesso nello scorrere del Tempo. Un’evocazione di spiriti buoni, quasi come quegli ancestors a cui i jazzisti africani si rimettono nella loro musica. Gli antenati che uniscono, quindi, che fanno sentire la forza di legami basati sulla terra d’origine nel dare un senso alla realtà delle nuove generazioni. Parliamo di una forma d’amore, una storgè che non si traduce in concetti chiusi e soffocanti, o peggio ancora distanzianti. È un viaggio a ritroso nella memoria delle case dei nonni, degli zii, con quelle luci, quegli odori e la fila degli oggetti intoccabili, fragili e misteriosi taboo di ceramica evidentemente testimoni di un piccolo mondo fatto di concrete certezze e di ricordi. È proprio su questa narrazione esistenziale e sul valore delle vite familiari che s’innesca il lavoro dei Cazale. Il nome del gruppo riguarda l’attore John Cazale, morto di cancro nemmeno quarantenne e che molti ricorderanno per essere stato un interprete malinconico ed emarginato nel Il Cacciatore di Michael Cimino.

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Animaux Formidables – We Are All Animals (Autoproduzione, 2023)

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Recensione di Nadia Cornetti

Letteralmente un esordio col botto. Non ci sono altri modi per iniziare a raccontarvi questo potente primo album degli Animaux Formidables, un duo avvolto da un alone di mistero (certamente inseguito con ferma volontà); ma poco importano le loro generalità – li chiameremo come piace a loro, Mrs Formidable (alle percussioni) e Mr Formidable (alla chitarra e alla voce) – quando la musica picchia così duro. Un duo, dicevamo, composto da un ragazzo e una ragazza dal volto coperto da un passamontagna nero in latex, con orecchie a punta, e con succinti abiti dark-glam. Estetica in parte già vista, a dire il vero, è inutile scacciarne il pensiero dalla mente, leviamocelo subito questo dente: i fantastici Sick Tamburo, tornano a bussare a più riprese nella mia testa, suggerendomi il superficiale accostamento che spero di dimenticare non appena inizierà il mio ascolto, ma solo per non terminare la partita con una sconfitta schiacciante dei nostri esordienti musicisti – il cuore gioca brutti scherzi, lo sappiamo tutti.

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Emiliana Torrini & The Colorist Orchestra – Racing The Storm (Bella Union, 2023)

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Recensione di Arianna Mancini

Nord Europa 2023. Raffinate e cosmiche connessioni fra Islanda e Belgio, si canta una fiaba sonora costruita su arie surreali, increspature oniriche e ricercatezza stilistica. Una tempesta e la corsa contro il tempo per tentare di non farsi travolgere. Si tratta dell’alchemico connubio fra Emiliana Torrini & The Colorist Orchestra e del loro album Racing The Storm, in uscita il 17 marzo per Bella Union.
Quella di Emiliana Torrini e The Colorist Orchestra è una collaborazione che parte da luoghi distanti fra loro e porta con sé il carisma di quegli incontri karmici voluti dal destino. Per spiegare lo spessore di questa sinergia si possono citare le parole di Kobe Proesmans (uno dei due fondatori della TCO): “Non ci sono regole, Emiliana dice sempre che questa è una storia iniziata molto prima che ci incontrassimo e che la spinta e l’attrazione tra i nostri diversi background e le nostre personalità è ciò che rende questa collaborazione così speciale”.

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Philip Selway – Strange Dance (Bella Union, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Chiameremo questa recensione “La parabola del ciclista, o come Phil si è messo a tirare la volata”. Batterista dotato, da sempre nei Radiohead, Philip Selway è colui che ha un ruolo delicato ma importante nell’economia della band madre. Quando c’è non te ne accorgi perché tutto funziona alla grande e i suoi ritmi consentono i solismi dei suoi comprimari a cominciare da Thom Yorke. Quando non c’è, te ne accorgi comunque, come ad esempio in Kid A, dove per assecondare le geniali sperimentazioni di Yorke stesso e di Jonny Greenwood, molto umilmente si è messo da parte seppur gestendo magistralmente il delicato ruolo di programmazione e campionatura delle parti di batteria. Quel disco, punto di svolta per la storia dei Radiohead, doveva suonare alieno, come i tempi che furono e centrarono l’obiettivo. Al contrario, qui il gregario Phil decide di affrontare qualche curva e provare a staccare il gruppo per mettersi in gioco e testare quanto il suo desiderio di vittoria possa essere soddisfatto. Possiamo dire con tutta tranquillità che, dopo due ottimi tentativi (il primo album Familial del 2010 e il secondo Weatherhouse del 2014), il nostro ha preso le misure e si è messo ad attaccare in tornanti con maggior convinzione.

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dEUS – How To Replace It ([PIAS] Recordings, 2023)

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Recensione di Andrea Notarangelo

Il ritorno sulle scene dei dEUS è sempre una buona occasione per raccontare una storia. Nello specifico, la trama si svolge ad Anversa, città portuale di origine medievale, crocevia di commerci e di influenze tra le più disparate. È in questa cornice che muove i primi passi l’ensemble di Tom Barman, un musicista dai lineamenti specifici, ben marcati che è già nato vecchio. All’epoca quella band portò una ventata di freschezza nella musica così detta ‘alternative’, attraverso un misto di influenze che spaziavano dal buon Captain Beefheart, presente nella cura dei patchwork e della cacofonia, dalla voce profonda fino al midollo à la Leonard Cohen e da un’attitudine funk particolare che li fece definire in un primo momento dei “Red Hot Chili Peppers, solo un po’ più grunge”. Da qui si evince come le etichette andrebbero abolite per lasciar spazio all’ascolto e, proprio da questo sentire sincero, un orecchio vergine o semplicemente scevro da preconcetti, non potrà che percepire la bellezza e la genuinità di una proposta che ha saputo rinnovarsi di capitolo in capitolo. La recensione potrebbe concludersi qui. Acquistate l’album nelle sue forme, o rifugiatevi nel vostro negozio di dischi preferito e chiedete al proprietario di preparare la puntina e basta. Il viaggio sonoro che vi aspetta sarà ben ripagato.

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