R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
I registri narrativi di quest’opera con cui il pianista tedesco Benjamin Lackner esordisce in quartetto per ECM – Lackner è sulla scena da diversi anni con un suo trio fin dal 2002 – sono estremamente lirici, meditati e talora decisamente sognanti. I brani di Last Decade sembrano muoversi in un acquario, fluttuando con i loro colori per trasmettere una sensazione di muta quiete a concentrare il loro focus estetico sugli aspetti più fuggevoli della realtà. Un jazz di struttura dichiaratamente melodica, fatto di sospensioni temporali e di misurati silenzi. Nessun minimalismo in questa musica, ma un’organizzazione strutturale rigorosamente acustica ed espressa con una delicatezza quasi insolita, in questi tempi in cui la ricerca di nuovi suoni, di meticciati stilistici e di supporti strumentali elettronici sembra essere il testo ispirativo di gran parte del jazz odierno. Lackner, nato in Germania e residente attualmente a Berlino, si è trasferito temporaneamente negli Stati Uniti all’età di tredici anni, seguendo importanti studi musicali con maestri del calibro di Charlie Haden e Brad Mehldau. Per la stesura di questo album sono stati chiamati supercollaboratori come il trombettista Mathias Eick, – trovate la recensione del suo ultimo album qui – con Manu Katché alla batteria e il fidato Jérôme Regard, già presente nel trio di Lackner dal 2006. Eick e Katché sono veterani ECM e affiancano il pianista con molta dedizione, contribuendo alla creazione dell’opus elegiaco che caratterizza l’intero album. Lackner è un musicista molto pulito nel suono che potrei accomunare idealmente a Bobo Stenson, accurato e delicato nel tocco, parco nelle dissonanze e molto attento all’equilibrio melodico delle sue composizioni. Non ama le fughe in avanti e in molte parti di questo disco resta volutamente in secondo piano, lasciando ampio spazio alla sonorità suadente della tromba di Eick, qui impegnato anche in alcuni sporadici interventi vocali. Ma questa tendenza alla morbidità si estende un po’ a tutto il quartetto che si muove con passo felpato, alla ricerca di una levigatezza che non è solo di superficie in quanto si avverte come abbia lievitato a lungo nel progetto compositivo basato sulla costante stabilità dell’equilibrio tra le parti. Tutti i brani, ad eccezione di uno solo di Regard, sono composizioni di Lackner.
