R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Il 1 aprile è uscito il dodicesimo album in studio dei RHCP, a distanza di sei anni dal precedente The Gateway, registrato a Malibù con il ritorno alla chitarra di John Frusciante, al posto di Josh Klinghoffer, e del produttore Rick Rubin, con cui avevano firmato i più grandi successi della loro discografia. L’album è stato preceduto, tra febbraio e marzo, dall’uscita di quattro singoli (Black Summer, accompagnato anche da un bel video diretto da Deborah Chow, Poster Child, Not The One e These Are The Ways). Il rientro nel gruppo di Frusciante ha reso tutto più semplice, a detta di Flea, con la musica che scorreva da sola in studio e la ritrovata alchimia dei primi tempi. Unlimited Love è bello lungo, ma poteva andare anche peggio visto che quando i quattro si sono ritrovati a jammare, alla fine della pandemia, le tracce su cui lavorare erano addirittura cento, ridotte poi a cinquanta canzoni, il che fa pensare all’uscita imminente di altri lavori; ben diciassette pezzi (nell’edizione giapponese uno in più), di cui alcuni oltre i cinque minuti, frutto di un’intenso e accurato lavoro di arrangiamento, come raccontato da Kiedis in persona. Ogni brano è una sfaccettatura dei quattro musicisti, che riflette la loro visione dell’universo e il loro desiderio di essere una luce nel mondo, che unisca le persone; un titolo che conferma la ritrovata armonia tra i componenti della band, che si sono lasciati alle spalle le incomprensioni del passato, legate ad un eccesso di competitività, che li portava spesso a discutere tra di loro.

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