R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Un’interpretazione anticonvenzionale del jazz passa per l’inquieta wanderlust che coglie ogni appassionato viaggiatore – anche solo con l’immaginazione – attraverso tutte quelle regioni del mondo in cui si fa musica utilizzando linguaggi inusuali. Da parecchi anni il Sudafrica offre lo stimolo alle sue variegate voci, dai tematismi caldi di denuncia civile – Miriam Makeba – alla poesia intimista di artisti seminali – Abdullah Ibrahim – alle nuove leve emergenti – Malcom Jiyane – e questi sono solo alcuni dei primi nomi che vengono in mente. Spulciando le note stampa di accompagnamento del pianista Nduduzo Makhathini scopro accanto ai prevedibili titoli professionali – musicista, compositore, improvvisatore – anche un curioso attributo, quello di “guaritore”. A meno che il termine inglese “ healer ” non abbia altri significati che purtroppo non conosco, devo dire che questo sostantivo mi ha sorpreso. Che la musica, dai tempi di Orfeo, abbia possibilità lenitive è un fatto ormai assodato e la musicoterapia ne è un esempio eclatante. Il termine “guaritore”, però, di fronte all’homo saecularis contemporaneo, potrebbe assumere delle caratteristiche un po’ ambigue. Non ho però alcun dubbio, almeno dopo aver ascoltato questo disco, che il potere terapeutico di Makhathini sia effettivamente una realtà, tale è la magia che si sprigiona dai questo album In The Spirit of Ntu. Il concetto di Ntu è legato a quello dell’Essere e soprattutto ad un’idea più estesa di “Unità dell’Essere”, in cui ogni individuo è in stretta comunione con la Natura e quindi compartecipato alla realtà cosmica in un unico, sotterraneo legame. Una strana, negromantica attrattiva, come un effluvio di vapori stordenti, si libera dal jazz di Makhathini che è un insieme di mistica contemporaneità, religiose tradizioni ancestrali, insinuanti cantilene ed appaganti esperienze emotive. Una musica di primissima scelta, originale nella sua arcana bellezza, eseguita da musicisti- sciamani che arrivano diretti al sodo, cioè allo scopo di raggiungere il nostro mondo psichico laddove si celi l’origine dell’esistenza stessa, il chaos primigenio delle più antiche cosmogonie. Questo In the Spirit of Ntu è un lavoro da maneggiare con attenzione che non ha solo il fine di comunicare forti stati emotivi ma bensì quello più nobile di trasmettere conoscenza, quel sapere di noi stessi che costituisce il processo d’individuazione, faticosissimo ma necessario percorso per avvicinarci al senso della nostra vita. Con un pianismo per certi versi più vicino all’approccio di McCoy Tyner ma che non s’allontana dalla religiosa attenzione di Ibrahim per l’anima africana, Makhathini imbastisce un discorso musicale organico, potente ed esperienziale, con l’apporto di una serie di validi musicisti. Troviamo allora Linda Sikhakhane al sassofono, Robin Fassie Kock alla tromba, Dylan Tabisher al vibrafono, Stephen De Souza al basso, Gontse Makchene alle percussioni, Dane Parigi alla batteria, Anna Widauer e Omagugu alle voci e un prezioso ospite come il sassofonista contralto americano Jaleel Shaw.
