R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Non mi vengono in mente molti nomi di sassofoniste in ambito jazzistico, almeno per quel che riguarda l’Italia. A parte la grande Carla Marciano, tra i più grandi interpreti coltraniani che abbia mai ascoltato, la scoperta di questa giovane musicista milanese, non ancora trentenne, mi ha decisamente incuriosito. Generalmente le musiciste jazz sono più impegnate nel canto o in strumenti come il pianoforte e, ultimamente, anche nel contrabbasso – penso, ad esempio, a Federica Michisanti e ad Antonella Mazza. A prendere possesso di questo feticcio tipicamente maschile, cioè il sax, è Sophia Tomelleri, nipote di Paolo Tomelleri, affermato saxofonista jazz ma che fu molto attivo anche nel campo della musica leggera, soprattutto nell’area milanese. Sophia ha iniziato dal sax contralto e dalla musica classica, spostando via via i suoi interessi al jazz e al sax tenore, attraverso un percorso di crescita che, dopo il diploma di Conservatorio, ha visto perfezionare la sua formazione prima a Monaco di Baviera e poi a Parigi, ponendo infine le proprie basi a Milano. Diciamo subito, a scanso di equivoci, che ci troviamo di fronte ad una sassofonista tradizionale ma non troppo, avendo radici nell’hard bebop più classico ma che non disdegna certe fioriture sonore più contemporanee, rimanendo però distante da increspature atonali e forzature free. Quello che colpisce è la voce del suo sax, molto morbida e personale. Una timbrica “mellow”, a tratti decisamente scura, che da un lato accende in parte il ricordo di Johnny Hodges e talora si avvale dell’impronta di gente come Gene Ammons o Sonny Stitt.

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