R E C E N S I O N E
Recensione di Stefania D’Egidio
Il 16 aprile 2021 è uscito, per Concord Records, Let The Bad Times Roll dei The Offspring, prodotto ancora una volta da Bob Rock, a nove anni dal precedente album in studio, Days Go By; l’album è stato registrato a più riprese nel corso degli anni, ma i conflitti con la precedente casa discografica ne hanno ritardato la pubblicazione che, originariamente, era prevista per il 2020: dodici tracce per circa 33 minuti, di cui una cover strumentale, fatta a modo loro, In the Hall of The Mountain King, scritta niente di meno che nel 1875 da Edvard Grieg e usata come colonna sonora di numerosi film (mi sto scervellando da giorni per ricordare in quale l’ho sentita la prima volta) e una rivisitazione piano, voce e orchestra di Gone Away, tratta da Ixnay on the Hombre del 1997. Vi suonerà familiare anche Coming for You, con il basso a tracciare la linea melodica, perché in realtà il brano circola già nelle radio dal 2015.

Tutto l’album, per il resto, rappresenta un po’ un ritorno alle origini, a quelle melodie orecchiabili che, negli anni ’90, hanno fatto di loro, come dei Bad Religion, gli alfieri del pop-punk statunitense. La verve è quella di sempre, schietti come pochi, non hanno mai avuto paura di mostrare il lato oscuro della luna, criticando in maniera ironica, ma pur sempre feroce, la società a stelle e strisce. Nel brano di apertura, This is Not Utopia, parlano ad esempio di giustizia ed uguaglianza (“con tutto questo odio come possiamo sopravvivere?”), nella title track, Let The Bad Times Roll, si riflette sulla presidenza Trump, peccato sia uscito solo ora, in The Opioid Diares criticano, a suon di ritmo galoppante e chitarre vagamente metal, le facili prescrizioni di oppiacei da parte dei medici americani (Dr. Feelgood docet). Il punto di forza di questo gruppo sta proprio nell’affrontare con il sorriso anche le tematiche più cupe, come in Behind Your Walls, dove parlano di depressione, di suicidio, della perdita delle persone care.
Bisogna arrivare alla quarta traccia per trovare chitarre più grintose e ritmi più sostenuti, con ritornelli da stadio, come in Army of One e in Breaking These Bones, dove la batteria comincia a pestare a dovere; Holland, Noddles e soci restano comunque dei burloni e possono permettersi pertanto anche un’incursione nel jazz e nel rackabilly, come in We Never Have Sex Anymore, storia di un matrimonio al capolinea, che farà un po’ storcere il naso ai fan più ortodossi, ma che a me non dispiace affatto, si consoleranno poi con Hassan Chop, il brano più fedele alle origini hardcore della band.
La chiusura viene affidata a Lullaby, una ripresa arpeggiata del ritornello della title track, forse un tantino troppo veloce come epilogo, poco oltre un minuto, dà quasi la sensazione di qualcosa di incompleto, chissà che la cosa non sia stata fatta volutamente, in attesa di aggiungere un nuovo capitolo alla loro storia.
Intanto per il 2022 è già previsto un tour che toccherà anche l’Italia, con una tappa il 21 giugno al Carroponte di Sesto San Giovanni, nel frattempo ci godiamo le nuove canzoni, poi si vedrà…
Voto: 8/10 per le melodie veloci, i ritornelli orecchiabili e i temi importanti.
Tracklist:
01. Thi is Not Utopia
02. Let The Bad Times Roll
03. Behind Your Walls
04. Army of One
05. Breaking These Bones
06. Coming for You
07. We Never Have Sex Anymore
08. In the Hall of The Mountain King
09. The Opioid Diares
10. Hassan Chop
11. Gone Away
12. Lullaby