R E C E N S I O N E


Recensione di Alessandro Tacconi

Gli Arch, al secolo Luca Sguera (pianoforte), Joe Rehmer (contrabbasso) e Giovanni Iacovella (batteria), sono giovani e audaci. Siamo qui per trovare e non per ripetere sembrano dirci a ogni brano. L’album ha una durata complessiva di 33 minuti e mantiene in elettrica attesa l’ascoltatore a ogni traccia.
La frenesia ripetitiva di Asleep at the disco ci serra in un trip di straniamento sensoriale. L’insistita ripetitività di alcune note non può non rievocare latitudini asiatiche. Il secondo brano, Jaw, ci conduce lungo vie notturne popolate di ambigui personaggi dagli sguardi sghembi e i ghigni sardonici. Dove il contrabbasso amplia gli spazi sonori dentro cui la batteria scalcia e stride, il pianoforte crea un’inquietudine sorniona: “Venite, venite quaggiù, non vi succederà niente”. Potessimo credergli.

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