R E C E N S I O N E
Recensione di Stefania D’Egidio
Il genio di Molfetta è tornato: Michele Salvemini, in arte Caparezza, a quattro anni di distanza dal precedente lavoro, ha pubblicato lo scorso 7 maggio il suo ottavo album in studio, Exuvia; 14 brani e 5 skit, con un titolo che, agli occhi dei più, potrebbe sembrare estroso: l’exuvia è l’esoscheletro, ciò che resta di un insetto dopo la muta, quindi riflette alla perfezione il percorso di evoluzione che ogni artista dovrebbe compiere. Prodotto quasi interamente in Puglia, ad eccezione del mixaggio finale, fatto in California da Chris Lord-Alge.
Le parole sono sempre il fulcro di partenza per le canzoni di Caparezza, lui che dice di non sentirsi superiore a nessuno dei rappers in circolazione, ma che di fatto è sempre almeno una spanna avanti agli altri, vuoi per la qualità dei testi, che, a mio parere, andrebbero studiati a scuola insieme ai classici della letteratura, che per la freschezza dei suoni, di respiro internazionale. Un artista sincero, che non segue i dettami del marketing, che fa uscire gli album solo quando sente di aver qualcosa da dire, arrivando persino ad eclissarsi nel mezzo, per ritrovare le energie e raccogliere le idee; arrivato a 47 anni, comincia a riflettere sui passaggi della vita, tanto che Exuvia starebbe benissimo all’interno di un trittico, di dantesca ispirazione, che vede come primo capitolo Prisoner 709, ad indicare quella prigionia che ogni musicista subisce nel dover interpretare un ruolo, ed Exuvia come secondo capitolo, quale espressione di cambiamento, ricerca di se stessi.