R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Che sia bello è sotto gli occhi di tutti, gli è bastato mostrare il lato B per scatenare un inferno di likes su Instagram, che sia bravo è altrettanto palese da anni, nonostante le critiche mossegli dai puristi del rock, che gli rimproverano le origini alto borghesi, inconciliabili, secondo loro, con lo stato di rockstar alla Jimi Hendrix; ma poi chi ha mai detto che Lenny voglia o debba essere paragonato a uno come Hendrix? È vero che il suo essere afroamericano (tra l’altro per metà) renda facile il confronto con leggende del passato quali Hendrix, Prince, Marvin Gaye, ma Kravitz è Kravitz e se gli sono state attaccate delle etichette per chiare esigenze di marketing non è certo colpa sua. Ben diverso nello stile di vita dai nomi sopracitati, a 60 anni appena compiuti, possiede un fisico da fare invidia a qualsiasi ventenne, frutto di tanta attività fisica all’aria aperta e di un’alimentazione rigorosamente sana, sembra incarnare il prototipo di star del nuovo millennio, avvezzo alla tecnologia, ai social e altre diavolerie moderne, ma ben ancorato ai valori del passato (non è un caso che la casa discografica porti il nome di sua madre); polistrumentista capace di realizzare interi album da solo, siamo abituati a vederlo imbracciare la sua Gibson Flying V, ma in realtà suona batteria, basso, pianoforte e synth: forse proprio per questo rappresenta un trait d’union tra i vari generi musicali che hanno contraddistinto i grandi artisti afroamericani (dal rock al funk, dalla disco al soul).

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