R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Dopo oltre trent’anni dal suo esordio discografico possiamo affermare con una certa sicurezza che l’immagine artistica di Nguyên Lê non ha perso col tempo la sua naturale luminosità. Anzi, riapparendo sulla scena internazionale con il suo ultimo album Silk and Sand, Lê ribadisce ciò che ha sempre sostenuto musicalmente nel corso degli anni e cioè che il dettaglio è parte della grandezza. La minuta attenzione con cui il chitarrista franco-vietnamita seleziona i suoni, non solo quelli del suo strumento, permette alla propria musica di strutturarsi, frammento dopo frammento, nell’autentico cross-over a cui, in fondo, egli ha sempre aspirato. Se infatti sottraiamo parzialmente alla sua discografia alcuni album come Celebrating the Dark Side of the Moon del 2014 oppure il più vecchio Purple – Celebrating Jimi Hendrix del 2002 – peraltro realizzati con un’intenzione del tutto personale, lontana anni luce dalla semplice volontà di fotocopiare i grandi Maestri del rock – possiamo renderci conto come il desiderio di un legame interculturale sia sempre stato mantenuto acceso in Lê. E questo è stato reso possibile non solo da un’ispirazione costante ma anche per merito di una ricerca dettagliata riguardo gli elementi basilari dei linguaggi utilizzati, particolari che si sono inseriti gli uni con gli altri come tessere di un puzzle. Lê ha da tempo compreso come in Musica non si possa mantenere un atteggiamento manicheo, per cui influenze orientali, medio-orientali e occidentali, invece che fiorire di per sé seguendo una propria presunta purezza culturale, si prestano ad un ibridismo linguistico attraverso una condivisione di materiali e metodi, utilizzando strumenti musicali in comune, scale armoniche con interscambi modali e invenzioni percussive. In Silk and Sand, una certa visione organizzata alla tranquillità e non ai tecnicismi – questi sono sott’intesi e mai esibiti – si focalizza maggiormente sul medio-oriente, sia per la scelta degli strumentiselezionatiche per la sezione ritmica, motivo quest’ultimo che ha spinto Lê a chiamare con sé il percussionista marocchino Rhani Krjia.
