R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Sono convinto che il mondo, oggi, sia così ricco di musica come forse non lo è mai stato in passato. Vi sono talmente tanti musicisti in giro, veri o presunti che spesso diventa difficile selezionare gli ascolti, rischiando così di perdere di vista piccole mirabilia, degne di uno spazio acconcio ad una corretta e attenta valutazione. La storia di Stephan Micus da Stoccarda mi ha sempre affascinato, se ripenso ai suoi inizi. Tra gli ultimi hippy tedeschi proiettati alla scoperta del Marocco e dell’India, Micus esordì nel 1976 con Arhaic concerts, un discreto lavoro a seguito di quella Kosmische Musik che aveva precedentemente affascinato mezza Europa la cui cometa però stava ormai eclissandosi. Invece di perdersi negli astrusi meandri compositivi che inguaiarono molti suoi illustri colleghi, Micus cominciò a dedicarsi allo studio di strumenti musicali acustici che provenivano da diverse parti del mondo, cercando di assemblarli tra loro per trovare una possibile quadra espressiva, mescolando, provando, testando il tutto con strumenti più occidentali e altre volte con la propria voce, approfittando delle tecniche d’incisione multi traccia. Così diventò un autentico “one man band” di lusso e la sua originale qualità compositiva fu notata da Manfred Eicher che lo affiliò alla sua etichetta ECM alla fine dei ‘70 editandogli oltre una ventina di dischi di cui, questo Winter’s End, è buon ultimo.
