R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Quando mi sono trovato ad ascoltare i file in anteprima di Tommaso Moretti mi sono interrogato più o meno come fece Don Abbondio riguardo a Carneade. Poi, scorrendo le note stampa accluse a questo Inside Out, mi è balzata agli occhi la chiave dell’enigma. Un nome, quello dei Tribraco. Una formazione italiana fondamentalmente rock ma decisamente sporta verso l’avanguardia, uno tra i miei gruppi preferiti nell’ambito di quello che oggi si definisce genericamente “avant”, appellativo che precede altri attributi variabili come rock, jazz, punk, usati singolarmente o fantasiosamente mescolati tra loro. Per farla breve, Moretti è stato – o è ancora? – l’eccellente batterista di questa band romana. Lo stesso Moretti si è trasferito, non so quanto definitivamente, a Chicago nel 2013. L’ultimo suo album esce quindi per un’etichetta indipendente statunitense, la Bace Records. Il profilo di questo lavoro appare piuttosto lontano dal suono dei Tribraco e si presenta assumendo dei connotati più marcatamente jazz, con musicisti americani – uno solo brasiliano – producendo una musica assai interessante, arricchita da numerose influenze diversificate che provengono dal mondo latino americano e anche dall’Italia. Moretti non dismette, semmai controlla maggiormente le sue naturali esuberanze percussive, prestando attenzione al delicato lavoro d’insieme che la costruzione di questo album ha reso necessaria. Vitalità, inventiva, frequenti cambi direzionali: il risultato ottenuto conserva comunque una propria omogeneità di stile ed una marcata ricercatezza delle sfumature. Non è un suono di pancia, per intenderci, quello che complessivamente si ottiene. Ma bensì una miscela sonora dovuta alla mescolanza di diverse istanze culturali, germogliate nella mente di Moretti e definitivamente fiorite con il contributo della sua band. Un settimanale quotato come il Chicago Reader sottolinea con una certa enfasi un “joyful spirit and a taste of Italy”. In effetti qualcosa d’italiano affiora qua e là nel discorsivo fluire di questo album, forse alludendo a tratti alla colonna sonora di qualche “italian movie” rimasto nella memoria degli americani. O forse, più verosimilmente, per via del rifacimento di Era de Maggio, la storica canzone napoletana di fine ‘800, resa in modo così ammiccante da ricordare le musiche di Nino Rota. L’iconico brano napoletano viene affrontato senza timore reverenziale dalla voce di Moretti – probabilmente anche con una certa provocatoria incoscienza – ma rendendolo comunque spoglio di quell’aspetto formale che ci saremmo aspettati di ascoltare.
