R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Dobbiamo all’intercessione dello scomparso pianista Mal Waldron se Benoit Delbecq, l’artista francese di cui ci occupiamo in questo contesto, ha scelto definitivamente la carriera musicale a discapito del suo lavoro di ingegnere del suono. Certo, sarebbe troppo facile giustificare l’assetto del suo pianismo tracciando uno scontato parallelismo coi suoi studi tecnico-scientifici ma certo è che l’astrattismo della sua musica, espressa in termini geometrici piuttosto rarefatti e talora convulsi, qualche sospetto di sconfinamento di ruoli lo pone. Tanto più che Delbecq stesso si serve di un intervento elettronico che causa degli sfasamenti temporali nel risultato complessivo della sonorità, dando l’impressione di sovrapposizione di linee e di forme che rendono questo Gentle Ghosts conditodi riverberi e auree spettrali. La combinazione di questa formazione di strumentisti nasce gradualmente, con John Hebert e Gerald Clever, rispettivamente contrabbasso e batteria dell’ultimo Andrew Hill, che si uniscono in trio appunto con Delbecq nel 2008, includendo in un secondo tempo il sassofonista tenore Mark Turner. Nel 2016 il quartetto così formato si esibisce al mitico Cornelia Street Cafe nel West Village di New York per arrivare infine nel 2019, dopo un lungo tour europeo, ad incidere questo album in una sessione di solo un giorno al Midi Live studio presso Parigi. L’impronta sonora di Delbecq pare oscillare tra Monk e Paul Bley ma direi che il suo pianismo sembra molto più vicino al secondo per la scelta frequente di larghi spazi tra le note, con quegli accordi che talora cadono svagati sulla tastiera e che invece costituiscono gli spot essenziali della sua arte “informale”.

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